domenica 18 gennaio 2009

Ritorno al Penice, 02


Avevamo appena preso possesso delle nostre squallide camere, ancora non avevamo iniziato a svuotare le nostre valigie, che il mitico Chio**** ne aveva già combinata una delle sue.
La prima di una lunga serie, qui in settimana bianca, quella lunga serie che lo proietterà di diritto nell'Olimpo dei migliori compagni di classe di sempre.
La temperatura era sotto zero, e sulle balconate in tavole di legno erano appese gigantesche stallattiti di ghiaccio: alcune erano lunghe quasi mezzo metro.
- Non toccate le stalattiti!, aveva appena finito di dire la maestra, - potreste farvi male!, che ecco venirle incontro dal piano di sopra un altro nostro compagno, In***, in lacrime, con una mano tutta sanguinante. Chio**** gli aveva letteralmente aperto la mano durante un duello di fioretto con due stalattiti particolarmente appuntite.
Era il numero uno, Chio****.
Fu uno dei primi esempi, un esempio quasi ante litteram, di bullismo nella scuola pubblica, anche se in questo caso stiamo parlando un bullismo divertente, pecoreccio, tutto sommato innocuo (a parte la mano sanguinante di In***, si intende). Figlio di un poliziotto emigrato a Piacenza da chissà quale città del sud, abitava in quelle case popolari anni Trenta che ci sono all'inizio del Facsal.
Per tutte le elementari, fu il nostro indiscusso leader.
Tanto per dirne una, era lui il nostro capitano al torneo di Sant'Anna (negli annali rimane un suo clamoroso rigore sprecato, scivolando su una pozzanghera durante la fase di rincorsa, proprio nel match decisivo contro la squadra di Gigi la Puzza).
Nemmeno il fatto che a scuola fosse una mezza sega, e anzi una vera e propria sega - all'esame di quinta aveva portato il Veneto: la commissione, con davanti un'enorme cartina geografica, gli chiese di indicare la posizione del Veneto, e lui partì dalla Sicilia, poi la Puglia, ecc... per poi arrivare al Veneto dopo un'interminabile e comico giro d'Italia - poteva intaccare il suo innegabile e inarrivabile carisma. Anzi, ne accresceva l'aura di compagno maledetto.

La prima lezione di sci gli causò i primi problemi seri. Perse uno sci a metà pomeriggio, durante una delle sue ultime goffe discese, e per recuperarlo - all'epoca, stiamo parlando di metà anni '70, gli sci non montavano quei piccoli freni a lato degli attacchi - decise di buttarsi giù per una pista ripida con uno sci solo. Si smarrì nel bosco, tanto che fu necessario andarlo a riprendere con un gatto delle nevi, e rientrò in albergo quando tutti noi stavamo già cenando.

Un'altra sera mandò nel panico la maestra. Era già mezzanotte, ormai, e come di consueto lei aveva fatto una ricognizione di tutte le stanze per sincerarsi che fosse tutto a posto, e che non mancasse nessuno, ma Chio**** non c'era. I suoi compagni di stanza, quella sera, non l'evevano visto proprio. Fummo svegliati tutti, e a tutti ci venne chiesto dov'era Chio****, ma nessuno lo sapeva. La maestra era disperata.
Chio**** era scappato.
Magari stava cercando di tornare a casa, nel gelo di una notte d'inverno, solo e sperduto nella notte.
Sconvolta, la maestra decise allora di andare a chiamare la polizia, o i carabinieri di Bobbio, qualcuno insomma, e intanto probabile che pensava: ma chi me lo fa fare di portare in settimana bianca queste piccole teste di cazzo?
Scese nella hall dell'albergo per chiedere un telefono. Mentre apettava qualcuno del personale, gettò un rapido sguardo nella saletta del bar. Che mi venga un colpo se quello seduto al tavolo con i maestri di sci non è lui, pensò, se quel piccolo bastardo che canta a squarciagola mentre gioca a carte e beve delle birre al tavolo dei maestri di sci, non è lui, non è Chio****.
Quandò entrò nella saletta per andare a prenderlo per un'orecchio e trascinarlo nella sua stanza, Chio**** non fece una piega, come se trovarsi lì fosse del tutto normale, anzi si lagnò un poco per il fatto che stava vincendo dei soldi.
Poteva fargli finire almeno la mano, cazzo.

Ma il suo capolavoro fu certamente quello della gara di pupazzi di neve.
Maschi contro femmine.
Chi costruiva il pupazzo di neve più bello vinceva.
Occorre qui rammentare che, in seconda elementare, a queste gare ci si teneva da Dio. Dovevamo farglela vedere, a quelle sgualdrinelle. Noi maschi stavamo dunque lavorando alacremente e il nostro pupazzo prendeva forma. Ma le femmine non demordevano, anche grazie all'aiuto - poco sportivo, a nostro modo di vedere - della maestra stessa. Allora ci fu una pausa di riflessione.
- Dobbiamo costruirlo ancora più grande, - disse qualcuno.
- Serve ancora della neve, - disse qualcun'altro.
- Ci penso io!, - proclamò solennemente Chio****.
Il nostro carismatico leader si stava avvicinando al pupazzo con un bidone della spazzatura tra le mani. Ovviamente, era appena nevicato, per cui la sommità del bidone era ricoperta da uno strato di neve fresca.
Tutto si svolse così rapidamente, non ci fu il tempo per fermarlo.
Ricordo perfettamente quella scena, è come se si svolgesse di nuovo qui davanti a me, al rallenty.
Lui che si trascina dietro, con grande fatica, il bidone metallico.
Lui che si accosta al pupazzo di neve, incurante dei richiami di alcuni di noi che già presagivano il peggio.
Lui che raccoglie le sue forze e che solleva il bidone, con il viso reso paonazzo dallo sforzo.
Lui che rovescia il contenuto del bidone stesso - un sottile strato di neve fresca, e poi: cartacce, lattine di birra, pacchetti di patatine, kleenex accartocciati, bucce di arance, rifiuti domestici di vario tipo - sul pupazzo di neve della squadra dei maschi.

Inutile stare qui a raccontarvi chi ha vinto la gara.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

meritavamo noi, il pupazzo spazzatura di Chio**** era una vera e propria invettiva contro il consumismo, arte contemporanea purtroppo non compresa, come spesso capita.
Chio**** era il numero uno

Gbattm ha detto...

Forse è vero.
Era un grido di dolore circa il depauperamento del pianeta, purtroppo rimasto inascoltato.
Che avanguardista!