venerdì 30 ottobre 2009

Mio padre, John Lennon


Non ho mai conosciuto mio padre.
Se ne è andato troppo presto, quando io e Paulette avevamo solamente diciotto mesi. Non che agli fratelli sia andata meglio: avevano rispettivamente dieci e sette anni, nemmeno il tempo di ricordarselo, dopo.
Si è ammazzato di lavoro. Eppure il dottore glielo aveva detto piu' volte, di andarci piano, dopo il primo, leggero, infarto. Aveva compiuto cinquant'anni due settimane prima.
Quello che mi resta è un album di cuoio, ormai sdrucito, con i ricordi di una vita.
Una collezione di pallide fotografie in bianco e nero, sbiadite, e i documenti del periodo in cui fu partigiano nelle valli tra il Luretta e la Pietra Parcellara.
Il Capitan Bologna.
Medaglia d'argento al Valor Militare per la Resistenza.
(Talmente sentita, che hanno sbagliato persino il cognome, hanno scritto MANZANI)
C'è anche un trafiletto, poco piu' di sei righe, sul Dizionario dei Concittadini Illustri.
Bella roba.
Avrei preferito che avesse continuato a tenerci sulle ginocchia, mentre leggeva il giornale seduto a tavola.

Una bella mattina di ottobre.
Il sole è improvvisamente sbucato dalla fitta coltre di nubi che nei giorni scorsi ci ha impedito di guardare oltre il cielo.
E' il periodo giusto per mettere a dimora i crochi e i tulipani. Sandy ne ha presi un paio di sacchetti pieni. Ci sono anche due esemplari di aglio selvatico. L'anno scorso ne abbiamo piantato uno, e quella specie di patata spelacchiata è diventato un fusto alto piu' di un metro, con in cima un fiore lilla, grosso come un arancio.
Agnese mi aiuta a smistare i semi e i bulbi nelle varie buche che mi sono preparato, con l'ausilio di un badile e di un piccone.
Le piace aiutarmi, anche se poi si stufa subito.
E allora si mette a preparare la pappa per i suoi figli, stamattina ne ha addirittura quattro: due barbie, un altro bambolotto - un bambolotto inquietante, un umanoide cyber che muove le labbra e piange lacrime finte, e che se gli butti uno strano liquame grigiastro in bocca lui poi si caga addosso - e addirittura un orsachiotto di pezza.
Se vuoi puoi essere mio marito, mi dice mentre accarezza l'orsachiotto.
Se proprio insisti, abbozzo io. A dire il vero, quattro figli mi sembrano un pò troppi. Tutti in una volta, poi.
Quando rientriamo in casa ci mettiamo in cucina a disegnare con i pennarelli.
Dopo un pò mi dice: devo far vedere i miei disegni alla nonna Giulia.
Ok, rispondo io, e intanto mi alzo per prepararmi un caffe'. Quando viene a trovarci glieli facciamo vedere.
Poi mi chiede: ma la nonna non ha un marito?
Lo aveva, rispondo io. Adesso non c'è piu'.
Ah, fa lei. E come si chiamava?
Giovanni.
Ah.
Era mio padre, aggiungo io (lo sapete anche voi, i bambini faticano assai a entrare nel complesso meccanismo delle parentele. E Agnese non fa certo eccezione, anzi diciamo pure che gli alberi genealogici non sono il suo forte).
Lei resta lì, immobile, lo sguardo fisso su un punto qualunque della nuda parete d'intonaco.
Sembra perplessa.
D'altro canto, come non comprenderla: suo padre si chiama Giovanni, suo fratello si chiama Giovanni, e suo nonno come si chiamava? Giovanni. La Madonna che fantasia, potrebbe pensare. Un paio di Madonne le ha gia' tirate, infatti, fortunatamente senza aggettivi.
Ma poi si lascia distrarre dalla radio che gracchia una musica conosciuta.
Cerco di spostare l'antenna nella speranza di ricevere meglio il segnale, mentre lei canticchia sullo sfondo.

Torno fuori per stendere un pò di terriccio con il rastrello, e poi innaffio l'aiuola scura e polverosa.
Rientro in casa e accendo la televisione. Su Mtv c'è un programma sui Beatles. Deve essere un anniversario di qualche cosa, perchè per tutta la mattina mettono dei vecchi filmati, interviste e materiali d'archivio.
C'è anche un video nel quale quattro pupazzi - a immagine e somiglianza dei Fab Four - suonano Ticket to ride e A day in the life.
Agnese guarda il video rapita. Io nel frattempo le massaggio la pancia, dovreste provarla anche voi, è morbida come la pasta delle pizza dopo che è lievitata per un intero pomeriggio.
Chi sono?, mi chiede.
Dei musicisti, rispondo. Si chiamavano Beatles. In Italiano vuol dire: scarafaggi.
Che schifo.
Guarda, le dico, quello lì si chiamava Paul, sì, insomma, Paolo. Quello con i capelli piu' lunghi si chiamava Giorgio. Quello invece era Ringo. Ringo Starr. Suonava i tamburi. E quello là in fondo era John, Giovanni. Anche lui adesso non c'è piu'.
Giovanni?, ripete stupita.
Sì, Giovanni.
Lei resta in silenzio, ma io mi accorgo che sta macchinando qualche idea strampalata in quella sua testolina di cazzo, e infatti dopo qualche istante mi chiede:
Ma era lui tuo papa'?
Io rido forte. Chi? John Lennon?
Anche lei ride, adesso.
No, non era lui, rispondo io accarezzandole i capelli, sottili e castani come i miei.
E intanto i quattro pupazzi, sullo schermo in 16:9, attaccano With a little help from my friends.

Verso sera, esco di nuovo per fare legna. Il sole è sparito all'orizzonte, e la temperatura è scesa improvvisamente. Meglio accendere il camino.
Sono lì che scelgo con cura i pezzi di carpino e robinia dalla catasta sotto il pergolato nascosto dal gelsomino, che poi è un falso gelsomino, qualsiasi cosa voglia dire, e intanto ripenso a John Lennon.
Cazzo, avrebbe potuto essere davvero mio padre.
In fondo era del '40.
Anche se non ce la vedo molto, la Giulia, con il vecchio John. E poi cosa cazzo è andata a fare a Liverpool?
Però.
Però non si sa mai.

Prendo la Scenìc e vado giu' in paese a comprare un pò di insetticida, anche se siamo un pò fuori stagione c'è un'invasione di formiche rosse.
Fuori dall'emporio, c'è un gippone parcheggiato con due ruote sul marciapiede. Si apre la portiera e scende un uomo di mezz'età, corporatura robusta e un principio di chierica sul cranio.
Mi guarda senza alcuna espressione particolare.
Io ricambio il suo sguardo ottuso e poi gli dico: John Lennon era mio padre.
E lui: chi, quell'hippy sciroccato che cantava tutte quelle cazzate sulla pace e sull'amore universale?
Immagina un mondo senza possessi/mi chiedo se ci riesci/senza necessità di avidità o fame/La fratellanza tra gli uomini/Immagina tutta le gente/condividere il mondo intero....
Stronzate.

Brutta bestia, l'invidia.

Mentre torno in macchina mi dico, 'fanculo, adesso chiamo McCartney.
Cazzo, Macca, gli dico, quand'è che mi mandi i diritti d'autore delle ultime compilation?
Lui balbetta qualcosa di incomprensibile. Deve essere ancora incazzato per la storia della dicitura "Lennon/McCartney" sui dischi. Secondo lui, andrebbe ribaltata, almeno per i pezzi che in realtà, così dice, ha scritto lui. Non gli hanno mai spiegato la proprietà commutativa.
Macca? Mi senti?
Devi chiedere a Yoko, mi risponde lui dopo una lunga pausa. Ho già datto tutto a Sean e a Julian.
Non fare il furbo con me, gli faccio, domattina voglio il bonifico.
Poi gli detto il codice IBAN:

I
T
6
0
R
...
Ma la cornetta adesso suona a vuoto.
Tuuu... tuu....

Ha messo giu', quel bastardo.
Che gran figlio di puttana.
Te l'avevo detto che non dovevi fidarti di lui, papà.


IMMAGINE DA:
http://www.robertoagostini.it/uploads/images/Ritratti/john%20lennon.jpg

4 commenti:

JR ha detto...

Bravo Giova.

paulette ha detto...

D'accordo sulla pancia dell'Agne, sulla richiesta dei diritti a Macca e su tutto il resto..
Era ora che alzassimo la voce

proleter ha detto...

il Macca è un fottuto bastardo, lo abbiamo sempre saputo. Almeno il bonifico te lo ha fatto?

Country Joe ha detto...

Niente bonifico per ora. Se entro domenica prossima non provvede, brucio la copertina del mio 45 giri di Hey Jude