giovedì 20 agosto 2009

THE PARIS ALBUM, 02








Fotografie di Country Joe e Sandy (giugno 2009)

THE RONDA'S GUIDE OF PARIS, 02

ALTRE COSE DA VEDERE, A RANDOM
L’Opera con il soffitto affrescato da Chagall, poi da lì la chiesa della Madeleine e Place Vendome. I giardini del Luxembourg. La Tour Eiffel, ovviamente. L’Istituto del Mondo Arabo, eccezionale: sali fino sulla terrazza per godere il panorama; è sul pont de Sully, sull’altra riva rispetto alla Bastiglia. Se vuoi vedere un bel panorama della città puoi andare anche all’ultimo piano dei grandi magazzini La Samaritane, in pieno centro. La moschea. Saint Sulpice e Saint Germain l’Auxerrois. Place de la Contrescarpe.

MUSEI
Il Louvre è un puttanaio, enorme e pieno di giapponesi.
Se decidete di andarci vi consiglio di studiare bene, preventivamente, quali sale andate a visitare, sennò vi perdete e vi deprimete.
Il Musée d’Orsay è molto bello, collezione di impressionisti che visiti in un paio
d’ore: può essere una buona alternativa.
Il Museo Picasso è ben fatto e interessante, la visita poco impegnativa.
Se andate al Beaubourg ti segnalo che nella piazzetta appena fuori dal Centre Pompidou ci sono spesso gli artisti di strada, puoi prenderti un caffè o quel
cazzo che vuoi, ti siedi lì e ammiri i loro funambolismi, poi gli dai mezzo euro e li fai felici, fricchettoni di merda.
Una bella gitarella potrebbe essere la Villette e i suoi musei: il parco è molto bello, e soprattutto sabato e domenica si riempie di famiglie e giovani che vanno là a fare il pic-nic, mangiano gli hot-dogs e giocano al pallone. La Cité de la Musique alla Villette è abbastanza interessante, soprattutto la parte interattiva: la Cité des Sciences invece mi aveva annoiato.

PER LA SERA
Con il tuo bel Pariscope in tasca, che avrai consultato febbrilmente durante la giornata, ti dirigerai senza esitazioni nei ristoranti dei tuoi sogni. Comunque qualche buona dritta te la do lo stesso, ché il servizio sia completo: ma non sto lì a dirti i nomi dei ristoranti dove sono stato, tanto ce ne sono migliaia e deciderai tu in base all’estro del momento.
Una buona zona piena di ristoranti è quella vicino a Place de la Bastille: Rue de la Roquette, rue de Lappe e quelle intorno. Ci sono un sacco di locali con cucina di tutto il mondo, noi abbiamo testato un coreano e un marocchino uscendo parecchio soddisfatti. Lì ci sono anche dei bei locali dove bere l’aperitivo o il mojito per la digestione. Invero è una zona molto frequentata, un sacco di giovani, molta Movida.
Altro posto dove andare la sera in cerca di ristoranti è quello vicino al mercato di Saint Germain: rue des Canettes e limitrofe. Trovi principalmente ristorantini francesi, intimi e belli, la zona è più tranquilla e vale almeno una visita per una cena.
Menilmontant è una buona zona di ristoranti etnici, e per il cous-cous consiglio assolutamente il ristorante della Moschea: ambiente notevole, si mangia bene, meno turistico di quanto si possa pensare, ci aveva portato lì il nostro amico parigino. Dopo cena ti fermi per il narghilé.
Nel Marais pure trovi parecchi ristoranti, bistrot e brasserie o anche eleganti e cari, come pure localini intimi e romantici. Insomma zona ricca di opportunità. In place du Tertre, là in alto dietro il Sacro Cuore, ci sono un fracco di bistrot ma mi sembrano molto turistici. Per bere qualcosa dopocena, la zona della Bastiglia è ben messa in quanto a locali e a profferte alcooliche. Sennò la rive gauche in generale, ti inoltri un po’ e non rimani deluso. Noi ogni volta torniamo a bere un birrino o un mojito al Café Charbon, in Rue Oberkampf (fermata metro: Parmentier): trendy ma con gusto. Se volete ascoltare della musica dal vivo, non c’è niente di meglio che consultare il vostro bel Pariscope.

VOCABOLARIO UTILISSIMO, OVVERO COME CHIEDERE LE COSE
Caffè: espresso
Caffè macchiato: noisette
Brodaglia: café au lait
Demi: il birrino
Baron: la birra media (ma usa poco, si va giù di birrino a ripetizione)
Pression: la birra alla spina
Pastis: pastis
Mauresque: pastis e orzata
Pichet: caraffa o bottiglia, sia di acqua che di vino sfuso. Consiglio di bere
l’acqua del rubinetto (eau du rubinet) perché quella in bottiglia ha prezzi
incredibili.
Acqua gasata: eau gazeuse (solo in bottiglia, non ci sono rubinetti di acqua
frizzante)
Gazzosa: limonade
Bleu: carne molto al sangue
Saignant: al sangue
A point: media cottura
Taxi: taxi
Baiser: scopare
Sucette: pompino
Putain de dieu de bordel de merde: una signora bestemmia

martedì 18 agosto 2009

THE RONDA'GUIDE OF PARIS, 01

Pubblico qui, senza il consenso dell'autore, un'agevole e utilissima guida per un breve soggiorno nella capitale francese.
E' stata stilata dall'ottimo J in esclusiva per il viaggio della Big's family, in primavera, ma grazie a una serie di inenarrabili sotterfugi CJ è riuscito a entrarne in possesso, in tempo utile per la sua vacanza dello scorso giugno.
E' davvero una miniera di preziosi suggerimenti.

NB: CJ ha tuttora il sospetto che la frase "Gli architetti che si fanno le pippe con il cemento armato tailandese o il design finlandese tardoesistenzialista non sanno neanche che esiste, Pariscope" possa essere in qualche modo indirizzata a lui.

PREMESSA

L’imporante è partire bene, quindi prendi in edicola l’ultimo numero di Pariscope, costerà un euro: è un settimanale dove trovi tutte le informazioni su musei, gallerie, mostre, concerti, appuntamenti, teatro, spettacoli, eventi, orari, prezzi ecc. In più ogni settimana trovi un lungo elenco di ristoranti parigini, divisi per zona e per tipo di cucina, con prezzi, indirizzo, orari e telefono, più una piccola scheda. Pariscope è utilissimo e differenzia il turista intelligente dal turista pirla. Gli architetti che si fanno le pippe con il cemento armato tailandese o il design finlandese tardoesistenzialista non sanno neanche che esiste, Pariscope.
Per i trasporti in città la metropolitana è il mezzo migliore in assoluto. Sconsiglio di fare abbonamenti particolari, che sulla carta possono sembrare convenienti ma che poi si rivelano una chiavata: non foss’altro perché a Parigi
è molto bello camminare, i boulevard e i larghi marciapiedi si prestano alla deambulazione open air e va a finire che il tuo abbonamento ti rimane nel culo. Piuttosto prendete i carnet da 10 biglietti, sono comunque convenienti, se ne finisci uno ne prendi un altro e mal che vada ci perdi proprio poco. Idem per le carte dei musei, è vero che risparmi ma per ammortizzarle devi vedere 18 musei in tre giorni, non mi sembra molto sensato. Se fate tardi la sera (verifica l’orario di chiusura della metro) o se volete fare gli sboroni, i taxi sono meno cari di quelli italiani e una comoda alternativa alla metro, molto usati dagli autoctoni.

QUALCHE ITINERARIO
Per tutte le robe più classiche ti leggi la tua bella guida e te la cavi da solo. Io qua ti segnalo qualche itinerario, tradizionale e non, che il bomber Ronda ha percorso più volte e con grande gaudio.

Ile de la CitéParti dal Pont Neuf (ci arrivi con la metro a Chatelet) e ti infili in Place Dauphine, poi ti inoltri sull’isola. Arrivi al Palazzo di Giustizia e vai a vedere (da non perdere per nessuna ragione) la Sainte Chapelle. Esci ammirato. Più avanti trovi Notre Dame, che visiterai anche se devi fare la fila: se ne hai voglia prima o dopo puoi fare una deviazione e far passare un po’ di bouquinistes sulle rive della Senna.


Passi nel giardinetto dietro a ND (guardando la cattedrale, a destra c’è l’ingresso), fai il ponte e approdi all’Ile Saint-Louis: percorri la via centrale, piena di negozietti degni di un’occhiata. A metà circa di quella via, sulla sinistra trovi una bottega che vende il foiegras, entri e ti fai fare un assaggio o meglio ancora un panino, il tutto innaffiato da un bicchiere di bianco. Godi, ringrazi e te ne vai. Arrivato in fondo all’isola San Luigi prendi il Pont de Sully a sx, ti nfili nel boulevard Enrico 4° e per magia ti trovi a place de la Bastille. Occhio che la Bastiglia non c’è da un pezzo. Se vuoi a questo punto puoi tornare indietro prendendo rue de Rivoli, che ha tanti negozi, e così facendo raggiungi l’Hotel de Ville che è sempre un bel vedere. Il tutto, visitando SC e ND e magari fermandosi per un sandwich o sulle bancarelle, ti prenderà una mezza giornata abbondante, quasi intera se te la prendi comoda.

Marais
Puoi partire da place de la Bastille, quindi puoi agganciarti all’itinerario di prima. Arrivi a place des Vosges (altra cosa da non perdere per nessuna ragione), dove ci si può fermare per un panino o per una merenda (c’è un bel parco). Sotto i portici ci sono gallerie d’arte, la casa di Victor Hugo e spesso degli artisti di strada, tendenzialmente musicisti.


Da Place des Vosges entri nel quartiere ebraico: rue des Francs-Bourgeoises, des Rosiers, Vieille du Temple, des Archives ecc, girale a seconda dell’ispirazione del momento. E’ una passeggiata davvero molto bella. Attenzione! All’angolo tra rue des Rosiers e rue des Hospitaliers Saint Gervais trovi due spacciatori di falafel da asporto (uno su rue de Rosiers e uno sull’altra, si chiama Chez Marianne): consiglio fanaticamente un copioso assaggio, li individui dalla coda che si forma fuori. Risolta questa imprescindibile incombenza puoi tornare a passeggiare anche senza meta nel quartiere, non ci sono monumenti o cose particolari da vedere, ma è una zona molto molto bella: l’unica roba ricordati che al sabato gli ebraici hanno la singolare tradizione di non lavorare, quindi potresti trovare i negozi chiusi. C’è pieno di gay, occhio. Cerca di trovare (non è facilissimo) place du Marché S.te Catherine, è piccola e raccolta ed è una sosta ideale per un caffè. Puoi raggiungere in poco tempo il Beaubourg e Les Halles, dove ti consiglio di vedere Saint Eustache, una chiesa maestosa. Giro da tre o quattro ore con doppia sosta per riposino e falafel.

Belleville
Prendi la metro e vai fino a place Gambetta. Da visitare c’è il cimitero del Pere Lachaise, che personalmente amo molto: la visita può prenderti da mezz’ora a tre ore, dipende quanto ti piace starci dentro. Se ci stai dentro tutta la vita vuol dire che eri famoso. Nel quartiere ci sono parecchi localini interessanti, prolifera il cous cous ovviamente, o sennò se cerchi qualcosa di più tradizionale assolutamente da frequentare è il Baratin, un bel bistrot in Jouye Rouve. Finita la visita nel quartiere multietnico per eccellenza, se avete voglia di camminare prendete Avenue Gambetta, poi rue du Chemin Vert e dopo un tre quarti d’ora/un’ora come per incanto siete a Place des Vosges.

Montmarte
Altra visita impedibile. Scendi con la metro a Pigalle (dove c’è il Moulin Rouge), resisti se puoi alle tante tentazioni della carne e ti infili in rue des Abesses poi in place des Abesses. Continui a salire verso sinistra, vedi il Moulin de la Galette, trovi le vigne a cielo aperto e poi svolti verso destra e arrivi in place du Tertre (quella con i pittori ecc.) Da qui al Sacro Cuore è un giuoco da ragazzi. Non salire subito al Sacro Cuore da dove scendi con la metro, preferisci l’itinerario da me consigliato, sennò tanto vale che ti scriva la guida. Sulla scalinata del SC ci sono spesso dei musicisti, e ai piedi della scalinata ci sono negozi di vestiti usati: non so se le due robe sono collegate, ma è così.

Champs-Elysées
Personalmente non amo molto, però parti dal Louvre e ti fai il bel parco delle Tuileries: ci sono un sacco di panchie e seggiole, è un bel posto per mangiare un panino e riposare o far giocare i bambini (infatti c’è pieno di preti). Avanti dritto la maestosa Place de la Concorde e poi l’Arco di Trionfo (a mio avviso non imprescindibile).


Se vuoi dall’Arco puoi tagliare giù, in metro o a piedi, per la Torre Eiffel.

Rive Gauche
Anche qua passeggia pure alla cazzo che non ti sbagli. Le viuzze tipo Rue de la Tarpe o Xavier Privas o de la Huchette sono la parte più animata del Quartiere Latino, ci sono miliardi di ristoranti e bistrot, molto turistico ma divertente. La Fontana Saint-Michel è un punto di ritrovo per i giovani, poi Boulevard Saint Michel e Boulevard Saint Germain sono da fare. In Place St. Germain de Près c’è la chiesa da vedere e soprattutto Les Deux Magots, il Café Flore e la brasserie Lipp, tutti café-bistros storici (Sartre e tutte quelle pippe lì). Cerca una stradina che si chiama Cour de Commerce Saint André, ci entri dal blvd Saint Germain, è molto bella: lì c’è anche il Procope, altro bistrot storico e da visitare. Se la guida ti segnala dei passages in questa zona, provate a farne qualcuno. In ogni caso Quartiere Latino e Saint Germain sono due quartieri eccezionali, pieni di ristoranti e locali, negozi di antiquariato, librerie, artigiani vari, negozi di fumetti e di sigari o cappelli, gallerie eccetera eccetera, è un posto molto vivo, bello da visitare anche senza un itinerario particolare.

lunedì 17 agosto 2009


E noi che pensavamo di passarcela male, da quando abbiamo letto che a Pordenone, prodondo nord-est, sono stati vietati gli assembramenti di due persone nel centro cittadino (in quanto potrebbero ostacolare, per qualche genio, ostacolare la fruizione degli spazi pubblici da parte di altri cittadini).
Tuttavia, non va meglio negli States, dove non si può piu' nemmeno passeggiare sotto la pioggia...

da: Corriere.it:
Girava per la città sotto la pioggia, senza documenti in tasca. A un certo punto si è avvicinato a una casa in vendita per sbirciare dalle finestre. Qualcuno, insospettito da un comportamento giudicato un po' strano, ha chiamato la polizia e così quel «losco figuro» è stato caricato su un'automobile e riportato in hotel. Una volta in albergo, la poliziotta 24enne che lo aveva accompagnato si è trovata però di fronte a una sorpresa: quello che credeva solo un «vecchio eccentrico» era davvero Bob Dylan.
L'episodio è avvenuto lo scorso luglio a Long Branch, in New Jersey. Lo rivela la Cnn. È stata Kristie Buble ad avvicinarsi a Dylan e a chiedergli il suo nome. Ma il cantante non aveva documenti e così l'agente non gli ha creduto. E ha deciso di scortarlo fino all'hotel dove Dylan ha potuto dimostrare finalmente la sua identità. L'artista, riferisce la polizia, sembra aver preso bene l’incidente e, alla domanda perché se ne stesse sotto la pioggia, ha risposto: «Avevo voglia di una passeggiata».

sabato 15 agosto 2009

THE PARIS ALBUM, 01








Fotografie di Country Joe e Sandy
(giugno 2009)

giovedì 13 agosto 2009

Le cose piu' strane accadono sul web.
Sono lì che navigo a casaccio tra siti musicali quando all'improvviso mi imbatto in un portale dedicato a Leonard Cohen. Curiosando un pò, scopro che qui vengono catalogate tutte le recensioni on-line ai dischi del grande cantautore canadese.
Sorpresa delle sorprese, c'è anche la nostra di PcSera, per di piu' con traduzione (lievemente maccheronica, per la verità) in inglese!

http://www.webheights.net/speakingcohen/main.htm


mercoledì 12 agosto 2009

Questa rubrica va in ferie un paio di settimane, non prima di segnalarvi un simpatico listone di suggerimenti per l’estate.
Il primo disco che ci viene in mente – non necessariamente il piu’ bello; anzi, sì – è il secondo parto solista di Bill Callahan, intitolato “Sometimes I Wish We Were An Eagle”. L’ex-leader dei seminali Smog compone brani acustici di bellezza sontuosa ed estrema delicatezza; ricordiamo, tra essi, “The Wind And The Dove” e la terminale, ripetitiva e ossessionante “Faith Void”.
Tra i cantautori, in attesa di ascoltare il nuovo Scott Matthews (una delle rivelazioni dell’anno passato), ottimi Stephen Wilson (“Insurgentes”), Patrick Wolf (“The Bachelor”, un’opera eclettica che mescola con sapienza un’impostazione classica, elettronica e barocchismi dandy) e Steve Earle.
Quest’ultimo, ovvero uno dei vecchi maestri ancora in libera circolazione, dedica un intero album di cover a quel folk-writer straordinario che è stato Townes Van Zandt (l’idea non è nuova, recentemente l’ha fatto Springsteen con Pete Seeger).
Van Zandt è apprezzato anche dai Lemonheads, che a loro volta inseriscono in un disco di sole cover (“Varshons”) la sua “Waiting Around To Die” (tra gli altri brani “Hey, That’s No Way To Say Goodbye” di Cohen, “Beautiful” di Linda Parry – nota al grande pubblico nella versione di Christina Aguilera – e poi Wire e Gram Parsons).
Deludente, invece, il nuovo lavoro di Bonnie Prince Billy (“Beware”), ex-cantante Palace Brothers: stanco e ripetitivo.

Capitolo bands. Le nostre preferenze vanno ai mancuniani Doves (“Kingdome Of Rust” probabilmente non è un capolavoro ma è una raccolta di ottimi brani, assai ben curati e dal sound originale, tra i quali – oltre alla title-track – si distinguono “Winter Hill” e “Birds Flew Backwards”), ai graziosi Grizzly Bear (“Veckatimest”, consigliato ai fan sfegatati dei Beach Boys), agli eterei e riflessivi Great Lake Swimmers (“Lost Channels”) e ai sorprendenti Cheer Accident (“Fear Draws Misfortune”), da Chicago, USA, autori di un indie-prog palesemente ispirato alla grande tradizione del progressive britannico ’70 (King Crimson e soprattutto Van Der Graaf Generator), oltre che al free-jazz della Scuola di Canterbury (Gong e Soft Machine).

Per i patiti dell’elettronica, una citazione d’obbligo per Dj Sprinkles (“Midtown 120 Blues”) e per il drone-metal dei Sunn O))) (“Monolyths & Dimensions”); mentre l’ennesimo Tortoise (“Beacons Of Ancestorship”) ci lascia tutto sommato indifferenti.

Spostandoci in altri territori geografici, sono piaciuti assai il duo portoghese ambient dei Gala Drop (“Gala Drop”, che tuttavia in patria dovrebbe essere uscito nel 2008), i 17 Hippies (“El Dorado”), fricchettoni berlinesi berlinesi fricchettoni sponsorizzati dall’amico Gigio, e infine Mulatu Astatke & The Heliocentrics (“Inspiration Information”), lo strambo e proficuo incontro tra il re del Jazz etiope e una straordinaria band elettro-funky.

Restando in Italia, molto interessanti i sardi Zu (“Carboniferous”) e Dente (“L’Amore Non E’ Bello”).

Buon ascolto.

venerdì 7 agosto 2009

QUASI COME KEROUAC, 09


July, 26th - SECONDA PARTE

Andiamo verso nord.
Niente foresta pietrificata, dunque. Nella nostra scelta, ci aiuta l'addetto al Tourist Information di Winslow, che conferma l'esistenza - poco piu' a nord di Second Mesa - di un piccolo villaggio Hopi fondato nel XXI secolo dC e abitato sino a noi senza soluzione di continuità.

Il Plateau è un affascinante distesa arida.

(Many a hand has scaled the grand old face of the plateau/Some belong to strangers and some to folks you know/Holy ghosts and talk show hosts are planted in the sand
To beautify the foothills and shake the many hands /There's nothing on the top but a bucket and a mop/And an illustrated book about birds/You see a lot up there but don't be scared/Who needs action when you got words)

Quà e là, scarse macchie di vegetazione spontanea.
Non a caso, il nome Navajo (o Navaho) - ovvero la tribu' che abita queste terre tra gli Stati dell'Utah, Arizona e New Mexico - deriva dal termine Navahuu che in lingua Tewa, parlata da alcune popolazioni del sud ovest, significa "Campo coltivato in un piccolo corso d'acqua".
I circa 250.000 Navajo sopravvissuti ai terribili genocidi dell'Ottocento - a oggi essi costituiscono il gruppo etnico più numeroso fra i nativi americani - vivono nelle baracche prefabbricate che costeggiano la strada, allucinanti container metallici spesso costruiti con resti di materiale radioattivo. Nel corso degli anni, i minatori Navaho hanno infatti estratto milioni di tonnellate di uranio dal terreno, necessari agli USA per la produzione di armi. Molti di loro sono morti a causa di malattie correlate alle radiazioni. Altri, ignari delle conseguenze per la salute, hanno utilizzato le pietre contaminate e gli scarti del materiale estratto per costruire le loro case.
(Oggi, un programma del Governo prevede la demolizione e la ricostruzione di queste abitazioni e l’identificazione di tutte le strutture contaminate dall’uranio ancora presenti in queste lande desolate. A coloro invece che decidono di trasferirsi altrove, il governo offre 50.000 dollari. Che Signori.)
Leggiamo sulla guida che a loro si ispira il fumetto Tex Willer. La cosa non mi emoziona. Mai letto, Tex Willer.

Lo spazio che ci circonda è infinitamente grande.
Ovunque giri lo sguardo, il paesaggio è maestoso, incombente.
Forse il segreto del fascino di queste terre, del mito di "On The Road" di Kerouac e seguaci, è tutto qui.
Ormai svuotato di contenuti ribellistici, di evasione dal consueto e dall'ovvio, si è ridotto a una questione puramente dimensionale.
Eppure il mito resiste.
Lo senti sulla pelle, percorrendo queste strade rettilinee che si perdono all'orizzonte.
Da un momento all'altro, mentre percorriamo la Statale 264 in direzione First Mesa, potremmo veder sbucare fuori Kowalski, l'ultimo eroe americano, a bordo della Dodge Challenger R/T bianca del 1970, motore 440/375 HP.

A mezzogiorno il sole è alto e picchia forte.
Una ragazza Hopi ci apre la porta dei villaggi di Hano, Sichomovi e Walpi, arrampicati su un costone di roccia da cui si dominava l'intera valle.
Quanto lontana è lei dallo stereotipo del guerriero coraggioso. E' minuta e graziosa, con un sorriso allo stesso tempo dolce e fiero. La riserva degli Hopi si trova all'interno della Nazione Navajo, ci spiega. La vita del villaggio si basa essenzialmente sulla coltivazione del mais, della zucca, dei fagioli e del melone. E anche su qualche furto o qualche razzìa su commissione, aggiunge sorridendo. Noi abbozziamo, forse per esprimere la nostra complicità. Poi ci accompagna tra le piccole case di argilla con i tetti di paglia e fascine, tenute insieme con tronchi d'albero opportunamente sagomati. I pavimenti sono vecchi materassi ingialliti semplicemente appoggiati sulla terra rossa. La polvere si alza dapperutto, e avvolge lamiere arrugginite, videogames rotti, bottiglie di plastica, paccottiglia varia. Sembra di essere in una discarica all'aperto. E' qui che arrivano i rifiuti e gli scarti dell'Occidente?, mi chiedo. Un anziano e saggio Hopi mi avvicina e mi dice, con un inglese stentato: un giorno gli Yankees saranno seppelliti dai loro stessi rifiuti, vittime del loro sfrenato consumismo, e allora questa terra tornerà a essere nostra. Cazzo, quest'uomo è un genio. Deve aver letto Ballard, mi dico.
Un cane zoppo attraversa il campo, arrancando per il caldo asfissinate.
Altri cani rimangono sdraiati in mezzo agli stradelli del villaggio.
Alcuni bambini - avranno sì e no sei-sette anni - giocano a fare gli indiani, con le piume colorate, l'arco e le frecce. Curiosa, come cosa. Mi viene da pensare: chissà se lo fanno spontaneamente, o se sono costretti a recitare uno stanco e ritrito copione per noi turisti: per noi turisti della miseria e della rassegnazione.
Dio dei Navaho, fai che sia la prima che ho detto.

sabato 1 agosto 2009

Cosa centra Manson?

Bravi o furbi, questi Kasabian?
Il dubbio è piu’ che lecito.
La scelta del nome, tanto per cominciare.
Linda Kasabian era una seguace di Charles Manson. La notte del 9 agosto 1969 faceva il palo, mentre altri tre adepti della famigerata “Family” entravano nella villa di Roman Polanski a Cielo Drive per assassinare senza alcun motivo l’attrice Sharon Tate, moglie del regista di origine polacca, e altre quattro persone.
Solo che la musica dei ragazzi di Leicester non ha nulla di perverso o diabolico.
Il titolo dell’album, poi.
“West Rider Pauper Lunatic Asylum” allude ad un noto ex-istituto psichiatrico inglese. Il leader del gruppo Sergio Pizzorno, di chiara origine genovese, ha spiegato che aveva in mente un concept album in stile seventies, tipo “Tommy” dei Who o “Arthur” dei Kinks per intenderci, dove ogni brano doveva riferirsi a un ospite del manicomio. Soltanto che il progetto si è strada facendo un po’ annacquato, e l’unica cosa rimasta è la cover del disco, sulla quale i quattro sono vestiti da Napoleone, Rasputin, Marco Polo e da rivoluzionario con la bandana tipo il Silvio: forse qui c’è persino un po’ di sana autocritica, i Kasabian si sono sempre distinti – in questo (e altro) degni allievi degli Oasis, che perlatro non perdono occasione per osannarli: da anni i fratelli Gallagher vanno dicendo che i Kasabian sono il meglio che l'indie-rock britannico può oggi offrire – per le loro dichiarazioni da sboroni sfacciati e arroganti.

Chi non ha alcun dubbio è il pubblico inglese, che in una sola settimana ha spinto il terzo album della band direttamente al primo posto delle charts.
A noi di PiacenzaSera qualche piccolo dubbio, invece, resta.
Non mancano i pezzi riempipista di robusta dance, tra Primal Scream e Chemical Brothers (la notevole “Undergdog”, “Fast Fuse” e “Vlad The Impaler”: meglio non provare a tradurre…) , così come le ballate in stile brit-pop (la old-style “Thick As Thieves”, “Happiness”, tra Beatles e Stones, e la dolce “Ladies And Gentlemen”), e nemmeno l’elettronica d’atmosfera, di ispirazione ambient (“Secret Alphabets”, lo strumentale “Swarfiga”, e la notevole “Where Did All the Love Go?”, che a noi fa venire in mente, chissà perchè, i T.Rex di Marc Bolan).
E infine c’è un singolo riuscitissimo, “Fire”, quasi blues.
Di piu’: il disco suona bene, è tecnicamente perfetto, senza sbavature.

Insomma, questi Kasabian sanno fare un po’ di tutto.
Pure troppo.

Bravi e furbi, questi Kasabian.