sabato 11 gennaio 2014

TREDICI COLTELLATE FEROCI

Nella raccolta di racconti L’odore della plastica bruciata di Giovanni Battista Menzani ogni parola è un pugno, ogni descrizione la desolazione, ogni periferia più grigia.
Grotteschi personaggi eseguono azioni e ragionano su pensieri al limite dell’accettabile, in una solitudine che fa paura ogni pagina di più. Ultimi che vivono la loro vita ai margini della normalità gestendo il vuoto delle loro esistenze riempiendolo di umanità e di commozione. L'uomo cavallo di peluche al centro commerciale che cade durante le ore di lavoro e a cui nessuno dà una mano, la badante abbandonata dai figli dell'anziano deceduto che hanno modificato il testamento per non lasciarle nulla neppure il gas e la luce nell'ultima settimana di permanenza nella casa in cui lei da sola si è presa cura dell'anziano, la precaria con i capelli opachi il cui amore è così stanco, come lei, da non poter essere provato. Storie senza passi avanti, storie che non cambiano la vita degli individui descritti ma che tagliano l'anima di chi legge in tanti pezzi. Non c'è speranza nell'Italia di Menzani, ognuno fa il meno possibile per essere felice. Si sopravvive, a stento, in una vita che non dà ragioni per essere soddisfatti ma, soprattutto, per essere vivi.
Menzani scrive con essenzialità, senza fronzoli. Non cerca di essere umano, così come i suoi personaggi non hanno risvolti di ottimismo o di speranza. Sono quadri vuoti su una parete bianca, la cui muffa è già entrata nei polmoni dei lettori dalla prima pagina. Una drammatica Spoon River che scorre nascosta dai capannoni che infestano ogni chilometro della via Emilia, in decadenti caseggiati soffocati dal cemento e dagli svincoli autostradali.
Un mondo che è il nostro e allo stesso tempo è altro. Un mondo all’eccesso, in cui cose che conosciamo crescono enormemente e giganteggiano, accettate dai personaggi come normali, senza ribellioni o fughe. Perché il loro è un mondo gigante, invisibile, che sta dentro il nostro.
Menzani, architetto al suo esordio letterario, gioca con le forme e le costruzioni di vite precarie in bilico su precari rapporti: con il denaro e con le persone che creano le reti delle nostre esistenze. Puzzle che si combinano tra di loro, emozioni che si assomigliano nella devianza che si accompagna a una opaca serenità, solitudini di linee arrugginite dal tempo, dalla mancanza di affetto, dalla perdita di certezza.
Un esordio affilato, senza scampo.
(recensione di Antonella Gigantino, su Scenecontemporanee.it).
Grazie.

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