sabato 28 novembre 2009

sabato 21 novembre 2009


“Una caleidoscopica avventura musicale attraverso il favoloso e a volte sciocco mondo del cricket”.
La definizione degli stessi autori – ovvero un concept album sul gioco piu’ tradizionale ed esclusivo per gli inglesi, del quale il Ducwworth Lewis rappresenta un complicato metodo algoritmico per calcolare il punteggio di una partita interrotta causa maltempo - a prima vista potrebbe bastare per considerarlo un disco buono solo per una certa, stanca e fuori moda, aristocrazia britannica, un disco buono per le serate intime tra il Principe Carlo e la sua bella (…) Camilla, insomma.
E invece, questo nuovo progetto dell’irlandese Neil Hannon - già leader dei Divine Comedy - e di Thomas Shaw - leader dei Pugwash - si rivela già al primo ascolto come una delle piu’ gradite sorprese di questo 2009 che volge al termine.

Leggerezza e ironia, eleganza innata e humour in stile british, pop cristallino e allegria scanzonata: questo album potrebbe essere un’ottima colonna sonora di Little Britain o, ancor meglio, di Monty Pithon – chi scrive è un fan sfegatato del genio comico di Cleese, Gilliam e compagni (www.pythonline.com); chi non li conoscesse è pregato di procurarsi al piu’ presto una copia de “Alla ricerca del Sacro Graal” o “Il Senso della Vita”.

Tantissimi i gioielli di questa misconosciuta opera rock.
The Age Of Revolution parte su uno strepitoso campionamento anni ’50; Gentlemen & Players e Mason On The Boundary sono raffinati brano pop artigianale, tra Kinks e XTC; Meeting Mr. Miandad è un singolo atipico: divertente il video nel quale i sorvolano i deserti a bordo di una mongolfiera realizzata con un vecchio furgone VW, alla caccia del fantomatico campione pakistano di cricket, tal Miandad, in perfetto stile Monty Pithon, appunto. Jiggery Pockery è una filastrocca bislacca, Flatten The Ray un refuso dei Beatles mistici innamorati del sitar e della cultura indiana. Test Match Special sembra non una cover di Bowie, ma addirittura un cameo dello stesso Duca Bianco (ho spulciato le note di copertina, non è così).
Su tutte, The Nightwatchman, una ballata di classe sopraffina, uno dei brani piu’ belli dell’anno, in assoluto.

giovedì 19 novembre 2009

Ritorno in Valnure

Il virus HNV1 ha decimato la scuola del paese, senza alcun riguardo per i piu' piccoli e i piu' deboli, anzi.
Stamattina, in tutto ci sono sette bambini.
Solo una in quinta, che infatti se ne ritorna mestamente a casa.
Le maestre ci guardano come a chiederci, cosa li lasciate qui a fare? Sembrano un poco contrariate dal fatto che qualcuno ha deciso di portare ugualmente i propri figli a scuola. Dopo un rapido consulto telefonico con Sandy, decido di lasciare la bambina a scuola. Io potrei anche portarmela dietro, ma in ogni caso, c'è un suo compagno equadoregno i cui genitori lavorano entrambi, iniziano la mattina presto, non sapremmo come raggiungerli, adesso.
Così bacio Agnese sulla fronte, scendo la scalinata in travertino e mi incammino verso l'osteria, dove per bere un caffè aspetto che la barista termini una tutt'altro che urgente conversazione telefonica.
Scusami, mi fa, dopo aver riagganciato. Era mia madre, mi chiama sempre, piu' volte al giorno. Anche durante il lavoro. Mi ripete sempre le stesse cose.
Io le dico che invece mia madre non chiama mai, deve avere un'allergia verso il telefono. Il giorno del mio compleanno la devo chiamare io, per consentirle di farmi gli auguri, aggiungo.
Quest'anno, mi racconta lei, per spiegarmi come sbrigare la faccenda dei fiori da portare al cimitero per i morti, la mia ha iniziato a chiamarmi in agosto. Mi ha elencato il tipo di crisantemi, il loro numero, il colore, la composizione che voleva per la tomba di mio padre. Sono dovuta andarli a prenotare a metà settembre, non puoi immaginarti la faccia della fiorista.
Io sorrido e, mentre mi gusto il mio caffè bollente, penso: è brutto rimanere da soli.
Poi ripenso alla lista degli sms che Paulette, qualche giorno fa, ha abilmente trascritto dalla cartella degli sms inviati del portatile di mia madre:

Sono spr pr
No biondi
Buona pasqua (qui evidentemente qualcuno l'ha aiutata, ndr)
Tut

Niente male, cazzo, la vecchia.

Prima di andarmene do' un'occhiata alla gazzetta e poi scambio due chiacchiere con gli altri avventori.
C'è una tipa che che smanetta su una macchinetta del videopoker, passa le sue mattine su quella dannata macchinetta. Ancora un pò e ci lascia giu' anche le mutande.
C'è il mister, lo prendo in giro per la classifica piuttosto deludente. Quattro punti. Sei gol subiti anche domenica scorsa, nel derby con il Marsaglia. Lui si lamenta del campo pesante. Si lamenta dell'arbitro, che è un testa di cazzo,l'ha sempre detto, lui, che è u testa di cazzo. Si lamenta che non hanno un portiere. Perchè non convinci il Gio, mi fa. Viene a finire il campionato titolare in seconda, poi torna alla base. Mah, aggiunge lui alla fine, non so se me lo danno in prestito.

C'è un uomo di mezz'età - uno che non ho mai visto qui in giro - che ha appena finito di leggere il giornale appoggiato al bancone.
Ce l'ha con il computer, con internet e con tutte quelle diavolerie elettroniche. Adesso i ragazzi non escono piu' di casa, sentenzia, si parlano attraverso le chat e quelle robe lì, ditemi voi se è normale. Io pago il mio caffè e intanto rispondo che certe cose non sono il diavolo, che come per tutte le cose l'importante è non abusarne, e che comunque certi strumenti possono aiutare i piu' timidi a mettersi in relazione con gli altri. Lui scrolla la testa. Ci credo poco, mi fa.
Io non sono Matusalemme, ho solo cinquantacinque anni, però davvero non li capisco, aggiunge dopo una lunga pausa.
Poi, con una strana espressione da posseduto dipinta in volto, afferma:
Io sono credente: per me, una bella Ave Maria al mattino, recitata bene, è molto meglio che un pomeriggio intero passato sul computer.
Infine inizia a raccontarmi di una sua conoscente di Bettola che negli anni Sessanta è emigrata a Nuova York - così ha detto lui, Nuova York - e che là si è fatta una vita, figli, lavoro e tutto quanto. Sua figlia, che nel frattempo si è anche lei sposata con un americano, qualche anno fa è tornata in Valnure per presentare al marito i suoi parenti piacentini. Sono rimasti piu' di un mese. Lui si collegava tutti i giorni con il computer e svolgeva da lì il suo lavoro. Vuoi sapere come è andata a finire? La sua ditta, una ditta americana che opera nel settore delle telecomunicazioni, gli ha chiesto di rimenere in Italia. Per loro era il massimo della comodità, il fatto che ci sono sei-sette ore di differenza nel fuso permetteva ai suoi colleghi di arrivare in ufficio e trovare già tutto pronto.
Vedi?, gli faccio io, riferendomi alla nostra conversazione di prima.
Lui annuisce pensieroso.
Quest'uomo non ha le idee chiare, penso io.

Sono quasi le nove.
Saluto tutti e me ne vado, e mentre raggiungo la macchina ripenso a quello che ha detto quell'uomo.
Che cazzo avrà voluto dire, poi, con la storia dell'Ave Maria.
Ma perchè non la lascia fuori, la Santissima Vergine, da certi discorsi?

sabato 14 novembre 2009


Fine anno senza botti clamorosi, è un fatto.
Ecco quello che passa il convento: il terzo, sbiadito ma discreto, Arctic Monkeys, un pessimo Muse, il solito doppio album mastodontico dei Flaming Lips, un tutto sommato anonimo Yo La Tengo.
E allora su consiglio dell’amico Big – perché Big è uno che la sa lunga - optiamo per il nuovo, secondo, album di Hope Sandoval – quasi otto anni dopo “Bavarian Fruit Bread” – già front-woman di gruppi seminali come Opal e Mazzy Star.
La voce suadente e sensuale della cantante californiana (nata da famiglia di origine messicana) è da sempre una delle piu’ richieste in ambito pop-rock: nel suo curriculum vanta infatti collaborazioni illustri (Air, Death In Vegas, Vetiver, Chemical Brothers), in futuro parteciperà al prossimo Weather Underground dei Massive Attack.

Questo “Through The Devil Softly” sin dal titolo e sin dal nome della band che la accompagna (The Warm Invenctions, con Colm O’Ciosoig, ex-drummer dei My Bloody Valentine, e con la collaborazione fissa di Alan Browne al basso e quella occasionale di altri esperti musicisti) si preannuncia un ascolto caldo e soffice.
La raffinata “Blanchard” apre con grande classe la tracklist, “Wild Roses” è una ballata in puro stile West Coast, e “For The Rest Of Your Life” un blues cupo e rarefatto.
Il disco non scende mai di tono, con un susseguirsi di melodie minimaliste, fragili arpeggi acustici e passaggi country appena sussurrati, sino al meraviglioso picco finale: l’elettrica "Trouble", a seguire “Fall Aside", una litania lisergica con banjo e organo e, in chiusura, "Satellite", una ninnananna in bassa fedeltà, con la voce di Hope che sembra filtrata attraverso un microfono difettoso.
Abbiamo la sensazione che ci terrà compagnia spesso, nelle prossime lunghe serate invernali.

venerdì 13 novembre 2009

VERSO DRESDEN


L'autostrada, deserta, costeggia immensi pascoli, sporadicamente delimitati da folte boschine. Non ci sono campi coltivati. Nonostante sia diretto verso sud. Nemmeno un campo di patate. Nessun edificio, nemmeno. Nessun capannone.
Non si vede anima viva.
Solamente i pali zincati della linea elettrica a tenermi compagnia.
In lontananza, un campanile - esile, con il solito bulbo a cipolla alla sua sommità - segnala ogni tanto la presenza di un borgo o di una piccola città.
La nebbia sale lentamente, l'alba si è alzata da ore ormai, e improvvisamente appare alla mia vista un'auto distrutta e capovolta nella scarpata. C'è un ragazzo seduto tra le sterpaglie, indossa il giubbino arancio fosforescente e si tiene la testa tra le mani. Se l'è vista brutta, lo stronzo. Tutto sommato, se l'è cavata con poco.
La polizei cerca di sogmbrare la carreggiata dai pezzi di lamiera e di plastica nera, mentre la carcassa fuma poco lontano.
Io rallento l'andatura, potrebbero aver bisogno. Una donna bionda di mezz'età, un pò impiccata nella sua divisa color sabbia di qualche taglia in meno, mi fa cenno di proseguire.
Curiosamente, la strada è invasa da arance e mandarini.
Ripensandoci, anche il tedesco che mi ha centrato un paio di anni fa a Merano - invadendo improvvisamente la mia corsia durante un sorpasso ad alta velocità, malgrado il fondo bagnato da una pioggerellina autunnale - aveva il baule stipato di cassette di mandarini. Lui sembrava pieno di cocaina e passeggiava avanti e indietro nervosamente, e anche la bagascia teutonica che sedeva al suo fianco aveva gli occhi lucidi. L'idiota aveva distrutto un'Audi da svariati bigliettoni da mille - optional esclusi - e però sembrava preoccupato per i suoi mandarini del cazzo.
La lezione di oggi è: in Germania è pericoloso trasportare mandarini e agrumi in generale.
Forse che qui i mandarini contengono sostanze speciali?
Sì, forse si sono inventati i mandarini lisergici.
Beh, fosse così, si potrebbe cambiare idea sul discorso OGM...
In fondo, perchè no?

Ora il tappeto di cemento ruvido taglia in due le colline, e un pallido sole fa capolino nella fitta coltre grigiastra all'orizzonte.
L'ingresso a Dresda risulta agevole oltre misura. Il navigatore della Nissan mi aiuta a orientarmi, non lo si puo' negare, ma il fatto è che non sono nemmeno le dieci di sabato mattina, e Dresda sembra una città fantasma.
Le strade sono sgombre, è impossibile trovare un locale aperto per un caffè. Mi guardo attorno e mi accorgo che gli scuri e le persiane delle case sono tutti ancora chiusi.
Oltre il fiume solcato da vecchi barconi di legno appare uno scenario spettacolare di cupole e di guglie barocche.
Una sinfonia di pietre e di marmi anneriti dallo smog e dall'incuria.
Persino gli edifici che sono stati ricostruiti dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale sono avvolti in una sottile patina di cenere.
Lascio l'auto sotto il ponte e salgo la riva destra dell'Elba per raggiungere la prima tappa, ovvero la sinagoga ebraica. Pur essendo sabato, la trovo chiusa. Non che io sia così ferrato sulle abitudini dei rabbini: il mio faro, in questo campo, è Walter.
Shomer shabbos!
Niente tornei di bouling al sabato!
Non se ne parla proprio.
(Quando il Drugo gli fa notare che lui in realtà non è ebreo, Walter risponde: sì, ma lo era la mia ex-moglie)
Mentre mi avvicino, mi tolgo la mia chefia azzurrina che uso come foulard, per rispetto, certo, ma anche perchè ho anche un pò paura.
Il complesso è interessante, due parallepipedi ermetici e rivestiti in pietra calcarea e deformati rissetto al loro asse di simmetria. Mi fa venire in mente la famosa cabina di controllo del traffico ferroviario di Herzog&deMeuron, a Basilea.
Il tram - o metropolitana leggera - scorre sui binari proprio a fianco del cortile della sinagoga, prima di avventurarsi sul ponte e verso i sontuosi palazzi neoclassici della riva sinistra. I vagoni si bloccano a pochi metri da me. Si aprono le porte scorrevoli. Scende uno studente con l'iPod e una bici da corsa in braccio.
Tornando alla macchina, mi sorpassa una vecchia Trabant bicolore, crema e giallo canarino. Da paura.
Percorro le grandi vie alberate della Dresda del socialismo reale. Queste strade hanno una sezione enorme, talmente fuori scala. Però sono gradevoli. I grandi casermoni in cemento armati sono stati interamente rivestiti con facciate continue in alluminio, in acciaio porcellanato, con ceramiche colorate all'eccesso. Li hanno infiocchettati per bene, insomma. Spesso con scarsi risultati estetici.
Roba da rimpiangere Honecker.

domenica 8 novembre 2009

BERLIN: SAD SONG, 01


Il cielo sopra Milano, osservandolo attraverso l'oblò appannato dalla condensa, mi appare come una striscia lunga e sottile di colore grigio-marroncino, dai contorni poco sfumati. Un orrido magma di polveri sottoli e di gas tossici.
Sembra una pennellata di smalto opaco. O tirata con un pantone.
Tinta RAL 1024, direi.

Il Boeing della AirBerlin si è appena alzato in volo dopo una breve rincorsa sulla pista d'asfalto lucido. Come cazzo farà, poi.
Ora sorvoliamo il cuore pulsante della Nazione Padana.
La Brianza, da questo posto privilegiato d'osservazione, altro non è che una marmellata indigesta di villette bifamiliari e capannoni prefabbricati, di outlet e multisale cinematografiche, agglomerati semiurbani che si susseguono senza soluzione di continuità, separati solo da svincoli autostradali.
Qui, dall'alto, sembra un'enorme macchia scura, come un tumore.
Rovisto nel borsello di cuoio nero nella vana ricerca dell'ultima fatica di Palahniuk, regalo di compleanno degli amici per i 41. Quest'anno niente lanci in paracadute o altre robe da uomini veri, cazzo, solo buoni libri. Ma è meglio che non ci penso, Cristo, sono sospeso in aria a quasi 10.000 metri di altezza, su questo cigolante mostro metallico bianco lucente. Roba da cagarsi addosso.
Sfoglio le prime pagine, cercando la giusta concentrazione, e intanto ripenso all'incontro con un ragazzo brasiliano, stamattina all'aeroporto. E' procuratore federale, di stanza a Brasilia, ma vive per lo piu' a San Paolo, la città piu' bella e stimolante del Brasile, dice lui. Mi aggancia lui in coda al Check-In. E' preoccupato, visibilmente preoccupato, per il fatto che il peso dei suoi bagagli possa superare - e lo supera, ampiamente - il limite consentito. Suda freddo. Sul suo carrello ci sono due enormi borsoni pieni di vestiti e una valigia stracolma, praticamente tenuta insieme con il nastro adesivo. Meglio non avvicinarsi troppo, penso io, sembra sul punto di eruttare una moltitudine di mutande e di calzini sporchi.
Ci accordiamo che, in caso di problemi, io mi accollo una parte dei suoi pacchi.
Fortunatamente non ce n'è bisogno. La hostess della AirBerlin lo guarda un pò di traverso, scuote la testa, ma poi lo lascia passare.
Il giovane avvocato di San Paolo passerà tre giorni a Berlino e poi tornerà in Sudamerica, a casa sua. E' reduce da una settimana a Barcellona e da ben tre settimane a Milano.
E in queste tre settimane, a Milano, cazzo hai fatto?, gli domando.
Shopping, mi risponde lui.
Allora gli chiedo: ma non sei stato a Venezia? A Firenze? Cazzoneso, a Mantova?
No.
No?, ripeto io incredulo.
Sono stato a Serravalle Scrivia, mi risponde lui dopo una pausa di riflessione. Lui non è per nulla imbarazzato.
Ah, faccio io. Come dire: sticazzi.
Ci suono buoni prezzi, mi spiega. Ho preso un sacco di roba, all'Outlet.
Porca troia, e poi dici che la situazione puo' solo migliorare, qui stiamo andando dritti verso il baratro, e neanche ce ne accorgiamo.
Dopo una sequenza di sbadigli, decidiamo di prendere un caffè nell'unico bar aperto. Lui mi racconta un pò del suo lavoro, io del mio. Bello, fare l'archiettto, fa lui. Gli chiedo di Niemeyer. Mi piace il suo lavoro, commenta lui. Non a tutti piace, a Brasilia. Cazzo, dico io, se non sbaglio i conti dovrebbe avere qualcosa come 102 anni, chioso io. A un certo punto lui interrompe la conversazione e, come un animale in cerca della sua preda, il suo sguardo si fionda verso una vetrina scintillante di un negozio Tax Free.
Mi chiede se puo' lasciarmi i suoi bagagli a mano, evidentemente di me si fida, e poi si allontana per andare a controllare il prezzo di una valigia di pelle di Ermenegildo Zegna.
Al suo ritorno, è rincuorato. L'ho pagata venti euro di meno, mi fa.
Molto bene, lo assecondo io.
No, davvero, sai com'è. Se qui fosse costata di meno, molto di meno, ci sarei rimasto molto male.
Eh sì, balbetto io. Poi tiro fuori una scusa tipo: devo chiamare casa, mia nonna sta male, devo cercare un telefono.
Lo saluto con una stretta di mano e mi accommiato da lui con estrema rapidità.
Di coglioni come lui, ne abbiamo a fiotti, qui da noi.

sabato 7 novembre 2009

Il clamoroso successo di XFactor e degli altri talent-show – un vero e proprio monumento al marketing in campo musicale - è sintomo della situazione in cui versa il mercato discografico del nostro paese.
La scena rock è esangue, se si esclude qualche caso limitato ed eccezionale, spesso di portata locale (il jazz-metal degli Zu di Carboniferous, ad esempio, oppure il bravo Dente o i Casa, band vicentina che propne un insolito krautrock e titoli come “Nick Drake” e “Padre nostro/Motoraduno”). I segnali sono evidenti. Manuel Agnelli decide di portare gli Afterhours persino a Sanremo (sic), mentre il Vasco nazionale, sempre piu’ bolso e sovrappeso, coverizza senza provare vergogna “Creep”, ribaltandone peraltro il significato originario.
Ma quello che colpisce di piu’ è che la grande scuola dei cantautori sembra essere rimasta senza parole davanti allo scenario di un paese che attraversa un periodo di declino, etico e morale, senza precedenti. Escono solo live/compilation/best of/greatist hits, magari arricchiti da qualche inutile inedito o b-side, espediente questo che rende ancora piu’ fastidiose e odiose queste operazioni commerciali. Fabrizio De Andrè lo aveva previsto con largo anticipo: “voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio/coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio/voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti/per l’Amazzonia e per la pecunia/nei palastilisti/e dai padri Maristi/voi avete voci potenti/lingue allenate a battere il tamburo/voi avevate voci potenti/adatte per il vaffanculo”, e anche Francesco Guccini era da un po’ che si era rotto: “La piccola infelice si è incontrata con Alice/ad un summit per il canto popolare/Marinella non c' era, fa la vita in balera/ed ha altro per la testa a cui pensare”.

In un così desolante scenario, il nuovo album di Samuele Bersani, “Manifesto abusivo” - che si avvale delle collaborazioni di Dalla, Pacifico, Bollani, Angelo Conte e Cammariere - rappresenta senza dubbio una bella boccata d’ossigeno.
Dal punto di vista melodico, le composizioni del cantautore romagnolo rimangono asimmetriche, spesso sbilenche, anche se con il tempo ha imparato a smussare i tratti piu’ bislacchi e naif. Gli arrangiamenti sono tra i piu’ classici e maturi del suo repertorio, tuttavia non sempre all’altezza dei testi, intelligenti e delicati, ironici e amari. Ci è capitato di leggere sul web, e ci sentiamo di condividere: se Samuele Bersani incontrasse un Lucio Battisti, probabilmente ogni disco sarebbe un capolavoro. Nessuno in Italia scrive testi come i suoi. “Manifesto abusivo” è un ritratto della contemporaneità va ascoltato con il libretto sottomano.
Tra i brani, spiccano i due singoli – “Un periodo pieno di sorprese” e “Ferragosto”, brano scritto con Sergio Cammariere e da quest’utimo già inciso quattro anni fa – e le canzoni d’amore (finito) “Valzer nello spazio” (“mi auguro di aver davanti un momento in cui potrò ignorarti/come una cartella sopra il monitor lasciata senza titolo/cancellarti non mi viene in mente/me ne pentirei di sicuro all'infinito”) e “Fuori dal tuo riparo”(“potrei promettere/parole d’effetto a oltranza/mantenendo l’impegno ma/se ti stringessi poi la mano per circostanza sul bracciolo di un cinema/da me stesso mi sentirei deluso/faresti bene a dirmi/e adesso vattene a fanculo”). Una citazione speciale anche per “16:9”, con un’inusitata coda alla Coldplay, e per “A Bologna”, un grido di denuncia verso la politica dei divieti in corso nella sua città adottiva: “la metamorfosi spaventa come/chitarre elettriche col distorsore/le orecchie dei nostalgici, delle cariatidi/e di chi nasce già conservatore/vecchio nel cuore”).
L'edizione speciale dell'album disponibile su ITunes contiene inoltre la cover de ''Il bombarolo'' di Fabrizio De Andrè, con l’accompagnamento di Stefano Bollani al pianoforte.
In fondo, è una bella sensazione, sapere di non essere solo nelle mani di Morgan.