mercoledì 6 gennaio 2010

QUASI COME KEROUAC, 11


July 26th - TERZA PARTE

Solo un colpo di fortuna.
Per nessun motivo apparente, infatti, decidiamo di lasciare la Statale 91 per imboccare una scorciatoia assai tortuosa, verso ovest, in direzione Many Farms.
La strada è assolutamente deserta e dopo ogni curva si aprono magnifici e sempre imprevedibili scenari, guglie e rocce splendidamente erose dal vento e scavate dall'acqua, toni e colori accesi e vividi, sotto un cielo immenso ed elettrico.
Attraversiamo luoghi dai nomi evocativi: Rough Rocks, Red Rocks e Black Mesa. Territorio Navajo. Osservo minuziosamente la mappa. A poche miglia c'è il confine con il New Mexico, e ancora piu' a nord il Colorado. Cortez (The Killer?), Mesa Verde, Durango. La Durango di Bob Dylan.

Avanziamo con estrema lentezza.
Il sole, che sino a ora aveva picchiato duro, ci regala un attimo di tregua, andando a nascondersi dietro a un improvviso cumulo di nuvole nerastre.
Scendono persino due gocce di pioggia, ma è solo un'illusione.
Restiamo in silenzio dentro l'abitacolo della nostra auto che scivola leggera tra le curve che corrono parallele a un torrente in secca.
In pochi minuti raggiungiamo la Statale 190, nei pressi di Kayenta, e poi ancora a nord verso la mitica Monument Valley, che resta proprio sul confine tra gli stati dell'Arizona e dello Utah, ormai solo poco piu' di venti miglia ci separano da una delle mete principali del viaggio.

Arriviamo al tramonto, come da copione piu' classico.
E' a quell'ora, infatti, che le rocce si tingono di rosso come il fuoco, in un fantastico contrasto con l'azzurro intenso del cielo.
Optiamo per il loop in senso antiorario, e dunque circumnavighiamo la zona off-limits mediante una pista di sabbia rossa. La Toyota procede a strappi, affondando le ruote nelle buche e nei vari dislivelli della pista, e ripartendo ogni volta con maggior fatica. Alcuni fuoristrada guidati dai nativi, di quelli con le ruote enormi da mietitrebbia che da noi in Italia le usiamo per andare a prendere i bambini fuori da scuola, fingono di insabbiarsi per costringere i turisti a scendere e a spingere: è una squallida pantomima, e infatti ridono tutti.
Improvvisamente avvertiamo una gran botta, ma dopo una rapida ispezione escludiamo danni al paraurti in tinta carrozzeria.
Inoltre, con la mia consueta e inguaribile goffaggine nel pomeriggio ho rovesciato mezza lattina di Fanta nel cambio automatico, e questo certamente non aiuta.
Schizzi di fango sulle portiere, il cofano è completamente impolverato.
Chissà cosa direbbero, alla Hertz.

Lo spettacolo è grandioso, e ci lascia senza parole.
Tra noi, infatti, non ci nascondevamo un pò di timore che la Monument Valley - vista e rivista in centinaia di film western, e con le sue trite e stereotipate immagini da cartolina - fosse una mezza delusione, e invece così non è.
Cazzo, è davvero come se un fottuto cowboy yankee sbucasse fuori da un angolo e ci puntasse la sua pistola addosso.
Al John Ford Point, scattiamo le fotoricordo di rito.

Un cattivo presagio.
A Kaylenta non ci aspetta nessuno.
(Così almeno è scritto sul manoscritto originale: cazzo avrò voluto intendere, poi. Chi doveva esserci? John Wayne in carne e ossa?)
Traduco che non troviamo da dormire.
Verso Page, allora, e su quella strada poco prima di mezzanotte - dopo aver accarezzato ormai l'idea di accamparci per la notte sui sedili di pelle imbottita della nostra Camry - finalmente avvistiamo un piccolo motel ancora aperto, una specie di baita di legno piuttosto rabberciata ma dall'aspetto così familiare.

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