Tocca ripeterci. Che fuoriclasse, Mark Kozelek.
Solamente l’anno in corso è uscito addirittura con due album, entrambi
notevolissimi. “Peril from the sea” è stato inciso con Jimmy la Valle,
ovvero Album Leaf, polistrumentista da San Diego, e l’incontro ha avuto
esiti bellissimi: malinconia sottile e cangiante, sound etereo e
slowcore. Eccezionale anche la con i Desertshore del suo ex compagno di
viaggio Phil Carrey. Qui l’atmosfera è meno rilassata e più elettrica,
il tono meno monocorde, c’è spazio per cambi di ritmo e arrangiamenti
pop.
Non siamo nemmeno a marzo che a sorpresa ecco il nuovo, sesto, Sun Kil
Moon. La cover è un paesaggio anonimo, un anonimo scatto da un
finestrino. L’album si apre con tre brani dalla struttura classica,
ballate malinconiche dall’incerto incedere tipiche della produzione
delle origini (Red House Painters). Ma il rischio della ripetitività è
scongiurato con il crescendo dell’ottima “Dogs” e dal cantato accelerato
di “Pray for Newton”.
“Jim Wise” è una filastrocca da carillon, mentre “I love my Dad” è un
blues sudista (Mark non ha vergogna a omaggiare i suoi genitori, vedi
anche “I can’t live without my mother’s love”, uno dei pezzi del primo
lotto. Indice di maturità artistica e di raggiunta pace interiore, si
dice in giro. Il suo disco più cupo, dicono altri.).
“I watched the film The songs remains the same”, lunga e ipnotica, con
arpeggio a là Cohen, è un ricordo dell’infanzia oltre che un omaggio
questa volta ai Led Zeppelin: l’album è ricco di citazioni di altri
musicisti – prevalentemente britannici - come Doors, Stevie Nicks, David
Bowie, Elvis Presley.
Sul finire i capolavori. “Richard Ramirez died today of natural causes” –
storia di un serial killer californiano: “His last murder was south of
San Francisco/A guy named Peter Pan from the town of San Mateo/A little
girl in the Tenderloin was his first/In the laundry room took a dollar
from her fist”- mette in mostra uno straordinario accavallarsi e
rincorrersi di parti vocali e una coda strumentale sontuosa, “Micheline”
è un indimenticabile e commovente ritratto di una ragazzina con
problemi di apprendimento. Il tutto si chiude con la leggerezza jazzy
(Steely Dan) di “Ben’s my friend”, dedicata al leader dei Death Cub For
Cutie, con archi sullo sfondo.
Un grande disco americano, fatto di polvere, blues, camionisti (lo zio
“Truck driver”, morto in un incendio il giorno del suo compleanno),
alcool e delitti: “Jim Wise killed his wife out of love for her at her
bedside/And then he put the gun to his head but he failed at suicide”.
Un disco di rara e intensa bellezza.
La versione deluxe ci regala ben cinque brani in versione live. A questo
proposito, il nostro eroe sarà in Italia presto, prestissimo: il 4
aprile al Circolo degli Artisti (Roma), il 5 al Bronson (Ravenna), il 6
al Biko (Milano) e il 7 al Circolo Mame (Padova).
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