domenica 18 marzo 2012

The revolution will bw not televised


Appuntamento di grande interesse, quello svoltasi lo scorso mercoledì al Caffè Letterario Baciccia. Nel corso della serata – che ha visto la speciale partecipazione di Luca Frazzi, redattore del mensile musicale “Rumore” e di Alioscia, vocalist storico dei Casino Royale - sono stati infatti presentati i due volumi “ORIGINAL RUDE BOY, DALLA GIAMAICA AGLI SPECIALS”, sottotitolo: l'autobiografia dello Ska Inglese, e “GIL SCOTT-HERON, The Bluesologist”, Storia e discografia del padre del Rap.
Il primo testo è l’autobiografia di Neville Staple – scritta in collaborazione con il giornalista inglese Tony McMahon e tradotta in italiano da Antonio "TONY FACE" Bacciocchi, con la prefazione di Alioscia - ovvero il frontman di colore della band di culto degli Specials - leader incontrastati dello ska inglese e tra gli animatori dell’opposizione al governo Thatcher - , poi del trio pop Fun Boy Three e adesso del gruppo ska The Neville Staple Band.
Il secondo invece è opera dello stesso Bacciocchi, ed è un intenso ritratto della figura di Gil Scott-Heron, poeta, musicista, cantante, autore, scrittore, cantore dell'America del Vietnam e dell’emancipazione del popolo nero (fu ribattezzato dalla critica statunitense “il Bob Dylan nero”).
Nella prefazione al testo, Tony Face elenca i motivi per cui ha iniziato ad amare questo grande artista: “Qualcuno ha scritto che le sue canzoni sono piene di rabbia triste. Gil sa essere Malcolm X e James Brown, Curtis Mayfiled e Walt Withman, tragico e ironico, divertente e implacabile. Sa accostare stupende ballate a pungenti e devastanti inni politici.”
Il libro ripercorre la travagliata vita dell’artista nero, segnata da abusi di ogni tipo: dall’infanzia vissuta in casa della nonna paterna nel Tennessee, che gli garantì una solida educazione e studi prestigiosi, alle prime prese di coscienza a livello politico e sociale, che coincisero con le morti di Kennedy, di Malcolm X e soprattutto di Martin Luther King (un periodo che lui ribattezzò “Winter in America”, che è anche il titolo del suo terzo album di studio del 1973); dal debutto come romanziere (“The Vulture”, 1970 e “The Nigger’s Factory”, 1971) ai primi esperimenti musicali con un album di spoken words, in cui legge le sue poesie sull’orgoglio Blackness e che contiene una primissima versione dell’immortale “The Revolution Will Be Not Televised”, certamente il suo brano più noto ma anche controverso (lui stesso rinnegherà alcune interpretazioni troppo politicizzate del brano, come quella del Wu Tang Clan); dalla collaborazione con Brian Jackson e con la Midnight Band alla partecipazione al concerto “No Nukes” contro il nucleare (1979), e ai tour di Stevie Wonder; dai problemi con la droga al recente, grandissimo ritorno dopo un lungo periodo buio con l’eccellente “I’m New Here”, sino alla sua improvvisa scomparsa avvenuta lo scorso 27 maggio al St.Luke Hospital di New York, reduce da un lungo tour europeo.
Ironico e aggressivo, brutale e diretto, Gil voleva “gettare qualche informazione in faccia alla gente che altrimenti non avrebbe mai potuto avere”.
Considerato da molti artisti rap e hip-hop alla stregua di un padre spirituale (lui stesso apprezzava artisti come Common, Mos Def e Kanye West, anche se i suoi preferiti rimasero i grandi classici della musica afroamericana: Miles Davis, Nina Simone, John Coltrane, Billie Holiday), non ebbe forse il successo che avrebbe meritato. Colpa, anche, di un carattere non facile: “Se non fossi stato l’eccentrico, l’odioso, l’arrogante, l’aggressivo, l’introspettivo, l’egoista quale sono stato, non sarei stato io. Non mi pento di aver fatto quello che ho fatto o del modo in cui l’ho fatto. So che se fossi stato zitto su un paio di cose probabilmente avrei fatto un po’ di soldi, ma non avrebbe dato più senso a quello che ho fatto. E non sarei stato capace di dire ai miei figli: ho alzato la testa per questo”.
La sua vita, suggerisce Bacciocchi nell’epilogo del breve saggio introduttivo sulla sua parabola umana ed artistica, può essere suggellata dal fatto che “Io credo nelle mie convinzioni, sono stato condannato per ciò in cui credo”.

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