venerdì 5 febbraio 2010
Artista prolifico come pochi, Mark Oliver Everett.
A pochi mesi di distanza dall’ottimo “Hombre Lobo” – classificatosi al secondo posto nel pagellone di PiacenzaSera dello scorso anno – Mr. E torna con un nuovo lavoro intitolato “End Times”.
Il sospetto che si potesse trattare di una raccolta di B-sides, outtakes ed episodi minori era forte, dato il poco tempo a disposizione.
E invece il nostro eroe – accompagnato come sempre dai suoi fidati Eels - supera l’ennesimo esame con un album spoglio ed essenziale, permeato dall’inizio alla fine da un grande senso di vuoto e di abbandono. Un album che lo conferma come il miglior erede di una stirpe di cantautori intimisti ed esistenzialisti, di loner (“L’epitaffio inciso sulla mia tomba: qui giace un uomo che voleva semplicemente restare solo”), da Leonard Cohen a Nick Drake, da Neil Young a Tim Buckley.
Ispirata da una cocente delusione d’amore (“Lei è molto carina, ma adesso sene è andata!”), la vena malinconica di Mr. E – ritratto sulla cover dal fumettista Adrian Tomine nelle vesti di un anziano signore barbuto – si esprime ai consueti, altissimi, livelli in struggenti ballate pianistiche – “A line in to the dirt” e “I Need A Mother” – e in brani acustici come la dylaniana “Mansion Of Loz Feliz” e “In My Younger Days”, oltre che nella title-track con la quale sembra voler fare un primo bilancio (negativo) della sua esistenza. Ancora, l’armonica a bocca e una chitarra in stile West Coast accompagnano “Nowadays”, mentre l’atmosfera è piu’ sognante nella opener “The Beginning”.
L’amore per il blues e per le radici americane emergono a piu’ riprese nella tradizionale “Paradise Blues”, un pò Springsteen, e in pezzi atipici – quasi senza percussioni - come “Gone Man” e “Unhinged”, ancora fortemente influenzata dal lo-fi del primo Beck, utili se non altro a spezzare la tensione.
Tensione che aleggia sulle conclusive “Little Bird” - il primo singolo estratto, distribuito gratuitamente attraverso il sito - e “On My Feet” (“sto uno schifo dentro, non è che sia granché facile camminare sulle mie gambe ora come ora, ma sono certo di aver vissuto anche di peggio”) in grado di riportarci – tranquillamente, però – nella piu’ cupa disperazione.
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