mercoledì 23 ottobre 2013

PEARL JAM, "Lightning bolt" (2013)

Sembra ieri, che abbiamo iniziato, e invece questo “Lightning Bolt” è il terzo album dei Pearl Jam – su dieci in totale, in studio – che recensiamo in questa rubrica su PiacenzaSera. Avevamo cominciato un po’ in sordina, tanto per fare, e poi invece ci si divertiva ed eccoci qua.

E già due anni fa, parlando del live, avevamo commentato che non capivamo quelli che ogni volta storcevano il naso. Scrivevamo, davvero non li capiamo, quelli: i Pearl Jam sanno fare bene i Pearl Jam, cos’altro dovrebbero fare?
E anche questa volta fanno i Pearl Jam.
Ci sono i consueti pezzacci adrenalinici ed elementari, con in testa “Getaway”/“Mind your manners”, il primo singolo, che tuttavia non scaldano come un tempo, nel mezzo le ballate elettriche “Sirens” (scelta come secondo singolo) e “Shallowed whole”, buone per i live ma forse troppo telefonate, tipo Foo Fighters, oppure il blues rock vecchio stile di “Let the records play” e , in coda, l’acustica intimista di “Yellow moon” e “Future days”, un po’ ruffiane.
Tutto come da copione, a parte una copertina orrenda.
O forse no.
I brani più interessanti a un ascolto prolungato sono quelli più atipici: l’elettrica “My father’s son”, per via di quel ritornello in sospensione, una “Sleeping by myself” che - già parte delle “Ukulele songs”, qui riarrangiata in maniera impeccabile - sembra fare il verso a Weller e una “Pendulum” che viaggia in territori quasi lisergici, scritta a sei mani da Vedder, Jeff Ament e Stone Gossard.
Il solito disco onesto dei Pearl Jam.

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