lunedì 28 luglio 2008

Uomini e topi

Siamo nel bel mezzo di un'invasione di topi. E non solo topi. Diciamo di roditori.

Sono apparsi prima da mia madre.
Di notte li sentiva zampettare su nel sottotetto e non riusciva a prendere sonno.
La cosa più giusta da fare era quella di dare una bella ripulita alla mansarda, dove per anni la vecchia ha accumulato una serie impressionante di oggetti inutili e spesso fatiscenti. Ha sempre avuto quel trip, la vecchia. Non si butta via niente, dice. Non si sa mai. Penso si tratti di un'antico retaggio che ha origine nei tempi grami di guerra, quando era stata sfollata con la sua famiglia dalla casa di via del Pavone: alla sera, ci racconta spesso, le davano da mangiare una fetta di pane dopo averla sfregata un pò su un pezzo di coppa (la coppa niente, però).
Lo sgombero si rivela un'operazione complicata. Prima di tutto, il sole di luglio picchia duro sulle tegole in cemento, e sotto il tetto fa un caldo insopportabile. E poi, ci sono escrementi di topo un pò dappertutto. a Paulette e al Sardo tocca persino spostare un vecchio materasso fatto a pezzi dalle fastidiose bestioline, che nella soffice bambagia umida di urina ancora calda hanno eletto il loro fottuto nido. Brutta storia davvero. A turni, siamo costretti a prendere fiato in prossimità dell'unica finestrella verso nord. L'odore acre della decomposizione ci prende alla gola. La saliva diventa dolciastra.

Succede in una miriade di racconti o di romanzi di bassa lega: a un certo punto c'è un tipo che trova un baule nella soffitta del padre, o del nonno, o di un familiare qualsiasi, lo apre e vi trova dentro tutta una serie di fotografie e di documenti che danno il via ai ricordi del bel tempo che fu.
E siccome non vogliamo farcio mancare niente, ci tocca curiosare un pò.
La prima cosa che trovo è una valigia di acciaio con i documenti del Totocalcio, tra i quali i vecchi espositori e i tabelloni con i risultati. Poi mi imbatto in una busta dell'Alphaville con tutti i vinili di Guccini, quelli della Sandra, che sono anni che mi accusa di averglieli persi durante i lavori di ristrutturazione.
Infine c'è un vecchio ingranditore di fotografie che mi aveva regalato lo zio di Roma. Era un aggeggio un pò rudimentale, di fabbricazione russa. Non funzionava male, anche se in mezzo alle stampe si depositava sempre uno strano alone opaco, che in realtà non mi dispiaceva perchè conferiva alle fotografie un'aria austera da inizio secolo. Per qualche tempo mi sono divertito. Mi stufai per via delle delicate e interminabili fasi preparatorie della camera oscura: ottenevo il buio assoluto solo dopo aver sigillato con il nastro adesivo marrone, quello da pacco, tutte le tapparelle della mia stanza su via Abbadia.
Nelle vaschette tutte rosicchiate dai topi, così come i contenitori degli acidi per lo sviluppo, trovo qualche vecchia fotografia. C'è anche questo scatto praghese:


Ci sono io, c'è Paulette, c'è il Reggio, e c'è il Bonello.
Doveva essere l'ultimo dell'anno del 1991, se non ricordo male, con le date faccio sempre casino. Mi ricordo bene quella vacanza con il vecchio camper Briscola di Achille. Mi vengono in mente alcuni flash: il cambio al mercato nero, dove Paulette e il Reggio si fecero inculare con delle banconote polacche fuori corso in cambio di 200 dollaroni made in Usa, e il successivo tentativo di spacciare il denaro falso con un cartello sul camper che diceva "We sell polski money". Ci avvicinò un gruppo dal Belgio, avevano preso la stessa chiavata, ridevano come pazzi. Contenti loro. E poi mi ritornano nella memoria i cocci di vetro sulle strade dopo la grande festa, e "Losing my Religion", lo suonavano dappertutto quel pezzo, per le strade, sul Ponte Carlo, nei locali.

Ma torniamo ai topi.
Il nostro piano prevede una serie di trappole mortali e di esche disposte in ogni angolo dei locali del sottotetto. Sembra un campo minato. D'altro canto, il Sardo è o non è un cazzo di artificiere...
Nei giorni scorsi, non sono mancati consigli e suggerimenti. Il più suggestivo da parte dell'ex-guardia comunale, che mi indica un fantomatico prodotto, all'aroma di cioccolato, semplicemente irresistibile. Tale veleno, mi dice, produce un agghiacciante effetto matrioska, ovvero il primo topo ingoia l'esca e muore, il secondo arriva e cosa fa? Ma si mangia il cadavere del primo topo, è ovvio, perchè ancora profuma di cioccolato, e così via finchè l'ultimo dei topi superstiti si ingolla un supertopo morto costituito dalla somma di tutti gli altri. Come si chiama quel prodotto?, gli faccio. Lui mi ripete il nome. E' il migliore, aggiunge. Io mi appunto il nome su un foglietto, lo saluto, stammi bene gli dico, e poi butto il foglietto nella spazzatura.
Si sprecano anche gli aneddoti.
C'è chi ha trovato in cantina delle pantegane di trenta-quaranta centimetri. Roba da far impallidire la lepre alta mezzo metro che vide la Werza sul Tomarlo. O il fuoco alto trecento metri che il Tasso accese nel cortile di San Savino...
Un cantoniere mi racconta che quando era piccolo viveva alla Pieve, e un anno la casa era stata invasa dai topi. Il nonno consigliò a lui di prendere un porcellino d'India: li terrà lontani, gli aveva detto. Detto fatto, lui se ne fece comprare uno e lo mise giù in cantina. Dopo qualche giornò ne ritrovò la carcassa sotto alcune casse di legno, quei bastardi se l'erano divorato.
Niente male anche la storia che ci propinano Achille e Cristina. In un convento di suore sparivano, tutte le notti, dei grossi panini dai tavoli del refettorio. Allora si appostarono per capire cosa accadeva e davanti ai loro occhi si materializzò la seguente scena: arrivarono due topi, uno abbracciò con tutto il corpo un panino, l'altro gli prese la coda in una zampa e trascinò il pesante fardello - il primo topo più il panino - fino alla tana.
Bisognerebbe dire alle pinguine di smetterla con la roba pesante...

La notte seguente, io e Sandra ci svegliamo di soprassalto. Proprio sopra i nostri nasi, qualcuno si muove sotto le tegole, emettendo suoni striduli. Nel silenzio della notte, il rumore si amplifica sino a diventare insopportabile. Sembra che stiano rosicchiando il legname del tetto, oppure le lastre di isolante in poliuretano espanso. Cazzo, devono avere molta fame, gli stronzi.
La Sandra scende al piano terra e si mette a dormire sul divano.
Il mattino seguente mi rivolgo a una ditta specializzata in disinfestazioni. Non hanno tempo, mi dicono, c'è l'emergenza zanzara-tigre. Sarà un ghiro, aggiungono. Strana coincidenza, penso.
Sono già stati rinvenuti tre cadaveri di topo!
In ogni caso, per non sapere nè leggere nè scrivere, da vero gradasso deposito trentacinque euro di topicidi sotto le tegole.
Un'inutile dimostrazione di potenza.
Mi aiutano Slavisa e due suoi colleghi serbi. Quella mattina sono molto abbacchiati perchè hanno arrestato Radovan Karadzic. Porca puttana, mi spiace, commento io. Un uomo tutto d'un pezzo.

Il giorno dopo, recupero il corpicino stecchito di un ghiro nella zona del barbecue.

giovedì 24 luglio 2008

QUASI COME KEROUAC, 03

(July 24th, 1994) - PRIMA PARTE

Il fuso orario non perdona.
Alle quattro e mezzo siamo già in piedi, dopo esserci più volte girati e rigirati tra le lenzuola.
Non abbiamo nemmeno fame.
Quello che è certo, è che quel pazzo furioso dell'indiano tifoso di Baggio a quest'ora del mattino dorme della grossa, e l'ultima cosa che ha in testa è quella di svegliarsi per preparare il breakfast a noi tre sfigati. Fortuna che abbiamo pagato in anticipo, per cui possiamo silenziosamente andarcene da quello squallido motel, senza rendere conto a nessuno.
Dopo il problema alla Hertz con il cambio di auto, ieri era sorto un nuovo intoppo. Verso sera, avevamo telefonato alla KLM per confermare il volo di ritorno, ma ci avevano risposto che non esistevano prenotazioni per il 15 agosto a nostro nome.
Cazzo, non ne va bene una.
Che paese di merda, l'America.
L'unica era andare a verificare di persona. Allo sportello della compagnia di bandiera olandese del L.A. International Airport ci accoglie con un sorriso a trentadue denti uno steward di colore. Cioè, di colore: è un negrone coi controcazzi, sarà alto quasi due metri, un fisico da paura. Si mette male, toccherà dargli ragione su tutta la linea. In pochi istanti, l'energumeno verifica i dati del terminale, digitando rapidamente sulla tastiera, e alla fine alza il pollice verso di noi a segno di conferma:
- Ok, it's all right!
Che grande paese, l'America.
Il negro continua a sorridere, neanche fosse in uno spot di un nuovo dentifricio miracoloso. In modo assai galante ci consiglia di chiamare la compagnia per un ulteriore conferma nelle 72 ore precedenti l'imbarco a Los Angeles, perchè non si sa mai.

Usciamo rincuorati dall'aeroporto. Adesso tutto è a posto, si può partire. L'America ci aspetta.
Ripercorriamo i nostri passi e imbocchiamo di nuovo la freeway verso nord, in direzione Malibù Beach. Proprio quì ha inizio il celebre Sunset Boulevard, ovvero il viale principale di Beverly Hills, che percorriamo a velocità ridotta. Siamo nel paradiso dorato dello star-system cinematografico. Abitano tutti quì, quei buffoni. Sulla collina, riusciamo a intravvedere la scritta:
H O L L Y W O O D.
Bella cagata.
Da quà sembra fatta con il cartone. Sembra uno di quei festoni che si attaccano alle pareti alle festicciole di compleanno dei bambini.
Il Sunset non è altro che una sfilata di ville favolose e di giardini lussureggianti, peraltro nascosti alla vista dei curiosi e dei passanti mediante cancellate e recinzioni altissime, alla cui sommità è stato posto del filo spinato. I controviali punteggiati da altissime palme sono deserti, c'è solo qualche fuoristrada assurdo parcheggiato sul marciapiede, dal momento che ancora non è ancora esplosa la mania dei SUV.
C'è un silenzio assordante. Gli unici rumori che riesci a percepire sono gli scatti a intermittenza degli impianti di irrigazione automatici. Anche i cani da guardia sono ancora nel dormiveglia, evidentemente.
In prossimità della Downtown, la classica selva di grattacieli in acciaio e vetri, accostiamo per fare finalmente colazione. Lo stomaco vuoto inizia a lamentarsi. In un locale triste, arredato come un brutto fast food di periferia, sorseggiamo un caffè in tazza grande, lungo come la fame, accompagnato da un donut fritto, ma fritto all'inverosimile. Sarà anche il cibo preferito da Homer Simpson, resta il fatto che il donut è merda aalo stato puro. Ancor più se ti tocca ingurgitarlo alle otto del mattino.

Ci muoviamo in direzione sud-ovest, sulla Harbour Freeway, poi sulla Artesia e infine sulla Riverside.
Quando, grazie a Dio o a chi ne fa le veci, abbandoniamo la sterminata regione urbana di Los Angeles, abbiamo già percorso quasi 140 miglia, ovvero 200 km e suffella.
La Statale n. 10 conduce a Palm Springs, noto luogo di villeggiatura mondano, e poi a Indian Wells, Indio Hills.
A un tiro di sputo dall'oceano, la terra è secca e arida.
La temperatura si alza improvvisamente.
La strada è deserta, l'unico pericolo è rappresentato dai brandelli di copertoni abbandonati quasi dappertutto.
Dall'asfalto si alza un calore vaporoso.
Il traffico è diretto verso sud, in direzione San Diego, Orange County e Messico, la mecca di orde di minorenni e non solo, che si dirigono là per abusare di alcol e trip vari.
Scolliniamo le Mecca Hills, punteggiate da centinaia di mulini a vento, e raggiungiamo il bivio per il Cottonwood Pass, che costituisce l'ingresso meridionale del Joshua Tree National Monument.
A mezzogiorno entriamo nel parco, reso celebre dal disco degli U2.
La Cholla Cactus Garden è una distesa sterminata di strani ciuffi pelosi, soprannonminati Teddy Bear Cholla.


Diventeremo degli esperti di cactus, nei prossimi giorni: sapremo distinguere il Cholla dall'Organ Pipe, un cespo basso e largo, oppure da un saguaro, sicuramente il nostro preferito, un bastone verticale con due o tre diramazioni laterali che si piegano verso l'alto con un angolo retto. Notiamo una curiosa somiglianza con i vecchi pali del telegrafo, che da queste parti si possono ancora trovare.


Il Mohaved Desert è uno scenario imponente e desolante.
La Hidden Valley è tuttavia il piatto forte: ammassi e cascate di rocce erose dal vento e dalla pioggia sino a donargli splendide forme arrotondate, quasi geometriche, disseminate su una landa desertica di sabbia giallo-brunastra. Tra le rocce, spuntano eleganti e fieri gli alberi di Joshua. Lo spettacolo è grandioso, da commuoversi. Scendo dalla Camry per scattare qualche fotografia - un tormentone che ci accompagnerà durante tutto il viaggio, n.d.r. - e appena appoggio i piedi sulla sabbia bollente mi ustiono a puntino.


Il villaggio di Joshua Tree è attraversato in tutta la sua lunghezza da un'assurda strada a sei corsie, costeggiata da due file di piccole casette in legno.
Il tutto è così sproporzionato da sembrare perfetto.
In una taverna tipo saloon, gestita da una simpatica famiglia di Japan, come li chiamano quì, sbraniamo letterlamente degli ottimi hamburger con brocche di te' freddo a volontà. Ci voleva proprio.
Sul soffitto, un enorme ventilatore ruota senza sosta, cigolando in modo sinistro.

(segue)

martedì 22 luglio 2008

QUASI COME KEROUAC, 02

Il parco dà ricetto a combinazioni davvero innovative di persone. Ancor più di Berkeley in generale, è una specie di laboratorio, e si ha l'impressione che questa area erbosa sia una specie di centro di tecniche sperimentali di creazione della gente, una sorta di capitale mondiale della coppia mista. Probabilmente metà delle coppie presenti è in qualche modo incrociata, perlopiù bianchi e neri ma anche asiatici e bianchi (nella versione meno comune di uomo asiatico-donna bianca), duetti bianco-latini, o asiatico-latini o nero-asiatici, con una spruzzata di lesbiche. Sembra di essere in un casting per la pubblicità di una banca - si prende uno di questo, due di quello, più una figura non tradizionale... "DAMMI GLI ANNI NOVANTA! DAMMI IL FUTURO!"
Incidentalmente, io e Toph, quanto a repertorio di battute, siamo nel bel mezzo di una fase sulla dubbia importanza delle razze. Non siamo sicuri di come sia cominciata, anche se di certo non a causa del maggiore e più responsabile di noi due, ma più o meno funziona così.
Io dico: Il tuo berretto puzza di piscia.
E lui: Dici così solo perchè sono negro.
Segue risata.
Questo schema funziona adattato a qualunque situazione, per esempio con la sessualità ("Mi stai dando noia solo perchè sono gay?") o con la religione ("E' perchè sono ebreo? E' per quello?"). Oh, ci divertiamo un mondo, o almeno io sì, anchè perchè lui sa a malapena quello che sta dicendo (NDR: Dave, ovvero l'io narrante, ha 22 anni, il fratellino Toph solo 8...). Ovviamente io sto bene attento che questi pezzi di bravura restino tra noi, e che ce li godiamo solo a casa, dato che tutta la vis comica andrebbe persa con i suoi compagni, i loro genitori, o ancora peggio, con la signora Richardson.
Dopo circa una mezz'ora di performance ad altissimo livello col frisbee, ci riposiamo nel bel mezzo della zona aquiloni, sull'erba, osservando le code che saltellano e si inarcano. Il Golden Gate è proprio davanti a noi, sembra minuscolo, leggero, fatto di plastica e di filo di ferro. La città, cioè la Città, cioè San Francisco, è ammassata e bianca e grigia a sinistra, la baia è piatta, blu, qua e là appena increspata, punteggiata da piume bianche di barche a vela e motoscafi con la loro striscia candida.
E all'improvviso mi viene un'idea: nuotare fino ad Alcatraz.

DAVE EGGERS, L'opera struggente di un formidabile genio, 2001

sabato 12 luglio 2008

QUASI COME KEROUAC, 01

(July 1994, 23rd)

All'ufficio della Hertz dell'aeroporto di Los Angeles sono mortificati. Hanno esaurito le auto "Midsize", poco più di una nostra utilitaria. Proprio la categoria che avevamo prenotato dall'Italia. Cazzo, pensiamo. Si parte bene. Adesso ci tocca scatenargli addosso i nostri avvocati... Ma poi tutto si risolve bene: allo stesso prezzo ci propongono una Toyota Camry, categoria superiore, una berlina dall'estetica francamente orribile ma con interni in pelle e radica, optional di lusso e ampio bagagliaio. E' un tremila di cilindrata, dovremo stare attenti a non schiacciare troppo l'acceleratore, anche se qui la benzina costa poco. Accettiamo, ci mancherebbe. Mentre mi avvicino al deposito delle auto, la osservo di nuovo. Dire che è orribile è davvero poco. In ogni caso meglio della Escort che ci aspettava.

Fatichiamo non poco per districarci nei labirinti del L.A. Airport International. Una volta fuori, imbocchiamo una freeway in direzione nord, verso le spiagge di Venice e Santa Monica.
Procediamo a velocità contenuta, anche per prendere confidenza con il cambio automatico.
Un intreccio inestricabile di strade sopraelevate a cinque o sei corsie che tengono unite una serie di sobborghi che si susseguono senza soluzione di continuità.
Più che una metropoli, Los Angeles è questo.
Attorno a noi è terra bruciata.
Oltre il guardrail, tra le sterpaglie spuntano baracche di lamiere ondulate, copertoni da camion, rottami vari.
Los Angeles è anche questo.
In poco meno di un'ora siamo a Venice. Sono le due del pomeriggio. Il sole picchia duro. In giro non c'è un'anima, ma purtroppo è sabato e quindi il lungomare è chiuso al traffico.
Ci dirigiamo dunque ancora più a nord, verso Santa Monica.
Ora il panorama è decisamente cambiato. Sfilano davanti a noi ville eleganti con i classici vialetti fioriti, palme lussureggianti, Harley Davidson e Cadillac lunghe oltre dieci metri, con i vetri scuri. Giubbotti di pelle nera e minigonne.

A Santa Monica ci mettiamo subito a cercare un posto dove passare la notte.
Il Best Western che ci ha suggerito l'impiegata dell'Ufficio Immigrazione - la tipa che si deve sorbire il famoso questionario con dichiarazioni come "Non ho mai violentato un bambino" oppure "Non sono un simpatizzante nazi" - ha tariffe piuttosto alte. Optiamo piuttosto per un motel in Lincoln Street, poco distante da lì. E' gestito da un tipo simpatico, probabilmente di origine indiana o pakistana, con un sorriso da spot pubblicitario. Ci racconta che ha tifato Italia nella recente Coppa del Mondo, giocata proprio qui negli States.
- Basio, Basio! Wonderful!
- Basio?
- Yes, Basio! Good player...
Ci vuole un pò di tempo per capire che sta parlando di Roberto Baggio, in fin dei conti siamo reduci da un volo transoceanico.
L'indiano è andato a vedere la finalissima al Rose Bowl di Pasadena, a poche miglia a nord di Los Angeles.
- Bad luck! - commenta così la sconfitta ai rigori degli azzurri.
- Yes, bad luck. - confermiamo noi. Anche se a dire il vero quell'Italia passerà alla storia solo per il culo di Sacchi...
La stanza è squallida. Gli unici arredi disposti sulla consueta moquette marrone scuro sono due reti a una piazza e mezzo, una tv a colori anni Settanta, una delle prime uscite sul mercato forse, un tavolino e due sedie. Che triste.
Con il passare dei giorni, però, ci dovremo abituare a questa povertà di standard.
I canali a disposizione trasmettono un poliziesco, il baseball e arti marziali. Spegniamo la tv e scendiamo in spiaggia.

Attraversiamo un quartiere di piccole case in legno, con piccoli patii esterni decorati con cactus e rampicanti colorati, tettoie in cannette di bambu' per tenere al riparo gigantesche auto dalla carrozzeria tirata a lucido. Se verso l'interno le architetture sono assai semplici, avvicinandoci all'oceano prende il sopravvento il postmodern: sul litorale costeggiato da due filari di palme da cocco è un trionfo di barocco italiano e di pagode cinesi, frontoni neoclassici e colonne scanalate.
La spiaggia è senza fine.
Per raggiungere la riva ci vuole un'infinità.
Il baywatch, la consueta torre di osservazione per il salvataggio, ostenta con orgoglio la bandiera a stelle e strisce. Da lì è possibile avere una bellissima veduta di insieme sull'Oceano Pacifico. Nessuno di noi l'aveva mai visto, sino ad allora.
Qui c'è spazio per tutti.
C'è chi fa footing con tute e top aderenti. Chi porta a passeggio il cane. Ci sono ragazzini neri e ispanici che compiono incredibili evoluzioni sui loro skate. Bambini con aquiloni coloratissimi. Qualcuno gioca col frisbee. Ragazze bellissime che sollevano pesi in palestre improvvisate sulla sabbia. Non mancano nemmeno i surfisti, muscolosi e statuari, con l'immancabile bandana e i lunghi capelli biondi sulle spalle: sono loro il vero simbolo della California.
Raggiungiamo un enorme molo di legno, popolato da una frotta di pescatori in paziente attesa. Ci avviciniamo per dare un'occhiata alle reticelle. Il loro bottino è assai magro. Eravamo curiosi di vedere quanto erano grandi persino i pesci. Tutto è più grande, qui. Ti sembra di essere in un plastico in scala 2:1. Ci si poteva aspettare tonni di tre-quattro metri.
Camminiamo sul bagnasciuga, accompagnati dal rumore della risacca delle onde. Immergiamo i piedi nell'oceano ma l'acqua è gelata. Di fare il bagno non se ne parla nemmeno. Mica abbiamo ammazzato qualcuno. Molto meglio sederci sotto un ombrellone di paglia e ordinare delle limonate ghiacciate con nachos messicani e salsa al chili piccante.
Stanchi ma felici, ci incamminiamo verso il motel: il jetlag comincia a farsi sentire.
Sono solo le nove della sera, ma già dormiamo tutti e tre.

venerdì 11 luglio 2008

Il lodo Al Bano


Mentre gli Italiani hanno già la testa alle vacanze, il nostro Governo continua a lavorare instancabilmente.
Queste le principali novità licenziate dal Consiglio dei ministri:

LODO AL BANO - Dopo il famigerato Lodo Alfano, ecco anche il Lodo Al Bano, che di fatto depenalizza l'ascolto e il download dei più grandi successi dell'artista di Cellino San Marco, da "La zappa picca pane pappa" a "Lu pulice", da "Un dì all'azzurro spazio" a "Nostalgia canaglia". Secondo gli osservatori stranieri, tale norma avrà un impatto devastante sulla psiche del già tormentato popolo italico.

LEGGE CARFAGNA - Basta con l'improvvisazione e l'iniquità nelle raccomandazioni alla Rai e sua galassia. Con le nuove norme vengono finalmente fissati dei paletti uguali per tutti. Rapporto orale: valletta. Rapporto completo: fiction in prima serata. Predisposizione al lavoro di gruppo: sottosegretario.

DECRETO SICUREZZA - Malgrado la nettà contrarietà di quei comunisti della Comunità Europea alla proposta di rilevare le impronte digitali ai piccoli Rom, il Ministro Maroni alza la posta. Allo scopo di limitare le scorribande furtive degli zingarelli nelle case degli Italiani, farà amputare a tutti loro il piede destro. Dura e sdegnata la replica dell'opposizione. Il sindaco di Firenze denuncia: così facendo riempirà di storpi le vie delle nostre bellissime città d'arte.

GRANDI OPERE - L'ormai mitico ponte sullo Stretto si farà, e l'appalto verrà gestito da una task-force di uomini sopra ogni sospetto: Dell'Utri, Cuffaro e Calogero Mannino. Presto cantierabile anche il viadotto che unirà Olbia al Porto di Piombino, ma la vera novità è il tunnel sotterraneo che dal cuore della Brianza porterà direttamente ai caveau delle banche svizzere e del Lichtestein. Un'opera indispensabile a detta di Tremonti, un esperto del settore.

SCUOLA - Il ministro Gelmini, dopo il successo del ritorno al grembiule in classe, ottiene anche la reintroduzione delle pene corporali. Inoltre, l'ora di educazione fisica verrà presto sostituita dalle tradizionali parate in divisa nei cortili delle scuole superiori.

ENERGIA - In Europa si punta sulle fonti rinnovabili, ma il Governo crede fortemente nel recupero del nucleare. Dopo alcuni mesi di prova nelle campagne del Molise e della Basilicata, dove non si sono registrati effetti collaterali degni di nota (con la sola eccezione di un paio di esemplari di angurie con orecchie, naso e organi genitali ritrovate in un campo presso Isernia), si procederà entro i prossimi cinque anni alla costruzione di dieci nuove centrali.

LEGGE SULL'ARCHITETTURA - Al bando i palazzoni freddi e privi d'anima progettati da architetti assassini nel secondo dopoguerra, d'ora in poi - proclama Bondi - sarà possibile edificare solo e unicamente case in stile neopalladiano con almeno dodici camere da letto e servizi quadrupli. Resta da definire se sarà anche obbligatorio far erigere al centro del giardino il mausoleo di famiglia. Il pittore Cascella è in fibrillazione.

giovedì 10 luglio 2008

EXPO 2008 DA' I NUMERI


3.600 milioni di ettari di terra prossimi alla desertificazione, ovvero il
29% del territorio dei paesi del Mediterraneo,
118 paesi interessati.

26.000 kmq è la dimensione del Lago Ciad nel 1960,
900 kmq è la sua dimensione nel 2006.

6.000 tonnellate di pesce pescate nell'anno 1980 a Sinù, Colombia,
1.700 tonnellate di pesce pescate nel 2006, ovvero
60.000 persone praticamente senza cibo.

5 litri di acqua è il consumo giornaliero pro-capite in Etiopia,
150 litri in Spagna,
600 litri in California.

25% della popolazione dell'Etiopia ha accesso ad acqua sana e pulita,
28% in Nicaragua,
46% ad Haiti.

71% indice di mortalità infantile ad Haiti.

33% della popolazione mondiale non dispone di acqua sufficiente.

1.100.000 persone dispongono solo di acqua inquinata.

500 tonnellate di oro estratte dalle miniere in Perù ogni giorno inquinano l'acqua per milioni di persone.

10 litri consumo giornaliero per pulizia casa nel mondo occidentale,
45 litri per la toilette,
60 litri per la doccia,
33 litri per il bagno,
18 litri per la cucina.

2.700 litri di acqua per produrre una Tshirt,
8.000 litri per un paio di scarpe di tela.

430 litri per produrre 1 kg di kiwi,
859 litri per le banane,
40 litri per una fetta di pane,
120 litri per un bicchiere di vino,
40 litri per 1 kg di acciaio,
5.906 litri per 1 kg di carne di maiale.

14% di risparmio di acqua mettendo in opera metodi di agricoltura alternativi.

60% della popolazione mondiale vive in Asia, e dispone del
36% delle riserve idriche totali;
8% in Europa, e dispone del
13%;
8% in America settentrionale, e dispone del
15%.
4.000 bambini sotto i cinque anni muoiono ogni giorno a causa di malattie (diarrea) provocate da acqua inquinata, ovvero uno ogni
3 secondi

1,2,3
1,2,3
1,2,3
.....

martedì 8 luglio 2008

ZARAGOZA EXPO 2008


Prima tappa dello splendido viaggio di aggiornamento organizzato da Piacenza 74 e da Viaggi di Architettura è stata Saragozza.
"Acqua e sviluppo sostenibile" è il tema che ha permesso alla città spagnola di aggiudicarsi la gara per ospitare l'EXPO 2008, l'esposizione internazionale che richiamerà più di 7 milioni di visitatori nella capitale d'Aragona.
L’area espositiva dell’Expo copre un territorio di 25 ettari, una vera propria "cittadella” immersa nel verde del Parque del Agua, a circa due chilometri dal centro cittadino e solo 700 metri dalla nuova stazione ferroviaria dell'alta velocità, alla quale è collegata da una cabinovia sopraelevata.
Servizi all'avanguardia, uno skyline futuribile e i nuovi collegamenti ferroviari super veloci l'hanno trasformata in un simbolo della nuova Spagna.
Le opere realizzate sono state ispirate al tema centrale dell'acqua e della sua importanza nell'ecosistema della città del futuro, con particolare attenzione alla lotta agli sprechi e al risparmio energetico. Gli architetti hanno cercato di indagare le sue molteplici sfaccettature presentando progetti di grande impatto.


La Torre dell'Acqua

Simbolo e cuore dell'evento è la "Torre dell'Acqua", edificio di cristallo alto 76metri e progettato da Enrique de Tersa, dal quale si può ammirare l'intero parco dell'Expo e le opere (ancora incomplete) di riqualificazione delle rive del fiume Ebro, caratterizzate da cascate per rafting, giardini botanici, canali di acque mosse e parchi sensoriali.


Il Ponte Padiglione di Zaha Hadid

Altro elemento fortemente caratterizzante è il Ponte Padiglione, che collega la stazione all'entrata principale della fiera, opera un pò di maniera di Zaha Hadid. Il ponte coperto, oltre a unire le due sponde dell'Ebro, funge da spazio espositivo (oltre 7000 mq) che si avviluppa lungo il consueto andamento a zig-zag (260 mt).


Il Centro Congressi

Sulla grande piazza di ingresso si affaccia il Centro Congressi, opera dei bravi architetti madrileni Nieto&Sobejano, e si apre la promenade principale, coperta da una tensostruttura e attraversata da una sequenza interminabile di passerelle sospese, che distribuisce la maggior parte degli spazi espositivi.



Due vedute del padiglione spagnolo

Dal punto di vista architettonico, il padiglione più interessante è certamente quello spagnolo, opera di Mangado. Una grande piastra trapezoidale è sorretta da un'autentica selva di colonne scanalate in laterizio, disposte a più file a interasse variabile. Esse raccolgono e conservano l’acqua a temperatura costante per poi nebulizzarla verso la zona bassa del portico, rinfrescando gli spazi. Lo specchio d'acqua solcato da alcune passerelle in tavole di legno enfatizza il rimando a un canneto di bambù.
Meno convincente è sembrato il padiglione della regione aragonese, ispirato alla tradizione artigiana locale dell'intreccio dei cesti; in questo caso il richiamo al tema dell'acqua appare peraltro del tutto inesistente.
Il primo in futuro ospiterà un'Università, il secondo la sede degli Uffici comunali.


Il padiglione dell'Aragona

Tre le firme italiane protagoniste: aMDL di Michele De Lucchi con la progettazione del padiglione italiano (assai deludente, per la verità), Italo Rota & Partners per la piazza tematica “Città d’acqua”, e lo studio carlorattiassociati con il Digital Water Pavilion.




Le luci e i colori di Zaragoza EXPO 2008

In attesa di Shanghai 2010, dove in un momento di euforia il mitico "Presidente" ha promesso di portarci, non rimane che ringraziare lui e il gruppo dirigente di Piacenza 74 per questa bella esperienza, oltre che ovviamente la simpatica Mikaela e i suoi Viaggi di Architettura.

NB: trovate questo post anche su immaginidiarchitettura.blogspot

lunedì 7 luglio 2008


Leggo i giornali dopo qualche giorno di assenza, ma il dibattito politico langue. Troppo forte è l'attesa di sapere se la ministra-velina si è fatta scopare o no dallo psiconano.
Surfando un pò, mi imbatto in questo divertente articolo di Franco Ricciardiello su Carmillaonline.com, intitolato "L'estetica di Superciuk".

Lo riporto qui sotto parzialmente , anche in onore del fumetto che più ho amato.

Ma prima una curiosità.
Se, presi dalla nostalgia per questo favoloso personaggio nato dalla fantasia del grande Max Bunker, andate su Google e digitate semplicemente la parola "Superciuk", usciranno per primi due links a Wikipedia: il primo è (correttamente) la voce riferita ad "Alan Ford", ma il secondo è la voce relativa al nostro amatissimo Sandrone Bondi (vedi post più sotto), dal quale potrete ricavare la seguente affermazione di Sgarbi: « Sandro Bondi? La prima volta che l'ho sentito parlare ho avuto uno shock. C'era una riunione di Forza Italia, e non era previsto l'arrivo di Berlusconi. E invece arriva Berlusconi, proprio mentre lui sta parlando. Bondi si ferma, lo guarda e gli dice: "Mi scusi, Presidente, se parlo in sua presenza..."[1] »

Il motivo di questo abbinamento si spiega con il quarto link, che è il blog di Beppe Grillo.

Ecco l'articolodi Carmilla:

(...) se dovessi scegliere un modello per rappresentare l’italiano di oggi — con la debita prevenzione intellettuale per la semplificazione — la prima figura che mi verrebbe in mente è Superciuk, l’antipatico anti-eroe del fumetto di Max Bunker, Alan Ford/Gruppo TNT, il Robin Hood alla rovescia che ruba ai poveri per donare ai ricchi. Anzi, persino questa è una semplificazione: Superciuk trafuga, per esempio, elettrodomestici acquistati a rate pluriennali da famiglie proletarie per regalarli a capitani d’industria che li sistemeranno nella villa al mare, dove magari soggiornano una volta all’anno per pochi giorni.
Nella migliore tradizione del fumetto d’avventure, Superciuk è un eroe mascherato: il suo vero nome pare sia Ezechiele Bluff, di mestiere operatore ecologico, un povero alcolizzato talmente indispettito dalla mancanza di civiltà degli abitanti delle degradate periferie, che insudiciano le strade procurandogli continuamente lavoro, da consacrare la propria vita a una rivincita indiscriminata contro i poveri. Compie le proprie imprese (o malefatte) con un travestimento straccione, coperto da un mantello scalcagnato e armato solo di un fiasco di vino ignobile. Come ogni supereroe che si rispetti, infatti, Superciuk ha un’arma segreta: la sua stomachevole superfiatata alcolica.
Dunque, nessuna scelta di campo dettata dalla coscienza di classe: anzi Superciuk è straccione tra gli straccioni. La sua rivolta ha un senso estetico: i poveri sono brutti, mentre quello dei ricchi è un mondo elegante, piacevole, il luogo del bello. Vi ricorda qualcosa?
Uno dei più lucidi osservatori della coscienza del nostro paese, lo scrittore e sceneggiatore cinematografico Ennio Flaiano (1910-1972), sintetizzò in un aforisma cinico e bellissimo un’amara verità morale: “Gli italiani corrono sempre in aiuto al vincitore.” Ecco la vera essenza di Superciuk: una rivolta contro il brutto, la povertà e il fallimento, a favore dell’eleganza, della ricchezza e del successo.
Sempre Flaiano scrisse che “Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la TV.” Eccoci qui finalmente nella nostra meravigliosa Terra dei Cachi, a vivere non solo al di sopra delle nostre possibilità, ma anche sopra le possibilità dei nostri vicini e dei nostri figli.
Eccoci finalmente nell’era di Superciuk.
Le sue velleità sovversive non sono politiche, ma estetiche: Superciuk si è lasciato alle spalle gli anni Settanta, l’odore sudato della classe operaia in catena di montaggio, l’immagine cafona dell’emigrazione interna, l’atmosfera triste degli anni di piombo.
Non vorrei che queste considerazioni sembrassero ispirate dall’amarezza per un panorama politico sempre più deprimente. In fondo, ci troviamo soltanto a uno stadio di un lungo percorso di trasformazione, che in Italia ha avuto inizio con il boom economico degli anni Cinquanta. Siamo uno dei pochi paesi al mondo in cui l’unità nazionale, politica e culturale, non è stata raggiunta al termine di un processo di rivoluzione sociale, ma grazie a una lingua comune semplificata per trasmettere sentimenti e concetti estremamente facili. Il paradiso ideale del Grande Fratello (quello di Orwell, non quello dei tangheri di Mediaset).
L’unità culturale in Italia è il frutto illusorio del livellamento linguistico ottenuto dalla televisione nazionale dagli esordi e fino agli anni Settanta, e dall’omologazione a modelli culturali americani dagli anni Ottanta in poi. L’inconscio di Superciuk è violentemente colonizzato dal piccolo schermo.
E adesso un fantasma si aggira per l’Italia; non è facile catturarne un fotogramma, però si può riconoscere perché ha il profilo sfumato dalla super fiatata alcolica.
Servile con i potenti e tracotante con i deboli, Superciuk è sempre pronto a baciare le mani ai boss. Già da piccolo, quando va ancora a scuola, Superciuk è rapido a schierarsi con i bulletti e a prendersela con i compagni meno “corazzati”: i timidi, i portatori di handicap, quelli che dimostrano una sensibilità particolare.
Mentre cresce, Superciuk impara a discriminare chi è diverso, specialmente se in condizioni di inferiorità: gli immigrati stranieri, i tossicomani, chiunque non dimostri un comportamento sessuale ortodosso. Al contrario, è un fervente ammiratore dei “furbi”: evasori fiscali, imboscati, mafiosi.
Superciuk accoglie con favore l’abolizione della tassa di successione, anche se quelli come lui non l’hanno mai pagata, mentre chi ha votato in Parlamento risparmia parecchie migliaia di euro. Festeggia l’abolizione dell’ICI, un notevole spostamento di risorse dai poveri ai ricchi dato che attualmente è pagata solo da 6 italiani su 10, i più abbienti. Va in visibilio per l’abolizione della tassa di circolazione sulle automobili, così risparmierà il bollo della sua scalcagnata utilitaria, mentre i suoi idoli ne risparmiano migliaia sulle numerose autovetture di famiglia.
Per reagire alle minacce contro la propria identità, causate dal crescente divario di reddito tra la minoranza privilegiata e la maggioranza in fase di impoverimento, Superciuk partecipa o applaude al terrore contro le fasce meno tutelate della nostra società, il sottoproletariato extracomunitario e i nomadi: in questo modo gli ultimi arrivati saranno sempre più sfruttati e meno garantiti, e continueranno a comprimere gli spazi dei diritti per la totalità dei lavoratori.
Povero Superciuk, questo è un mondo di complessità incomprensibile per lui. Ogni sua azione si ritorce contro i suoi interessi, e nemmeno se ne accorge. Grazie al boom degli anni Cinquanta e Sessanta finalmente poteva mettere da parte le preoccupazioni economiche fondamentali, e invece ecco che gli si prospettano sempre nuove necessità: la seconda automobile, il televisore al plasma, il cellulare di nuova generazione, le ferie nei santuari del turismo di consumo. Stretto tra il martello — una classe agiata di buona cultura, enormemente favorita da un’elusione e un’evasione fiscale record, — e l’incudine — una minoranza svantaggiata di disoccupati, immigrati clandestini e regolari, Superciuk è senza via d’uscita; il suo immaginario è colonizzato da Hollywood e da Mediaset, il suo status sociale definito dal livello dei suoi consumi. Non legge altro che giornali sportivi, non apre un libro in vita sua, spesso nemmeno durante gli anni di scuola. Vive nel culto di un mondo inesistente che i mezzi di comunicazione di massa hanno creato per lui: il calciatore strapagato & la velina, le trasmissioni televisive autoreferenziali che invece di occuparsi della società non parlano che di televisione, i giornalisti servili con i potenti, una fetta del mondo dello spettacolo trapiantata in Palamento, i reality televisivi che trasformano la mediocrità in standard di comportamento. Il qualunquismo, eterna trappola della democrazia, diventato programma di governo.
Povero Superciuk, Robin-Hood-alla-rovescia, credendo di interpretare un super-eroe individualista è diventato la massa di manovra dei poteri extranazionali nella rete del mercato globale.

sabato 5 luglio 2008

Diario de Espana

A Saragozza ho avuto un pò di problemi con la connessione wireless dell'albergo. Qui a Madrid, al celebre Silken Hotel di Puerta America, alla modica cifra di 9,00 euro/dia - che c.j., essendo gentile ospite di Pc74, ha opportunamente fatto mettere sul conto... - finalmente ho la possibilità di inviare a tutti gli amici un saluto.
Per inciso, quest'albergo è una figata pazzesca, un cinque stelle da quasi cinquecento euro a notte. Da fuori sembra un colorificio, con tutti quei teloni gialli, rossi e viola. L'impianto architettonico è opera di Jean Nouvel, ma lo stesso si può dire che è assai deludente, per di più proprio a fianco delle Torres Blancas, uno dei simboli dell'architettura moderna madrilena. Quello che fa impazzire è che ognuno dei 13 piani - oltre alla hall di ingresso al piano terra, di Pawson - è stato progettato da un architetto diverso, ovvero dai più grandi designer del mondo, dalle star del firmamento internazionale. Una fiera delle vanità. Un coacervo di stili diversi, dal minimal al decostruttivismo, dal postmodern all'high-tech. Io abito al secondo piano, opera del maestro inglese Norman Foster. Si sta bene, direi. Listoni di rovere, armadi scorrevoli in pelle bianca, testata del letto in cuoio color cioccolato. Le pareti divisorie del bagno sono curvilinee e intermanete realzizate con lastre di cristallo acidato. La doccia, in realtà, non si può chiudere ed è collocata a fianco dell'immenso letto, dove perlatro si potrebbe dormire in quattro. Io sto scrivendo appoggiato a una lastra di onice che funge anche da top per i due lavatoi ovali, anch'essi in camera. Solo il water è separato dalla stanza. Il bidet non c'è, si sa, gli inglesi...
Lorenzo è al decimo piano, da Arata Isozaki. Lui definisce la sua camera un catafalco. E' tutta nera, sembra un loculo mortuario. Gli ho proposto di mettere fuori sulla porta una fotografia e un qualche gambo di crisantemi. Il lenzuolo è nero. Le tende sono nere. La carta igienica è nera...
Il presidente è sul piano di Zaha Hadid. Le camere sono come cellule spaziali, tutte bianche, con pareti e soffitti curvilinei di plastica verniciata. Tutto puzza ancora un pò di nuovo. Anche gli arredi sono bianchi. Ti sembra di essere nel pub di Arancia Meccanica. Nel disimpegno del corridoio, dove chiunque può transitare, un enorme plasma proietta un film porno con scene assolutamente esplicite. Lo accusiamo di avere l'accesso alla scelta dei canali.
Poi ci sono Ron Arad, Chipperfield, Newson...

Caldo c'è caldo.
Trentacinque-trentasei gradi, più o meno.
Mentre a Saragozza, per via dell'escursione termica tipica delle zone desertiche, alla sera si alzava una piacevolissima brezza, qui non tira un filo di vento. Per dirla con le parole di Bergamin, "a Madrid non si sposta nemmeno un rapanello".
Con questo gruppo ci si diverte.
Sarà anche come ha detto Sandrone Bondi al Congresso di Torino della settimana scorsa, che gli architetti hanno rovinato l'Italia con le loro opere brutte, malate e senza spirito, ma almeno sono (mediamente) simpatici. Un pò pazzi, forse, ma qui c'è un sacco di tipi in gamba.
La prima sera a Madrid è filata via liscia.
Il bus ci ha mollato a Puerta del Sol, e dopo una visita alla sempre affascinante Plaza Mayor, dove Marcello ha tenuto banco con la sua sapienza urbanistica, ci siamo diretti verso Plaza de Santa Ana per tapear. Il locale prescelto, un pò fighetto per la verità, ha un'intera parete di lavagna. La cameriera è piuttosto malmostosa, e la cosa indispone i più, poi scopriamo che è italiana. Optiamo per un misto di tapas per tutti. Arrivano tortillas, chorizo, jamon serrano, queso mancheso, patatas bravas, ali di pollo fritte, sanguinacci vari, bruschette, salami e peperoni piccanti. Tutta roba che fa bene. Peccato per la sangria, sembra succo d'arancia. Ha persino uno strano retrogusto da medicinale.
Dopo cena ci dirigiamo verso Chueca e Malasana, i quartieri dove si svolge quello che è rimasto della movida degli anni '80. Io faccio da guida, questo ruolo mi toccherà fino a domenica, per cui spero che l'itinerario proposto non deluda nessuno.
Il presidente mi dice: - Giovanni, devi stupirci!
E direi che tutto va oltre ogni previsione.
E' in atto la prova generale del Gay Pride di domenica prossima, le strade di Chueca sono letteralmente prese d'assalto da una fiumana impressionante di persone. Fuori dai locali, dai mille locali, ci sono banchi che distribuiscono da bere. A spillare la birra, strani personaggi a torso nudo che danzano su palchetti improvvisati. C'è n'è uno con il pizzetto rosso e un percing che gli trapassa il naso. Da Calle de la Hortaleza sbuchiamo in una piazza dove, davanti a migliaia di ragazzi che ballano un'orrida discomusic anni '70, sul palco si agitano due gay pazzeschi. Uno è pelato, con una barba fluente e una pancia da far schifo, che enfatizza grazie a una strana cintura che gli stringe i capezzoli. Mentre balla, si tira dei pugni violentissimi sulla pancia. Strepitoso. Roba da Village People. Ma sul serio.
Se cercavate la follia di Madrid, eccola qua.
Accomodatevi.
Ci facciamo largo nella folla, tra cartacce e lattine di cerveza vuote.
C'è un rumore assordante.
Procediamo verso la Plaza del Due di Maggio, data importante per la sollevazione contro i francesi immmortalata da Goya. Non la raggiungeremo mai. Difficile farsi largo in questo muro di gente. In Calle del Pelayo ci sono dei travestiti alti quasi due metri che danzano e strillano sul cassone di un camion. Per fendere la folla, siamo costretti a spingere. Non si respira, c'è caldo e una terribile puzza di sudore.
Possiamo solo scappare e cercare un Taxi per il rientro. Lo troviamo sulla Gran Via.