I reduci dell’epica grunge, quella fantastica stagione che improvvisamente portò la lontana Seattle – Seattle è situata nello spigolo nord-ovest degli States, a uno sputo da Vancouver, Canada - al centro del mondo, non se la passano poi così male.
Mark Lanegan è molto attivo, diviso tra la carriera solista, duetti illustri (con Isobel Campbell dei Belle & Sebastian) e progetti collaterali (Gutter Twins, con Greg Dulli degli Afghan Whighs). Mark Arm, definitivamente archiviati i gloriosi Mudhoney, sta lavorando al terzo album dei Monkeywrench. Chris Cornell, dopo l’addio agli Audioslave e un paio di dimenticabili episodi solisti, ha preannunciato la reunion dei Soundgarden.
Ma è senza dubbio Dave Grohl il baricentro della scena.
Dopo la tragica fine di Kurt Cobain, l’ex-batterista dei Nirvana è stato l’anima di importanti progetti quali Queens Of The Stone Age (con Josh Homme dei Kyuss) e Them Crooked Voltures, e ha fondato i Foo Fighters, di cui è anche voce e leader.
I Foo’s suonano un rock’n’roll elementare, diretto e senza fronzoli: strofa-ritornello-strofa-ritornello. Magari non originale, anzi davvero poco originale, ma onesto. Quest’ultimo Wasting Light ricalca lo schema dei dischi precedenti, con un sound ruvido come alle origini, e come quelli non mancherà di mietere grande successo, di pubblico e di critica (è da anni che ripetono le stesse cose, che poi sono l’ABC del rock, ma di stroncature neanche a parlarne; anzi, qualcuno addirittura ha paragonato questo album a Led Zeppelin II…).
In apertura, tre-quattro pezzi adrenalinici che entrano di diritto nel loro repertorio live (Bridge Burning, il singolo Rope, Dear Rosemary e l’abrasiva e potente White Limo) e nel palinsesto di MTV.
Nella seconda parte, monocorde e priva di colpi di coda, prevale la noia.
Si muove su tutt’altro registro Eddie Vedder, che reduce da una lunga tournee con i Pearl Jam si è ritirato nella solitudine intimista di Ukulele Songs, una raccolta di canzoni acustiche, brevissime, nemmeno due minuti per ognuna; fragili e sussurrate, in qualche caso solo uno schizzo o una pennellata, come qualcosa di non finito.
Difficile non innamorarsi di brani come Longing To Belong o Goodbye, con la voce meravigliosa del nostro e il suono struggente e un po’ country dell’ukulele, suo unico compagno di viaggio, a eccezione del cameo di Cat Power in Tonight You Belong To Me e di Glen Hansard in Sleepless Nights (cover degli Everly Brothers). In chiusura, Dream A Little Dream di Louis Armstrong.
Piu’ che Neil Young, i riferimenti sembrano qui Woody Guthrie e il menestrello John Fahey.
Tuttavia l’album regge a fatica la lunga distanza e si arriva alla fine con la sensazione che manchi qualcosa o che sarebbe stato meglio un EP.
Due dischi di genere, di quelli che non fanno la storia.
Buoni per una sola stagione.
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