venerdì 29 novembre 2013

GUIDA AI LUOGHI FANTASTICI DI PIACENZA (E PROVINCIA)

Il mondo esiste. E questa è una gran bella notizia. Passato al vaglio dai filosofi un secolo dopo l'altro, scandagliato dai naturalisti e dai biologi, mappato con perizia sempre crescente dai geografi, il mondo senza dubbio esiste. In effetti, esisteva ben prima che filosofi, naturalisti, biologi e geografi ci si mettessero di buzzo buono perché – dobbiamo dirlo – esisteva ben prima della comparsa dell'uomo, ben prima della comparsa del babbo dell'uomo (quello peloso che mangia banane e passa agilmente da un albero all'altro), ben prima della comparsa del nonno minuscolo dell'uomo (quello fatto di qualche cellula che vagola nei mari) e via risalire. D'ogni modo, a quanto pare, tra i tanti abitanti che l'hanno gremito nel tempo e tuttora lo gremiscono, l'uomo è il solo che si è dato la pena di cercare di capirlo nel suo complesso, da tutti i punti di vista possibili. Ma sempre partendo da un presupposto: che il mondo è questo qui che abbiamo sotto i piedi. Non di altro ci si deve occupare.
Nel loro piccolo, le guide turistiche sono un modo per affrontare il mondo, anche se quando le prendiamo in mano le consideriamo strumenti d'uso spiccio. A differenza della maggior parte dei libri non le si legge dalla prima all'ultima pagina, ma le si consulta saltabeccando qua e là e cogliendo quel minimo che ci serve: in fondo loro sono solo un mezzo, l'esplorazione del posto in cui ci troviamo è il fine. Insomma: il ritorno al mondo, è il fine. E tuttavia, col nostro uso spiccio, forse tralasciamo di renderci conto che comporre una guida significa compiere tutta una serie di azioni spregiudicate e a tratti spericolate. Prima azione: rendersi conto di cosa c'è dentro il fazzoletto di mondo prescelto (città, regione, stato che sia), vale a dire percorrerlo e considerarlo, allertare i sensi, farsi capienti di impressioni. Seconda azione: stabilire un'orografia di valori tra tutto quello in cui si è incappati (quali sono i musei da non perdere?, in quali piazze si è fatta davvero la Storia con la esse maiuscola?, quali ristoranti è meglio consigliare?, da dove trarre i souvenir senza che abbiano l'aspetto atroce di souvenir pur essendoli?). Terza azione: stabilire un ordine in cui rilasciare tra le pagine i materiali di cui ci siamo appropriati. Quarta azione: trovare uno stile di rilascio che proceda in equilibrio tra sintesi e analisi, non dilungandosi in frivolezze ma nemmeno tralasciando quello che è importante dire. Insomma, comporre una guida vuol dire prendere per le corna il mondo e farci i conti, dando fuori un manualetto d'uso che sia utile a chi vorrà prenderlo per le corna dopo di noi.
E va bene, okay, tutto questo è vero partendo dal presupposto che il mondo esista e che di quel che è nel mondo ci si voglia occupare. Ma se il presupposto invece cambiasse? Se, pur continuando a esistere il mondo, si volessero esplorare e inventariare cose che non ci sono, ma potrebbero, messe a fianco di quelle vere? Su questo presupposto riposa il lavoro compreso nelle pagine seguenti. Si tratta infatti di una serissima guida a luoghi fantastici, o a dettagli fantastici di luoghi reali. Il fazzoletto di mondo preso in considerazione è la provincia di Piacenza, una strana terra che ha tutte le carte in regola per essere resa fantastica: a partire dalla sua posizione geografica ambigua, che la rende anfibia tra Emilia, Lombardia, Piemonte e Liguria, impossibilitata a dedicarsi davvero anima e corpo a una delle regioni, passando per un clima infarcito di nebbia, vale a dire dell'elemento climatico che favorisce l'invenzione per eccellenza, per arrivare infine alla tanta acqua sventagliata nel territorio, tra il Po e i suoi affluenti, e si sa, l'acqua è quanto di più mutevole si possa trovare ai nostri piedi.
Nella guida dunque troverete musei, luoghi di rilevanza storica, negozi, ristoranti, chiese, sotterranei, vie a vario diritto notevoli, aree verdi e quant'altro, oltre naturalmente a un'appendice dedicata alle principali ricorrenze del territorio, vale a dire feste e manifestazioni: del resto, in un luogo ci si reca non solo per visitarlo, ma anche per immergersi nei suoi usi&costumi. E per una volta, la lettura di una guida vi prenderà dalla prima all'ultima pagina, non sarà un varco di passaggio per arrivare al viaggio vero e proprio ma sarà un viaggio in sé e per sé, compiuto e, appunto, fantastico.
Va da sé che probabilmente desidererete visitare davvero le tappe descritte. O talvolta farci finire qualcuno che vi sta antipatico (non tutto quel che di notevole c'è in un territorio è per forza piacevole...). Purtroppo non è possibile. Oppure sì? A lungo andare qualche cosa colerà fuori dalla guida, attecchirà nella realtà e crescerà fino a esserci davvero e del tutto? Chi lo sa. La guida è piena di proposte, adesso sta al mondo accoglierle.
(prefazione di Gabriele Dadati e Giovanni Battista Menzani)

mercoledì 27 novembre 2013

#, 01

Mia figlia si è accorta che tutti i giocattoli sono Made in China.
Però, ha detto ieri a tavola, questi cinesi fanno proprio delle cose belle.

domenica 24 novembre 2013

ROCK’n’GOAL: CALCIO E MUSICA. PASSIONI POP, di Antonio Bacciocchi e Alberto Galletti

Sottovalutato anche qui da noi, forse a causa di quella timidezza, di quel garbo e di quella pacatezza che lo contraddistinguono, Antonio “Tony Face” Bacciocchi - coinventore di “Tendenze” e membro storico dei Not Moving - è stato ed è tutt’ora un grande agitatore culturale. Cultura da intendersi nel senso popolare del termine. A differenza di altri intellettuali più snob, Tony non ha mai nascosto le sue simpatie verso passioni pop come la musica e il calcio, oltre che per la politica e i temi sociali. Chi legge il suo blog (http://tonyface.blogspot.it) lo sa bene.
“Entrambi i fenomeni, calcio e rock, sono identitari” - racconta Bacciocchi in una recente intervista a Rolling Stone – “hanno un immaginario simile: come in un concerto la rockstar si esibisce davanti a un pubblico numeroso che lo incita e lo appoggia, lo stesso fa il calciatore…”. Per chiarire meglio il concetto, cita John Peel, storico DJ della BBC: “Sebbene entrambi siano condotti da gente volgare e rozza che non ha cuore altro che il cliente che paga, il prodotto in sé in entrambi i casi mantiene una capacità di partecipazione emotiva che va oltre la comprensione dei suddetti rozzi e volgari”.
Il tema del rapporto tra calcio e musica viene approfondito davvero con dovizia di particolari in “ROCK’n’GOAL. CALCIO E MUSICA. PASSIONI POP”, scritto a due mani con Alberto Galletti ed edito da Vololibero, con prefazione di Jacopo Casoni e postfazione di Claudio Agostoni.
Un libro che parla di calcio e di pop-rock. Ovvero, il sogno di Nick Hornby. Il sogno di molti di noi. "Rock’n’goal" ne analizza tutte le possibili, anche quelle più improbabili e insospettabili, connessioni. Calciatori cantanti, canzoni dedicate al calcio, tifosi eccellenti, il rock e le sottoculture nelle curve. Con stralci di interviste sulle passioni calcistiche di Mick Jagger, Paul McCartney, Roger Daltrey, Clash e decine di musicisti e cantautori italiani.
Il volume ha avuto una vasta eco sui media nazionali: ne hanno parlato i maggiori quotidiani,  il sito del Corriere gli ha dedicato persino una bella galleria fotografica, e Tony è stato ospite di Sky e a Quelli che il calcio.
Gli aneddoti e gli episodi da riportare sarebbero tantissimi, basti citare di un Julio Iglesias portiere della squadra giovanile del Real Madrid, di un piccolo David Bowie ottima ala sinistra, di un Badly Drawn Boy che a diciotto anni fece un provino per il Manchester United. O anche dei 45 giri incisi da Paul Gaiscogne, Kevin Keegan e Giorgio Chinaglia. Delle esibizioni pedatorie di Rod Stewart ed Elton John. Della fede dei fratelli Gallagher per il City, o di quella nerazzurra di Luciano Ligabue, che ha omaggiato Oriali nel brano “Una vita da mediano”. Di “Santa Maradona”, grande successo dei Manonegra. Di Jagger sul palco a Torino, l’11 luglio del 1982, con la maglia azzurra di Paolo Rossi. E del finale di “Fearless” dei Pink Floyd, con il coro della Kop, la curva del Liverpool, che intona “You’ll never walk alone”.
Tra le storie meno conosciute, c’è quella di Billy Bragg: durante un suo viaggio in Bolivia per realizzare un documentario per la BBC, a 4000 metri di quota davanti a un panorama mozzafiato, riuscì a captare una trasmissione inglese in cui si annunciava che il suo West Ham aveva perso 6-0 contro l’Oldham. Commentò: ‘Sentii il mondo crollarmi addosso”. Oppure c’è quella di “Munich Air Disaster 1958”, una bellissima canzone di Morrissey, da ragazzo assiduo frequentatore delle gradinate dell’Old Trafford, omaggio ai calcatori del Manchester United scomparsi in una tragedia aerea: “Li abbiamo amati, li piangiamo, sfortunati ragazzi in rosso”. Tornando in Italia, bella la testimonianza di oSKAr (Oscar Giammarinaro), leader della storica band Statuto, ultrà granata, in cui racconta il suo incontro con l’allora capitano del Torino Giorgio Ferrini: enorme, forte e fiero, (…) sempre pronto a difendere tutti i suoi compagni. “Quando diventai capitano dei pulcini dissi al mio allenatore: ma io dovrei fare come Ferrini? Come Ferrini non c’è nessuno, mi rispose con un’aria lui quasi sconsolata”.
Queste e altre chicche ci racconteranno Tony Face e Alberto Galletti in persona, mercoledì 27 novembre (ore 21), ospiti del Caffè letterario Melville di San Nicolò. 




giovedì 21 novembre 2013

Ora, che nessuno dica che twitter è solo una colossale perdita di tempo.
O che rende stupidi, come dice Jonathan Franzen, dimenticandosi di distinguere chi usa i social network in modo utile e intelligente da chi posta su youtube dei video in cui mescola le Mentos alla Diet Pepsi (cit.)
Insomma, tante cose non vanno nel mondo moderno, sempre per citare l'immenso autore de "Le Correzioni", ma perchè prendersela così tanto con l'unico social decente.
Guardate cosa ci ho trovato stamattina, per esempio.
E' o non è un capolavoro?
Realismo sovietico 100%.
Mutandoni agghiaccianti, e anche il vetromattone non è male, con quelle righe orizzontali e verticali incrociate.
Sono sicuro che anche Franzen apprezzerebbe.


martedì 19 novembre 2013

HO UN LIBRO IN TESTA

Guardatevi attorno: c'è un esordiente particolare.

Fra le notizie belle di questa settimana che entra c’è che giovedì 21 arriverà nelle librerie L’odore della plastica bruciata, libro d’esordio di Giovanni Battista Menzani. Lo pubblica LiberAria e si tratta di tredici storie dove forte è l’immaginario espresso, un immaginario bizzarro e allo stesso tempo sottile, che si pone sotto un segno: quello per cui il mondo in cui viviamo è esattamente come ci appare, ma al contempo è anche diverso, perché nasconde nei suoi anfratti qualcuno che ne paga i conti in maniera inaspettata.
Mi spiego. Nel primo racconto troviamo un outlet come ce ne sono tanti, con i suoi negozi che fingono di essere piccoli edifici, con la sua folla festante e quant’altro. Solo che, a differenza degli outlet che conosciamo, questo ospita anche dipendenti che travestiti da muli non solo fanno manutenzione, ma portano anche le merci sul dorso dai negozi fino alle macchine parcheggiate.
Nel quarto racconto ci troviamo a gironzolare tra le baracche abitate da aspiranti-comparse nei maggiori programmi televisivi: se ne stanno lì a oziare, bevono e litigano tutto il giorno, aspettando «la chiamata» per fare il pubblico in un quiz a premi, ma se va bene anche il finto ospite che racconta la sua finta storia struggente alla presentatrice di turno (un po’ finta anche lei) in studio. O ancora nel racconto seguente due agenti ispezionano l’appartamento di un vecchio – come già in passato – per verificare che abbia rispettato per bene il protocollo, che si sia attenuto a regole che a mano a mano emergono. E così via. Si tratta cioè tredici storie in cui i singoli sono sovrastati da un qualche sistema che li ha integrati – spesso al livello più basso – e li utilizza per far funzionare le cose a vantaggio degli altri. Li sfrutta? Li umilia? Può anche essere, sì, ma non è questo il punto. Se ne serve, ecco. Ed è tutto normale.
Quello che voglio dire è che Giovanni Battista Menzani, col suo libro bello e sbarazzino, sembra quasi aver portato all’eccesso il nostro mondo (o aver visto, dentro il nostro mondo, qualcosa che a tutti noi sfugge) ed essersi dedicato a raccontarlo con estrema precisione, oltre che con dignitosa vicinanza. I suoi personaggi non sono né patetici né macchiettistici, semplicemente sono perché così devono essere. Mi fa venire in mente uno scrittore statunitense tradotto credo con nessun successo da minimum fax una decina di anni fa, Steven Sherrill, e il suo romanzo Il Minotauro esce a fumarsi una sigaretta, storia di M., il Minotauro appunto, che lavora come cuoco in una bisteccheria e sogna di aprire un chiosco di hot dog per starsene tranquillo con la ragazza che ama. Che sia un Minotauro non fa specie a nessuno, e basta.
Giovanni è l’ideatore di quell’impresa che è il Dizionario Biografico Fantastico dei Piacentini Illustri (PiacenzaSera, 2012), di cui ho avuto la fortuna di essere cocuratore. Che dirvi? Le sue idee sono così, un po’ bislacche, ma molto sensate. Ne parleremo insieme mercoledì 20, ore 19, alla libreria Fahrenheit 451 di Piacenza (sta in via Legnano, a cento metri dal Duomo). Alla fine, tra l’altro, mi sa che si beve. Se riuscite a passare fa piacere, o se no L’odore della plastica bruciata lo trovate un po’ ovunque il giorno dopo.

(Gabriele Dadati)

 http://www.hounlibrointesta.it/2013/11/18/giovanni-battista-menzani-l-odore-della-plastica-bruciata/

CARTOLINE DALLA FINE DEL MONDO, 01


mercoledì 13 novembre 2013

ORDINE E FLUTTUAZIONE DI DFW

Nel vedere e nel provare qualcosa che somigli a ciò che Barry Dingle prova mentre fissa a bocca aperta da dietro gli occhiali e da dietro la vetrina del negozio il vetro che riflette oscuramente dell’autobus impantanato, lo studioso del fenomeno Barry Dingle deve provarsi a immaginare l’inimmaginabile ricchezza, portata, promessa dei bollettini comunitari di fronti ai quali Myrnaloy si pone come selezionatrice e sentinella, una bacheca di svolazzanti annunci estrosi, sfregi all’Establishment, presentazioni – richieste di attenzione da parte di gruppi di sostegno delle lesbiche cifotiche, bar maoisti, lotti di orti biologici in affitto, dentisti che deprecano mercurio e alluminio, partiti politici dall’orientamento oscuro con nomi più lunghi delle liste dei candidati, insegnanti di sitar, telefoni amici per anoressici, diffusori orientali e mediorientali della coscienza spirituale, telefoni amici per bulimici, medici che curano con cristalli e grano, troupe di ballerini interpretativi di tip tap, massaggiatori olistici, agopuntori, agopuntori chiropati, mimi marxisti che hanno ricavato una pantomima dal Kapital, dattilografe, medium, specialisti in nutrizionismo, compagnie teatrali che rappresentano solo Brecht, riviste letterarie della Pioneer Valley con diffusione a due cifre, e avanti di questo passo – un aggeggio enorme, piatto, tempestato di graffette e puntine da disegno, con una speciale tenda del “Collective Copy” a proteggerlo dalle apatiche vicissitudini delle condizioni atmosferiche del New England. La bacheca è il ganglo avanguardista della zona, una calamita che con forza centripeta attira dal centro città gli ioni diffranti della vasta notte organizzativa di Northampton, che ogni mattina rampolla rinnovate, rutilanti rivendicazioni di esistenza e efficacia, curate, ordinate, setacciate nel tardo pomeriggio da Myrnaloy Trask che, al momento, riflessa nello scudo grigiastro del vetro dell’autobus, col vento di giugno a tracciarle serpenti tra i capelli, un dito dall’unghia mangiucchiata su uno scintillante volantino di leggittimità e valore discutibili, sta lì a decidere se quelle parole abbiano il diritto di esistere (…)

da "Ordine e fluttazione a Northampton", DAVID FOSTER WALLACE ("Questa è l'acqua", Einaudi, 2009)

ACTOR'S CUT OF "FUCK MONOLOGUE" FROM "25TH HOUR"

http://www.youtube.com/v/yXMt4pKRwwY?autohide=1&version=3&attribution_tag=yseXjpzNS8nxAFwsjarEEw&autohide=1&feature=share&showinfo=1&autoplay=1

La venticinquesima ora, SPIKE LEE, 2002.

domenica 10 novembre 2013

INCIPIT, 01 (COSE A CUI STO LAVORANDO ADESSO)

Una piramide rastremata verso l'alto, a tronco di cono, in mezzo all'oceano. Cosi' mi ero sempre immaginato il Purgatorio: una piramide con le balze successive intagliate nella montagna, simili a gradinate, come riprodotto sui libri e sulle enciclopedie. 
Stronzate.
E' solo una immensa e monotona pianura non coltivata, una distesa di erbacce e di terra e di polvere immersa nella nebbia. 
Il nulla come orizzonte.

mercoledì 6 novembre 2013

ARCHITETTURA MODERNA, 01


STEREO BLUES VOL. I: PUNK COLLECTION

L’EP “Stereo Blues Vol. 1: Punk collection” è il primo episodio di quattro omaggi che Lilith e i suoi Sinnersaints vogliono tributare alle radici del proprio sound, un viaggio trasversale e obliquo attraverso la musica rock e non solo; quattro omaggi che verranno successivamente raccolti in un imperdibile metalbox a tiratura limitata.
I brani selezionati per questo Volume One sono tutti datati alla fine dei Settanta. Un periodo fecondo e irripetibile, quando il punk – sporco, nichilista, trasgressivo – fece irruzione in un contesto caratterizzato da una forte crisi economica e dal riflusso di quella rivoluzione dei Sixties, ormai morta e sepolta. Gli anni in cui Lilith (al secolo: Rita Oberti), a soli quindici anni, contribuì a creare la leggenda dei Not Moving.
Un percorso personale, prima di tutto: ma anche un tributo a una generazione.
“Sailin’ On” è un classico dei Bad Brains, gruppo di Washington tra i pionieri dell’hardcore: la versione di Lilith è assai più lenta, un notevole blues indolente a là Nick Cave. 
“i’m stranded” è il singolo di debutto degli australiani Saints, che nel ’76 anticiparono un po’ tutti, persino i Sex Pistols. Qui sembra suonata dagli Husker Du o dai R.E.M. di “Murmur”.
“See no evil” è la prima traccia da “Marquee Moon”, disco d’esordio dei Television di Tom Verlaine e pietra miliare del rock. E’ la più fedele all’originale. Poco male, in questo lotto è la nostra preferita.
Infine, non potevano mancare i Clash. La scelta a prima vista parrebbe inusuale, ma il brano “The sound of sinners” (dall’album triplo “Sandinista”, 1980) è – oltre che una satira irriverente sulla religione cattolica – anche, probabilmente, l’origine del nome dei “santi peccatori”. Cover di grande classe, tra il rockabilly e il vecchio west, impreziosita dai cori gospel di Carla Gatti, Beppe Cassi e Lorenzo “Puccio” De Benedetti. In coda, un omaggio alla blank generation.
L’interpretazione di Rita è impeccabile. La sua voce dura e allo stesso tempo suadente è accompagnata da un’ormai affiatata band composta da Tony Face Bacciocchi alla batteria e Massimo Vercesi alla chitarra; attualmente il gruppo è completato da Christian Josè Cobos (Cj HellectricBass) al basso.
Curiosissimi di ascoltare il seguito.

lunedì 4 novembre 2013

ARCADE FIRE, "Reflektor" (2013)

"Reflektor” non e' il disco dance degli Arcade Fire.
E’ vero, c'e molta elettronica, ci sono le basi, ma anche molto di più. Assurdo paragonare la band di Montreal ai Daft Punk, come hanno fatto alcuni. Più interessanti i parallelismi con album come “Station to station” (un Bowie all’apice del successo sterzò verso una dance wave spiazzando tutti) e “Achtung Baby” (la svolta berlinese degli U2 all’apice del successo).
Anche in “Reflektor”, quarto e doppio album della band più amata del circuito alternativo, c'e voglia di cambiare. C’è più ritmo, e c’è un’atmosfera più serena e rilassata rispetto agli esordi (ricordate “The Funeral”?), forse per merito del clima caraibico della Giamaica, dove il disco è stato registrato, e di Haiti, paese di provenienza di Régine Chassagne. Loro stessi ammettono: “Ci piace ballare, ma la musica dance è così stupida”. C’è più glam, e lo stesso Win Butler appare sempre più consapevole del suo ruolo di star internazionale. Ci sono infine i rimandi letterari – il mito di Orfeo, Camus – e alla scultura di Rodin.
C’è, soprattutto, l’ambizione di voler dimostrare a tutti la propria forza.

Apre il Disco 1 il singolo omonimo, con il quale la band indica la nuova strada che già “The suburbs”, tre anni fa, aveva anticipato con brani da revival anni ’80 come “Empty room” e “Sprawl II” e i barocchismi di “Rococo”. La co-produzione di Murphy degli LCD Soundsystem ha fatto il resto.
La seconda traccia, “We exist”, pulsa su uno spettacolare groove. “Normal person” è un blues-rock di classe, mentre “Here comes the nighttime” è un quasi-reggae davvero irresistibile (e questa volta sì, il paragone regge: questo pezzo potrebbe togliere a “Get Lucky” il titolo di tormentone dell'anno) nei suoi continui cambi di ritmo. Questi tre brani rappresentano la soundtrack di un divertente video – autore: Roman Coppola – girato in un anonimo locale della provincia canadese (il Salsatheque) gestito da ispanici che adorano i Mumford & Sons e vorrebbero Bublè: con un cameo di Bono e di Ben Stiller. Come a dire, pronti a entrare nell'olimpo dei grandi. 
Oltre a questi, c’è il punk di “Joan of Arc” con un un gran giro di basso - il basso e' spesso in primo piano, in tutto l'album. “The bassline on Joan of Arc is fucking epic”, commentano gli stessi Arcade Fire - e il pop raffinato
Il Disco 2 è forse leggermente inferiore. Qui in primo piano ci sono le ballate elettroniche “Porno” e “Awful sound” (“I know you can see / Things that we can’t see / But when I say I love you / Your silence covers me / Oh, Eurydice, It’s an awful sound, e subito dopo When you fly away / Will you hit the ground? / It’s an awful sound”), l’electro-funk di “It’s never over” e la classica “Afterlife” (insieme a “You already know” il brano che segna la maggior continuità col passato). Chiude una psichedelica “Supercymmetry”, oltre undici minuti di suoni e riverberi.
Il disco dell’anno?