sabato 24 settembre 2011
La leggenda dei Jethro Tull e di Ian Anderson ha inizio, nel nostro paese, nel febbraio del 1971.
L’Italia è in quel periodo terra di conquista per gli alfieri del cosiddetto progressive rock britannico, nelle sue varie declinazioni: dal filone sinfonico/classico (Yes, EL& P, Gentle Giant, Procul Harum) a quello più politicamente impegnato e con venature jazzy (King Crimson, Family); anche se, in generale, Woodstock è lontana - le manifestazioni studentesche anche - e il si vive un periodo di riflusso che culminerà negli anni di piombo.
Numerosi rappresentanti del genere – tra i migliori i primi Genesis di Peter Gabriel, i Van der Graaf Generator di Peter Hammill e i King Crimson di Robert Fripp – fecero molta fatica ad affermarsi in casa propria, e tuttavia il loro teatro barocco e artistoide, fatto di tastiere e complessi arrangiamenti orchestrali, in poco tempo sbancò le charts in Svizzera, Belgio, Olanda e Italia, dando vita tra l’altro a una fioritura di ottimi gruppi nostrani (da noi Il Banco del Mutuo Soccorso, Il Rovescio della Medaglia, Le Orme e – con sfumature diverse – band storiche come la Premiata Forneria Marconi e gli Area di Demetrio Stratos).
Il primo febbraio 1971 i Tull suonano, per la prima volta in Italia, al Teatro Smeraldo di Milano, davanti a 4.000 fans rapiti ed estasiati.
Sino ad allora, erano usciti tre album - This Was (1968), Stand Up (1969) e Benefit (1970) – che avevano suscitato l’interesse di un pubblico ancora ristretto e che restavano, tutto sommato, nel campo blues-rock.
Nonostante il fumo dei lacrimogeni e gli scontri, all’esterno del teatro, tra gruppi di autonomi e forze dell’ordine, la serata milanese si rivela un autentico trionfo per la band di Blackpool.
Al centro dell’attenzione di tutti, ovviamente, il leader Ian Anderson e il suo piffero magico – è un flauto traverso - e il suo look eccentrico: pastrano a scacchi, fuseau neri e stivali scamosciati e stringati.
Il concerto si apre con una versione acustica di My God, uno dei vertici della loro carriera e uno dei pezzi trainanti del nuovo album Aqualung - che ancora non è uscito nei negozi per l’etichetta Chrysalis - ovvero la storia drammatica ed aspra di un clochard (il barbone raffigurato sulla celebre copertina assomiglia molto allo stesso Anderson) in un contesto urbano squallido e assai degradato, popolato da ladri e puttane ("Sitting on a park bench, eyeing little girls with bad intent"): la mini-suite non è altro che l’ultimo rantolo rabbioso di Aqualung in punto di morte, e contiene guidizi sarcastici e sprezzanti nei confronti della "sanguinosa Chiesa d'Inghilterra”: The bloody Church of England in chains of history requests your earthly presence at the vicarage for tea.
I nuovi brani vengono eseguiti da una band in autentico stato di grazia: lunghe cavalcate con improvvisi cambiamenti di scena e di ritmo, sfrenate jam intervallate da intervalli acustici: la straordinaria Locomotive Breath e Cross-Eyed Mary, oltre naturalmente alla title-track, il ritratto proletario di Up To Me e la sarcastica Hymn 43, e poi il repertorio tratto dalle opere precedenti: Nothing is Easy, Bouree e Jeffrey Goes To Leicester Squeare. Il live-asct si conclude con una strepitosa versione di Wind Up, altro atto di accusa nei confronti di Dio ("He’s not the kind you have to wind up on Sundays/Non è il caso disturbarlo di Domenica")
Quello dei Jethro Tull è un prog assolutamente atipico, capace com’è di amalgamare l’hard-rock degli Zeppelin – il riff di chitarra di Acqualung è uno dei riff definitivi della storia del rock – con la classica e con il jazz, ma in primo luogo con il folk e la grande tradizione blues: l’attaccamento alla radici è testimoniato anche dall’incoinsueta scelta del nome, ispirata dal pioniere della moderna agricoltura, l'agronomo Jethro Tull (1674-1741).
Dopo Aqualung verranno altri ottimi lavori – il concept album Thick As A Brick (1972) e altri episodi minori; insomma, quello fu il momento magico, e dopo quel momento nulla fu come prima.
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