sabato 28 gennaio 2012
domenica 15 gennaio 2012
La terra del ghiaccio
L’alba del nuovo anno – quello definitivo, secondo la profezia Maya – è ancora avara di novità, e dunque occorre guadarsi ancora indietro per ripescare tra le uscite di quello passato.
E quindi: notizie (non proprio fresche…) dalla lontana terra d’Islanda.
Lasciatasi alle spalle l’estremismo avanguardista e snob di “Medulla” e “Volta”, opere – va detto - quasi inascoltabili, Bjork ha dato alle stampe “Biophilia”, ovvero un lavoro che segna un timido ritorno all’elegante techno-pop degli esordi, soprattutto per ciò che riguarda gli episodi più radiofonici (Crystalline, Virus).
Tuttavia, l’artista ormai newyorchese d’adozione fa parlare di sè soprattutto per lo sfruttamento delle tecnologie digitali più trendy: ella concepisce i propri lavori in primo luogo come applicazioni da scaricare su tablet o smartphone, algoritmi "intelligenti" che non si limitano a proporre le canzoni dell’album ma che creano microcosmi multimediali – e variabili - intorno alle stesse (l’applicazione “Biophilia” è gratuita sull’AppStore, mentre le singole tracce sono sotto-applicazioni a pagamento).
Mah.
Dopo oltre tre anni di attesa – interrotti solamente dal secondo album solista di Jonsi – ecco invece un torrenziale live dei conterranei Sigur Ros – assai più legati alla terra natìa - tratto a dire il vero da un’esibizione non troppo recente: due concerti tenuti all’Alexandra Palace di Londra nel 2008.
Il titolo “Inni” significa dentro.
Ed è una bella esperienza quella di entrare dentro la musica sognante e misteriosa, eterea eppur emozionale, della band di Reykyavik, che resta comunque una delle migliori cose del panorama della musica popolare d’autore (post-rock?) degli ultimi tempi.
La confezione in vendita è composta da quattro vinili, due CD e un DVD contenete un film documentario della serata. Il live è un meraviglioso, e faticoso, compendio della carriera – 17 anni, si formarono infatti nel dicembre del 1994 prendendo il nome dalla sorellina neonata di Jonsi: Sigurros, ovvero Rosa della Vittoria - dei ragazzi islandesi. Quattordici brani che toccano e ripercorrono tutti i lavori, dall’ormai lontano “Von” all'ultimo “Með Suð I Eyrum Við Spilum Endalaust”. Le perle del disco: Hoppipolla, Saeglopur, Svefn-g-englar, Festival (cazzo, almeno un nome facile…)
La raccolta si conclude con l'inedito in studio Lúppulagið, un brano dall’atmosfera ambient che sembrerebbe anticiparci il loro futuro.
Non resta che attenderli alla prova.
lunedì 9 gennaio 2012
Archiviato l’anno appena trascorso con il trionfo annunciato – almeno per il pagellone di PiacenzaSera – di Justin Vernon aka Bon Iver, meritatamente un gradino o due sopra Wilco, P.J. Harvey, St. Vincent e James Blake, non resta che recuperare alcuni lavori assolutamente misconosciuti ma interessanti che, per ragioni di spazio, abbiamo in passato colpevolmente ignorato.
Ma anche qui non c’è spazio per tutti – verrebbero in mente i transalpini M83, i danesi Iceage, poi i Tuneyards, i Gang Gang Dance e anche il secondo album di Antlers, progetto solista di Peter Silberman, da Brooklyn – e dunque siamo costretti a scegliere solamente due titoli: Girls e Dirty Beachers.
I primi arrivano da San Francisco e sono capitanati da Christopher Owens, hipster magro e biondo con una biografia che sembra scritta da un Frank Capra in acido: orfano di padre in tenerissima età, cresciuto dalla setta religiosa Children of God dopo aver girovagato per anni con la madre prostituta, infine adottato da un milionario di Beverly Hills, che non si sa se è un lieto fine.
Il loro rock chitarroso e abrasivo si richiama alla migliore scuola americana anni ’80, epoca pre-grunge: Husker Du e Replacements.
Si ascoltino Vomit – il primo singolo estratto dall’album, un lungo lamento che fa pensare a Nick Cave – poi My Ma (palesemente ispirata dal Neil Young di Rust Never Sleeps), la cavalcata psych Die e la melodica Just a Song.
Quello di Alex Zhang Hungtai aka Dirty Beaches è invece un dischetto sporco e imperfetto (dura poco più di venti minuti, ma attenzione: è un vero gioiellino) scovato grazie a Sentire Ascoltare, che lo ha inserito tra le rivelazioni del 2011. L’atmosfera – lo dice il titolo – dovrebbe essere ispirata allo Springsteen crepuscolare di Nebraska. Si sente l’influenza anche dello psichobilly distorto e scomposto di Cramps e Suicide e della canzone d’autore di scuola francese; con echi di romanticismo tenebroso da Giant Sand, Portishead e Tindersticks.
Un grande dischetto.
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