La precarietà, l’unica conquista della società post-moderna”.
Ho riassunto così L’odore della plastica bruciata, opera di Giovanni Battista Menzani, recensita qualche settimana fa da Gli amanti dei libri. Una raccolta di racconti che fotografa con ironia la nostra quotidianità e che merita un approfondimento. La parola, quindi, all’autore.
Presentati ai nostri lettori.
Ho quarantacinque anni e vivo sulle colline della val Trebbia con la mia famiglia, un cane e un gatto. Di mestiere faccio l’architetto e ho da sempre una grande passione per i libri e la musica rock. Quando incontrai per la prima volta il mio editore, mi fu chiesto chi erano gli autori che più mi avevano influenzato. Risposi Bob Dylan. Più seriamente, la letteratura contemporanea americana: Salinger, Carver, McCarthy, De Lillo, Pynchon, Foster Wallace, Eggers, Saunders, Palahniuk.
Come è nato “L’odore della plastica bruciata”?
Prima dell’esplosione dei social, che hanno travolto (quasi) tutto, tenevo un blog sul quale appuntavo episodi di vita quotidiana. Rileggendoli, mi accorsi che mi piacevano. Così ritornai sui miei passi, lavorai sulla riscrittura e sullo stile, li smontai e rimontai. Infine inviai la raccolta a Giulio Mozzi, scrittore ed editor di Einaudi, che mi incoraggiò pubblicando sulla rivista Vibrisse un racconto intitolato “Real Estate”. Successivamente, grazie all’aiuto di Gabriele Dadati, proposi L’odore della plastica bruciata a LiberAria, editore indipendente e attento che accettò con entusiasmo la pubblicazione.
Quale “filosofia” ti ha spinto a scrivere un libro così carico di sentimenti contrastanti?
“Se son d’umore nero allora scrivo/frugando dentro le nostre miserie”, cantava il poeta nostro. E’ probabile che sia così anche per me. Le storie che racconto sono tristi, è innegabile, e gli scenari spaventosi ed inquietanti. Tuttavia, in una società dove consumismo e avidità, cinismo e ipocrisia regolano tutti i rapporti, ho cercato anche di sottolineare l’umanità di alcuni personaggi, utilizzando l’arma dello humour e del paradosso. Ovvero ho creato delle situazioni grottesche e surreali che però risultano credibili: un mondo inventato e portato all’eccesso, che tuttavia è già il nostro mondo. Ho cercato, soprattutto, di creare empatia con i protagonisti delle mie storie: lo stesso spero si possa dire per i miei lettori.
Disagio, precarietà e ironia: questi gli elementi portanti della tua raccolta. Ma è davvero questa la società moderna?
Disagio, precarietà e ironia: questi gli elementi portanti della tua raccolta. Ma è davvero questa la società moderna?
Non esiste solo questo, ovviamente. Ma una società basata unicamente sul profitto porta con sé, inevitabilmente, delle storture, e io quelle vorrei raccontare. Vorrei dare una voce a chi solitamente non ne ha, cercando di evitare il pietismo e gli stereotipi. Mi è stato detto che i protagonisti delle mie storie sono dei losersalla deriva, dei perdenti che si rassegnano, non riescono a imporsi, non si ribellano a situazioni estreme che anzi subiscono quasi senza batter ciglio. Ma non sempre è vero. E comunque, può essere che siano degli “antieroi”, ma se mi guardo intorno di eroi ne vedo pochi.
Oltre ad essere l’ambientazione della maggior parte dei tuoi racconti, cos’è per te la periferia?
Nella città postmoderna tutto è periferia, è quasi impossibile operare ancora distinzioni con il centro. Negli ultimi tempi abbiamo assistito infatti al proliferare, secondo il modello imperante e omologante importato dagli USA, di centri commerciali, outlet e office-parks, multisale, alberghi e poli logistici, tristi monoblocchi rigorosamente isolati dal contesto mediante ampie distese di parcheggi e collocati in prossimità degli svincoli di tangenziali e strade ad alto scorrimento, in modo tale da essere facilmente accessibili dalle automobili. L’enorme libertà di movimento del mezzo di trasporto privato porta con sé elementi di degrado come l’isolamento dei soggetti più deboli, la scomparsa dello spazio pubblico, un paesaggio anonimo e desolante, fatto anche di baraccopoli posticce e infinite distese di villette tutte uguali, tutte con lo stesso indirizzo.
Oltre a L’odore della plastica bruciata, per me metafora di un mondo finto in decomposizione, cosa rimane dell’esperienza post-moderna?
Le macerie, ha scritto qualcuno.
Progetti per il futuro?
Sono un amante delle short stories. In questi giorni sto cercando faticosamente di completare la prima stesura di una nuova raccolta di racconti. Rispetto all’esordio, l’atmosfera è meno cupa, almeno così a me sembra. C’è spazio anche per l’amore e l’amicizia.
Un saluto ai nostri lettori.
Seguirò con affetto e attenzione il vostro lavoro, che è fondamentale per l’affermazione della cultura del leggere nel nostro paese.
Grazie a Martino Ciano
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