Amici e nemici ci accusano di parlare di dischi poco conosciuti. Il vecchio Steve, per esempio, ironizza pungente come sempre: “insomma, vi siete fatti la solita borsa in nome di un elitarismo musicale giovanilistico”.
Così, in attesa di dedicarci alla consueta sfornata di primavera – sono tantissime le uscite che meritano attenzione: Foo Fighters, Fleet Foxes, Sonic Youth, Cold Cave, Glasvegas, Mogwai, Panda Bear, Erland & The Carnival, e ancora Cut Copy, Akron Family, Esben & The Witch – abbiamo ascoltato il recente parto di uno dei big della scena italiana, Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti (non potevate chiederci di dedicarci a un Vasco sempre più bolso, oppure all’ultimo Ligabue, uguale al penultimo Ligabue e al terzultimo Ligabue, per non andare più indietro), anche perché incuriositi dalle recensioni positive di alcuni siti di ispirazione rock (Soundsblog e Indieforbunnies su tutti).
“Ora” è un disco allegro, gradevole, orecchiabile e danzereccio (per alcuni è uno dei dischi piu’ dance di Lorenzo).
Lui è uno che non si risparmia, che si espone, senza paura di apparire patetico o ridicolo. E questo ci piace. Ci piace la sua vena piu’ cantautoriale: Le tasche piene di sassi e l’ispirata Un’illusione non sfigurerebbero nel repertorio di De Gregori, Ora e l’atipico primo singolo Tutto l'amore che ho (alla Gorillaz) ne mettono in mostra il mestiere, e infine la ballata Quando sarò vecchio, tra Brassens e De Andrè, con la quale abbandona il buonismo Veltroniano del quale è stato per anni indiscutibile alfiere (“Quando sarò vecchio sarò vecchio/Nessuno dovrà più venirmi a rompere i coglioni “). Divertono anche cinque-sei pezzi, tutti potenziali singoli-killer/tormentoni estivi: l’opener Megamix – con il ritornello “E’ questa la vita che sognavo da bambino/Un po’ di apocalisse e un po’ di Topolino” – oppure il rock scontatissimo eppure irresistibile di Il più grande spettacolo dopo il big bang (che vi dicevo dello sprezzo del ridicolo?), Io danzo e Spingo il tempo al massimo, che pompano come fossero i Chemical Brothers.
Quello che ci piace meno è la consueta eccessiva verbosità – lo ammette lui stesso: “quanta roba scritta ci sta qui dentro”-, le frasi fatte e i clichè (“Vedo stelle che cadono nella notte dei desideri”, “Non c'è montagna più alta di quella che non scalerò”) , le troppe citazioni letterarie o musicali (“Ogni cosa è illuminata”, “La risposta che soffia nel vento”, e così via). Ci piacciono poco anche alcuni riempitivi come Amami, Dabadabadance e Go!!!!!!!
E poi, purtroppo, i soliti duetti, tra gli episodi meno riusciti del lavoro: con Cremonini in I pesci grossi, con Carboni in L’Elemento Umano (“Si vince, si perde/Si pestano merde”), con Amadou e Mariam (africani del Mali) per il trito tribalismo di La bella vita (La belle vie) e con Michael Franti (ex-Sperhead) in Battiti di ali di farfalla.
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