venerdì 14 maggio 2010

Cancrena, 05


In piedi vicino alla finestra della mia stanza da letto, raschiarata dalla luce di una vecchia lampada al kerosene, intravvedo il leggero pendio del prato e, poco oltre, un timido raggio di sole finalmente squarciare il tetro sipario di nuvole nere - finalmente una tregua.
Ho quasi finito di preparare i miei bagagli.
Non è una cosa facile: riporre le mie cose nelle valigie mi provoca emozioni intense, la mente si riempe di ricordi indelebili.

I nipoti del vecchio si presentarono - in formazione completa - per il giorno delle esequie. Impettiti e spocchiosi, nei loro abiti scuri da funerale.
Ricordo il silenzio che precedette la sepoltura. Il vento tirava violento sino a spazzare le cime dei cipressi del viale del piccolo camposanto.
La cerimonia fu dignitosa, considerate come si erano messe le cose all'inizio.
Il giorno successivo al decesso, quei maledetti avevano battuto il territorio per chiese e cimiteri, alla ricerca del conto piu' basso. Con questa crisi, persino i preti si fanno la guerra e noi dobbiamo aprofittarne, si dicevano tra loro mentre misuravano a passi la stanza del vecchio ormai senza vita. Un parroco di pianura offrì loro persino un comodo pagamento rateale, e una tessera a punti, valida anche per battesimi, comunioni, cresime e matrimoni: alla decima cerimonia avevi diritto a un'undicesima gratis.
Uomini che non conoscono la vergogna.

Fu allora che mi impuntai, e pretesi di seppellire il vecchio qui, nella sua terra, tra la sua gente.

Alla fine era venuto il momento di fare i conti.
L'appuntamento dal notaio fu fissato venti giorni esatti dopo il funerale.
Un nipote ragioniere era stato eletto il portavoce degli eredi. Era un tipo agguerrito, con un completo nuovo acquistato all'ipermercato e un foulard di seta nel taschino del gilet. Nervosamente, si rigirava tra le dita un piccolo codice di leggi, sul quale aveva appuntato una serie di segnalibri colorati. Al suo fianco erano schierati gli altri nipoti, con le loro consorti dal trucco un pò pesante.
Dall'altra parte del grande tavolo di legno massiccio, io sola. Cominciarono a tremarmi le gambe.
Il notaio, un omuncolo basso e secco con evidenti problemi di forfora, aprì la cassaforte, estrasse i documenti e, senza troppi preamboli, lesse con un filo di voce le estreme volontà del decujus, scandendo il ritmo con una serie infinita di omissis.

Il testamento del vecchio mi escludeva in modo definitivo.
Le sue proprietà spettavano ai suoi nipoti, suoi legittimi eredi, che adesso sembravano decisamente piu' sollevati e annuivano con la testa alla lettura del documento.

Eppure il vecchio...
Ti lascio questa vecchia casa, mi aveva detto in tono solenne nemmeno un mese prima, tu sei l'unica che puo' ancora evitarle una fine rovinosa e senza gloria.
Io mi ero buttata in lacrime ai suoi piedi: sentivo di non meritarlo.
Lui mi aveva accarezzato i capelli, sottili e castani come quelli di mia madre, che li raccoglieva sempre all'indietro in una lunga coda sin'oltre le scapole e la schiena, e mi aveva comandato di rialzarmi in piedi.
Non piagnucolare così, Cristo, aveva detto, mi fai venire voglia di cambiare idea.

E io lo so, che il vecchio non ha cambiato idea.

(Il parroco mi aveva avvertito. Mi aveva detto di non coltivare grandi aspettative. Sospettava che il notaio si sarebbe accordato con i parenti e che avrebbe fatto sparire l'originale del testamento, sostituendolo con un altro contraffatto ad arte. Sono cose che succedono, da queste parti, mi aveva detto sconsolato).

Sì, le cose dovevano essere andate così.
E così rimasi senza nulla (ma nulla meritavo).

Un'uggiosa mattina di ottobre ricevetti dalle mani del postino una raccomandata. Mentre firmavo l'avviso di ricevimento, lessi l'indirizzo del mittente in calce alla busta bianca e immacolata: erano loro.
Senza tanti preamboli, mi ringraziavano del lavoro svolto al servizio del loro amato nonno e mi lasciavano una settimana di tempo per far su le mie cose e lasciare la casa.
Temevano che io decidessi di rimanere quì ancora del tempo, che occupassi questa casa in modo abusivo, e quindi fecero sparire tutti i documenti e tutte le bollette e chiamarono dei tecnici per disdire i contratti del gas e della corrente elettrica.
Fecero murare l'ingresso del locale caldaia.
Fecero mettere dei piombini sui contatori della corrente elettrica.
Fecero tagliare i tubi del gas.

Prima di andare a dormire, mi sciacquo le ascelle con l’acqua gelida del fontanazzo giù in cortile, quello con la vasca in graniglia e il rubinetto di bronzo a forma di testa d'aquila.
Al buio, asciugo i capelli appoggiandoli con cautela alla vecchia stufa di ghisa, e intanto osservo la credenza con gli sportelli di vetro colorato, la credenza sulla quale il vecchio aveva attaccato con il nastro adesivo le fotografie della sua famiglia: riunioni di famiglia, ritratti di uomini e donne con l'abito della festa, scatti sfocati di bambini appena nati, gruppi chiassosi di ragazzi vestiti da piccoli ometti.
Mi avvicino e le osservo con attenzione, ancora una volta, assaporando ogni immagine e ogni ricordo come se quelli fossero ricordi miei, i ricordi della mia vita.
Strano, penso allora, di fotografie mie e della mia famiglia non ne conservo neppure una.

Fuori, cade ancora la pioggia.

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