domenica 20 dicembre 2009

Il pagellone del 2009


1. ANTONY & THE JOHNSONS – The Crying Light
Dopo i fasti estivi con la dance degli Hercules And Love Affair e la sontuosa collaborazione con Bjork, Antony ritorna con un’opera che abbandona arrangiamenti pop e melodie facili per recuperare una dimensione prettamente cantautoriale.
Il disco contiene dieci meravigliose e delicatissime ballate pianistiche nelle quali ancora una volta emergono la sua intensa classe, la sua profonda spitualità, la sua inquietante drammaticità, e infine il suo splendido timbro vocale, quasi da baritono, per il quale è difficile trovare riferimenti o paragoni.
Per Diamanda Galas, “ogni emozione nel pianeta è in quella sua voce meravigliosa”.
Anche se, forse, lui è proprio di un altro pianeta…


2. EELS – Hombre Lobo
Di giorno, Mr. E compone ballate acustiche di rara intensità, come da copione classico.
Di notte, invece, il nostro - già in copertina in versione licantropo con una strepitosa e fottutissima barba – incide con straordinaria irruenza una serie di brani piu’ cazzuti, ruvidissimi, quasi hard: pezzi registrati in presa diretta, senza sovraincisioni, nel suo scantinato; suonano infatti davvero al limite del lo-fi (Beck), quasi come un bootleg di bassa qualità, oltre a essere tempestati da ululati famelici alla Stooges o alla Suicide.
E’ un tipo così, Mr. E.
Un genio stampalato e persino un po’ disadattato, talmente estraneo alle logiche dello show-biz. E’ per questo che lo seguiamo sempre con maggiore affetto.


3. SOAP&SKIN – Lovetune For Vacuum
Il popolo indie ha (forse) trovato l’erede di Antony & the Johnsons.
Per la verità, con il talentuoso newyorchese questa ex-bambina prodigio di soli diciannove anni - cresciuta in un piccolo villaggio di allevatori di mucche della Stiria (Austria) e il cui vero nome è Anja Plaschg - condivide solamente una voce fuori dal comune, eterea e terrificante, un total-look piuttosto dark - viso tumefatto e pallido, abiti neri, sguardo inquietante - e una certa aura da artista maledetta, perennemente in preda a un grande tormento interiore.
Il suo album di debutto è oscuro, tetro, profondamente malinconico. Interprete sensibile e terribilmente matura, Soap&Skin stupisce per la sua grande potenza espressiva e per i suoi testi intrisi di ingenuo romanticismo.

4. DINOSAUR Jr - Farm
Poche storie: “Farm” è un album bellissimo, ancor piu’ bello perché non ce lo aspettavamo proprio, dopo le scottanti delusioni della loro piu’ recente discografia.
I dinosauri sono tornati con la consueta prepotenza e con gli ingredienti che li hanno resi grandi: solidi muri di chitarrone e scariche violente di amplificatori nascondono melodie piacevoli, rese talvolta struggenti dalla voce trascinata di un J. Mascis indolente e apparentemente svogliato come ai bei tempi.
Con “Farm” sfiorano il podio e battono, nella categoria dei superclassici, Pearl Jam di “Backspacer” e i Sonic Youth di “The Eternal”.
PS: Inutile lamentarsi che i dischi dei Dinosaur Jr sono tutti uguali. Loro sono i soliti cazzoni: prendere o lasciare.

5. THE DUCKWORTH LEWIS METHOD – The Duckworth Lewis Method
Il nuovo progetto dell’irlandese Neil Hannon - già leader dei Divine Comedy - e di Thomas Shaw - leader dei Pugwash - è un grottesco concept album sul gioco piu’ tradizionale ed esclusivo per gli inglesi, il cricket, del quale il Ducwworth Lewis rappresenta un complicato metodo algoritmico per calcolare il punteggio di una partita interrotta causa maltempo.
Leggerezza e ironia, eleganza innata e humour in stile british, pop cristallino e allegria scanzonata: questo album potrebbe essere un’ottima colonna sonora di Little Britain o, ancor meglio, di Monty Pithon.

6. ANIMAL COLLECTIVE - Merriweather Post Pavilion
Strani personaggi, quelli del Collettivo, la cui carriera artistica è legata in modo indissolubile alla scena alternativa-sperimentale di New York.
Il folk bucolico e un po’ freak degli esordi lascia ora spazio a nuovi scenari elettronici, tutt’altro che convenzionali, che si esplicitano in un autentico magma sonoro, ovvero un flusso continuo e ininterrotto di melodie acide e trip stranianti, la cui base ritmica è spesso costituita da rumorismi primitivi e da tappeti di percussioni tribali.
(Santo Cielo, ma cosa ho scritto?)

7. HOPE SANDOVAL - Through The Devil Softly
La voce suadente e sensuale della cantante di origine messicana, ex-leader dei Mazzy Star, è il valore aggiunto di questo “Through The Devil Softly”, che sin dal titolo e dal nome della band che la accompagna (The Warm Invenctions) si preannuncia un ascolto caldo e soffice.
L’ideale per queste gelide notti d’inverno.

8. MUMFORD&SONS – Sigh No More
La capitale inglese, non appena ci si allontana dal sound ormai appiattito del cosiddetto revival wave, offre nuovi spunti interessanti.
Tra le bands della nuova scena folk (vedi anche: The Leisure Society, Fanfarlo), i Mumford&Sons debuttano sulla lunga distanza attingendo a un repertorio classico e tradizionale e - pur non brillando per originalità – muovendosi con mestiere tra intonazioni gospel e pezzi piu’ festaioli e spensierati (con dosi massicce di banjo e mandolino) per i quali sono stati scomodati Pogues e Waterboys.

9. KINGS OF CONVENIENCE - Declaration Of Dependance
Per il duo di Bergen (Norvegia) si tratta de “il disco pop più ritmico che sia mai stato fatto senza percussioni né batteria”.
I pionieri del cosiddetto “New Acoustic Movement” ci regalano un’altra bellissima collezione di malinconiche ballate a là Simon&Garfunkel, in cui trovano spazio atmosfere pacate e intimiste, alcuni rimandi alla scena cool londinese anni ’80 (Style Council, Everything But The Girl) e i consueti arrangiamenti scarni ed essenziali.

10. THE DECEMBERISTS – The Hazards Of Love
Un altro disco dalla chiara ispirazione progressive (sempre sia lodato il prog-rock!).
Il nuovo lavoro della band di Portland, Oregon, è così ricco di improvvise accelerazioni e di continui cambi di ritmo da riportare alla mente i Jethro Tull di “Acqualung”.
Concepito inizialmente come musical, “The Hazards Of Love” è una rock-opera di vecchio stampo, che rinnova la tradizione inaugurata da capolavori come “Tommy” e “Quadrophenia” dei Who e “Arthur” dei Kinks.


11. EDITORS – In This Light And On This Evening

Il classico bicchiere mezzo vuoto.
Le aspettative sul nuovo, terzo album degli Editors erano molto alte, e dunque è lecito essere piuttosto delusi e persino rammaricati dalla deriva sinfonica di "In This Light And On This Evening", dove le consuete e cupe atmosfere dark-wave vengono innaffiate da un proluvio di tastiere e sintetizzatori anni '80 (Depeche Mode/Ultravox/Human League), ovvero un'inutile e monumentale - a volte persino stucchevole - sovrastruttura sintetica.
Come quando i Joy Division - dopo la morte di Ian Curtis – diventarono i New Order (noi, e´ovvio, preferiamo i primi).

12. BRUCE PENINSULA – A Mountain Is A Mouth
Mentre i capofila Arcade Fire sono ormai assurti a icona dell’indie-pop internazionale piu’ intelligente e raffinato, dal Canada arrivano numerose altre buone notizie, tra le quali questo eclettico e bizzarro ensemble che ci regala un pop quasi chiesastico, con imponenti cori femminili e una voce solista a metà strada tra Tom Waits e Nick Cave.

13. MI AND L’AU – Good Morning Jockers
Lei finlandese, lui francese; lei modella, lui musicista: Mira Anita Mathilda Romantschuk e Laurent Leclere si incontrano a Parigi, dove diventano coppia nella vita e nella musica, prima di isolarsi nei boschi della Finlandia a comporre le loro canzoni spoglie e raccolte, intessute su chitarra acustica, voce e pochissimo altro.
Scoperti da Michal Gira (Swans).

14. PATRICK WOLF – The Backelor
Nella categoria “canzone d’autore”, Wolf prevale sui bravi Barzin, Andrew Bird e Matthew Scott grazie a un’opera eclettica, che mescola con sapienza un’impostazione classica, basi elettroniche e barocchismi dandy.

15. CHEER ACCIDENT - Fear Draws Misfortune
Come i Mountains dell’ottimo “Coral”, i Cheer Accident arrivano da Chicago, Illinois, e propongono un indie-prog palesemente ispirato alla grande tradizione del progressive britannico ’70 (King Crimson e soprattutto Van Der Graaf Generator), oltre che al free-jazz della Scuola di Canterbury (Gong e Soft Machine).

16. DENTE – L’Amore Non E’ Bello
Questo ragazzo di Fidenza ci sta simpatico. Sì, è vero, probabilmente non è un originalone, ma i suoi pezzi hanno una leggerezza fuori dal comune.
Nella speciale sezione Italia, prevale di un soffio su “Carboniferous” degli Zu.

17. MUM - Sings Along To Song You Don’t Know
Realizzato tra la natìa Islanda, la Finlandia e l’Estonia, il nuovo lavoro dei Mum propone una sapiente miscela tra il consueto elettro-ambient, istanze pop e rimandi alle tradizioni narrative popolari, nella quale un climax giocoso e onirico segna un’inversione di rotta rispetto al passato.

18. FUCK BUTTONS – Tarot Sport
Il duo di Bristol sbaraglia la nutrita concorrenza (Memory Tapes, Neon Indian e i portoghesi Gala Drop) nella categoria: elettronica.

19. TINARIWEN - Imidiwan: Companions
Un prezioso scrigno di crossover afro-rock, tra inaspettate venature blues e canti di ribellione incentrate sul desiderio di libertà del popolo tuareg (i Tinariwen sono un gruppo di nomadi nativi del Mali e costretti - oltre trent’anni fa - a emigrare in Algeria e Libia a causa di una gravissima carestia).

20. BILL CALLAHAN - Sometimes I Wish We Were An Eagle
(A ex equo): IGGY POP – The Preliminaires
L’ex-leader dei seminali Smog compone brani acustici di bellezza sontuosa ed estrema delicatezza.
A ex equo, la vecchia iguana e i suoi notevoli “preliminari”, ispirati al romanzo “La possibilità di un'isola” del francese Houellebecq.

1 commento:

Anonimo ha detto...

mesothelioma support and information!
[url=http://www.mesothelioma-support.org/]asbestos lawyer mesothelioma[/url]