domenica 6 novembre 2011
Vallo a sapere, il motivo per cui i Kasabian – incensati e idolatrati in madrepatria – non godano qui da noi di buona stampa.
Forse perché fondamentalmente sono degli stronzi: atteggiamento arrogante e sfrontato da workingclass dei sobborghi e look tamarro, in particolare quello del leader Sergio Pizzorno, di origini genovesi.
Non deludere le attese dopo l’ottimo West Rider Pauper Lunatic Asylum, il loro successo planetario del 2009, non era impresa semplice.
Tuttavia questo Velociraptor conferma la band di Leicester come una delle migliori del panorama britannico, panorama peraltro oggi non entusiasmante. Certamente più bravi a non ripetersi rispetto alle tante next big things d’oltremanica dello scorso decennio (Arctic Monkeys, Bloc Party, Kaiser Chiefs).
Insomma, saranno pure stronzi, questi Kasabian, ma sanno fare tutto e bene.
Nella nuova raccolta – eclettica e zeppa di citazioni: il primo singolo Days Are Forgetten fa addirittura il verso a un monumento come Immigrant Song dei Led Zeppelin - non mancano il clubbing duro stile Prodigy (Switchblade Smiles e la title-track, forse il momento più debole insieme all’elettronica insipida di I Hear Voices), il blues-rock spavaldo tra Primal Scream e Rolling Stones (Re-wired, da non perdere il videoclip nel quale i quattro sono impegnati in un inseguimento a bordo di una Fiat 126 rossa), il brit-pop classico (Goodbye Kiss e Man Of Simple Pleasures) e i Beatles lisergici di Sgt Pepper (La Fee Verte e Neon Noon).
Ma le vere gemme dell’album sono a nostro parere due episodi dall’atmosfera vagamente orientaleggiante, ovvero l’iniziale Let’s Roll Just Like We Used To (la memoria va a Spirit e Kaleidoskope) e l’ipnotica Acid Turkish Bath (Shelter From The Storm), probabile omaggio ai grandi Chemical Brothers di The Private Psychedelic Reel.
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