Nella raccolta di racconti L’odore della plastica bruciata di Giovanni Battista Menzani ogni parola è un pugno, ogni descrizione la desolazione, ogni periferia più grigia.
Grotteschi personaggi eseguono azioni e
ragionano su pensieri al limite dell’accettabile, in una solitudine che
fa paura ogni pagina di più. Ultimi che vivono la loro vita ai margini
della normalità gestendo il vuoto delle loro esistenze riempiendolo di
umanità e di commozione. L'uomo cavallo di peluche al centro commerciale
che cade durante le ore di lavoro e a cui nessuno dà una mano, la
badante abbandonata dai figli dell'anziano deceduto che hanno modificato
il testamento per non lasciarle nulla neppure il gas e la luce
nell'ultima settimana di permanenza nella casa in cui lei da sola si è
presa cura dell'anziano, la precaria con i capelli opachi il cui amore è
così stanco, come lei, da non poter essere provato. Storie senza passi
avanti, storie che non cambiano la vita degli individui descritti ma che
tagliano l'anima di chi legge in tanti pezzi. Non c'è speranza
nell'Italia di Menzani, ognuno fa il meno possibile per essere felice.
Si sopravvive, a stento, in una vita che non dà ragioni per essere
soddisfatti ma, soprattutto, per essere vivi.
Menzani scrive con essenzialità, senza
fronzoli. Non cerca di essere umano, così come i suoi personaggi non
hanno risvolti di ottimismo o di speranza. Sono quadri vuoti su una
parete bianca, la cui muffa è già entrata nei polmoni dei lettori dalla
prima pagina. Una drammatica Spoon River che scorre nascosta dai
capannoni che infestano ogni chilometro della via Emilia, in decadenti
caseggiati soffocati dal cemento e dagli svincoli autostradali.
Un mondo che è il nostro e allo
stesso tempo è altro. Un mondo all’eccesso, in cui cose che conosciamo
crescono enormemente e giganteggiano, accettate dai personaggi come
normali, senza ribellioni o fughe. Perché il loro è un mondo gigante,
invisibile, che sta dentro il nostro.
Menzani, architetto al suo esordio
letterario, gioca con le forme e le costruzioni di vite precarie in
bilico su precari rapporti: con il denaro e con le persone che creano le
reti delle nostre esistenze. Puzzle che si combinano tra di loro,
emozioni che si assomigliano nella devianza che si accompagna a una
opaca serenità, solitudini di linee arrugginite dal tempo, dalla
mancanza di affetto, dalla perdita di certezza.
Un esordio affilato, senza scampo.
(recensione di Antonella Gigantino, su Scenecontemporanee.it).
Grazie.
Nessun commento:
Posta un commento