lunedì 28 ottobre 2013

QUANDO LOU REED SUONO' A PIACENZA (SEMBRA INCREDIBILE, MA E' VERO)

E’ un peccato doverlo dire adesso che Lou Reed ci ha purtroppo lasciati, ma la sua storica esibizione piacentina – avvenuta il 28 febbraio 2006 al Palabanca, davanti a quasi duemila persone - non era stata, per usare un eufemismo, una delle sue migliori performance. Il sessantaquattrenne artista newyorkese si era presentato con il consueto total black: giacca di pelle nera, tshirt nera, pantaloni di pelle, nera, anfibi, occhiali, neri. Era da subito parso in precarie condizioni psicofisiche, al solito taciturno, direi anche piuttosto scazzato: insomma non ne aveva molta voglia. Durante gli assoli di chitarra – lunghi, troppo lunghi, sembrava Neil Young in acido, anche se su quel terreno il canadese è imbattibile – a volte barcollava, gli capitava di inciampare nei cavi. Fissava il vuoto.
L’attesa al Palabanca era di quelle uniche e irripetibili.
Intanto: Lou Reed a Piacenza. Dici poco. Per una volta non ti sembrava di essere alla periferia dell’impero, ai margini di tutto quello che conta.
La setlist aveva - come sempre accede in queste occasioni - suscitato perplessità e delusioni, composta com’era da pezzi recenti, tratti da “Animal Serenade” (2004), “The Raven” (2003) ed “Ecstasy” (2000), oltre che da pezzi minori riarrangiati in versione noise, e da almeno due pezzi inediti. Era ovvio che non ci si poteva aspettare ne’ un greatist hits ne’ tantomeno un amarcord dei Velvet Underground, però le concessioni alla nostalgia furono davvero poche, pochissime: tra esse il bis con “Sweet Jane”, in piedi davanti al palco senza transenna, un grande classico che l’eroe maledetto del rock (oggi tutti i media titolano così…) probabilmente eseguiva solamente per riappropriarsene, dopo lo scippo (splendido) dei Cowboys Junkies. Quindi: niente “Transformer”, niente “Berlin”. Ma nemmeno nessun brano da grandi dischi come “Magic and loss” e “New York”. Altrettanto ovviamente, i fan duri e puri sui forum si fecero beffa di quei poveretti che si aspettavano “Perfect Day” o “Walk on the wild side”…
Ma l’atmosfera era stata comunque vibrante, la platea da subito si era svuotata (in teoria posti a sedere numerati) per andarsi a sedere per terra sotto il palco (e intanto quelli della tribuna erano scesi in platea). C'era stata anche la surreale entrata di un maestro di Tai Chi, il cui kata era stato accompagnato dalla musica.
E tornando a casa, avvolti nella nebbia che trasudava da una distesa di magazzini per la logistica e di piazzali di asfalto per le manovre degli articolati, tra trattorie a menu fisso e prostitute coi collant e la mini, ci era sembrato di aver vissuto - in ogni caso - una indimenticabile serata di rock’n roll.

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