martedì 4 novembre 2008
Facino Rosa
Le tapparelle filtrano la fredda luce al neon dei lampioni giù in strada, proiettando sul soffitto un’infinita sequenza di sottili linee parallele.
Fessure marziane di un azzurro sinistro.
Accovacciata sul bordo del letto, Rosa inganna il tempo cercando di stabilirne il numero esatto. Lo faceva spesso da bambina, prima di addormentarsi nella grande casa della zia, quando, nel buio della notte, si divertiva anche a seguire con lo sguardo il riflesso sulle pareti dei fari delle auto che correvano lungo la Provinciale.
Rosa stanotte ha dormito poco, e male.
E' riuscita a prendere sonno molto tardi, dopo aver ingerito l'ennesima pasticca prelevata dalla slitta di stagnola in bella mostra sul comodino.
Prima dell'alba, si è svegliata quasi di soprassalto, tra le lenzuola madide di sudore.
E ora è quì, un terribile mal di testa, mentre aspetta con impazienza che arrivino le sette.
Persino il fruscìo leggero, quasi impercettibile, delle foglie trascinate dal vento riesce a infastidirla. Rosa si alza di scatto, abbandonando le sue fette di pane tostato con burro e marmellata sulla tovaglia piena di briciole, assediata da un esercito di agguerrite formiche, e per l’ennesima volta si affaccia verso il marciapiede deserto. Osserva a lungo il disegno geometrico della pavimentazione in autobloccanti, nelle varie tinte pastello e, quasi ipnotizzata, cerca di ripetere lo stesso motivo con una serie di leggeri scatti di un dito della mano destra.
Un altro palese sintomo del suo nervosismo.
Rosa Facino fa l'insegnante alle scuole medie.
Rosa Facino ha poco più di quarant'anni, anche se ne dimostra qualcuno di più per via dei suoi lunghi capelli grigi e delle gonnellone larghe a quadri scozzesi che è solita indossare, e ancora non è riuscita a entrare di ruolo.
Così, ogni santo anno che il Signore manda in terra, per tirare avanti Rosa Facino è costretta a sperare in una supplenza annuale.
L'Aula Magna dell'Isituto Tecnico Industriale è stracolma.
Rosa fa il suo ingresso in punta di piedi, e, dopo una rapida carrellata sulla consueta e triste platea di precari per professione, si accomoda su una poltroncina imbottita dell'ultima fila. Lei è proprio il tipo che preferisce restare in disparte.
Ci saranno più di quattrocento persone, sussurra qualcuno alle sue spalle.
Forse anche più, mormora Rosa tra sè.
Le si fa accanto un ragazzo del sindacato, allenato così bene a intercettare all'istante lo sguardo smarrito degli ultimi arrivati.
C'è la lista dei posti da assegnare?, chiede gentilmente lei.
Sono finite le fotocope, dice lui.
(La solita sfiga, pensa lei.)
Adesso ne vado a fare ancora un centinaio, la tranquillizza lui. Al mio ritorno ti faccio avere tutte le liste. Comunque quest'anno ci sono pochi posti.
Po-po-pochi?, ripete lei balbettando, il terrore materializzato nei suoi occhi.
Molti meno dell'anno scorso, risponde lui, alzando le spalle come per dire, mi dispiace, non è colpa mia.
Questa sì che è una sorpresa: Rosa aveva infatti sentito dire che c'erano state molte richieste di prepensionamento, e anche qualche gravidanza in più del solito, e che quindi i posti vacanti erano diversi.
E invece si mette male.
La Commissione inizia i suoi lavori verso le dieci, che non è il massimo della puntualità, ma poteva andare peggio. Bisogna sempre pensare che potrebbe andare peggio, questo Rosa ormai lo aveva imparato bene.
Il meccanismo di chiamata è quanto di più diabolico una mente umana potesse mai immaginare. Lo speaker parte da una materia qualsiasi, questa volta matematica, e chiama i candidati supplenti iniziando da quelli in cima alle graduatorie ufficiali. Fin qui, tutto bene. La faccenda si complica assai nel caso di un candidato che, per esempio, viene chiamato per una cattedra di matematica ma che preferisce invece optare per un posto di fisica: in questo caso si riparte dalle liste di fisica. E così via, zig-zagando a random tra le varie graduatorie. Inoltre c'è la possibilità del sostegno. Tutti possono optare per il sostegno, e quindi se qualcuno lo sceglie si riparte da lì. Ma se subito un candidato chiamato per il sostegno, abilitato per l'insegnamento dello spagnolo, opta appunto per lo spagnolo, si riparte da spagnolo.
Se non avete capito, non preoccupatevi.
Rosa ci ha impiegato degli anni, per capire.
Passano i minuti.
Passano le ore.
Passano i candidati.
E intanto Rosa Facino cancella dalla lista tutti i posti già assegnati.
A metà pomeriggio, ancora non è stata chiamata, e i posti ancora da assegnare sono ormai pochi. Rimangono otto ore a San Giorgio e otto a Podenzano. Oppure dieci ore a Monticelli d'Ongina. A conti fatti, l'unica possibilità sono le sedici ore di Borgonovo.
Non può pensare di andare lontano, con la quella Uno scassata che si ritrova, sarà una Euro0, o Euro1 se gli va bene, con quella non si fanno vedere in giro neanche gli extracomunitari. Deve cercare di prendere tutte le ore in una stessa sede, così può usare la corriera.
Possibilmente non a casa del Signore.
Ma se ne vanno anche le dieci ore di Monticelli.
E le sedici di Borgonovo, le prende un ometto di mezz'età, basso e stempiato, e anche peloso, ma peloso all'inverosimile: mai visto uno con tutti quei peli addosso.
Stronzo!, pensa Rosa.
Rosa non diceva mai parolacce, ma quanto a pensarle, sì, che le pensava.
Anche se la vecchia zia, che l'aveva cresciuta da quando era morta sua madre, quando Rosa aveva solo sette anni, le diceva sempre che le parolacce è peccato anche a pensarle, non solo a dirle.
Che vada a cagare, la zia, pensa Rosa, mica si faceva questa trafila tutti gli anni per avere una supplenza annuale in qualche posto nel buco del culo del mondo.
Lo sapeva, la zia, cosa voleva dire fare l'insegnante di sostegno in una scuola media di periferia?
Lo sapeva, la zia, quante volte era stata insultata da ragazzini esagitati e maleducati, che le tiravano i cancellini sporchi di gesso sul sedere quando lei era alla lavagna a scrivere?
Lo sapeva, la zia, che l'anno scorso nella sua classe c'era un tipo che le faceva vedere l'uccello tutte le mattine?
Lo sapeva, quella vecchia baldracca, di quella volta che quel tipo si era persino masturbato sotto il banco e poi aveva spruzzato contro la parete dall'intonaco scrostato, proprio sotto la carta politica dell'Unione Europea?
Non aveva mai fatto un cazzo per tutta la vita, la zia, questa era la verità.
Continuava a ripeterle: devi fare questo e quello, devi fare come me, è così facendo che sono arrivata dove sono arrivata.
Rosa avrebbe voluto dirle, adesso: zia, sei una brava donna, ma dove cazzo sei arrivata?
Invecchi da zitella sola in una grande casa decrepita, sopravvivendo grazie alla misera pensione da impiegata di sesto livello alla Posta Centrale, e quello che avanzi lo spendi a fine mese dal parrucchiere. O in una canasta di beneficenza con le poche amiche che ti sono rimaste.
Non hai mai visto altro posto del mondo, è questo che hai sognato in gioventù?
A Rosa non resta che il sostegno.
Verso sera, mentre sta pensando che ancora non ha mangiato nulla da stamattina e che ha una fame da svenire, lo speaker pronuncia il suo nome per la seconda volta.
Facino Rosa!
Lei si riprende e alza la mano, e poi scende nel corridoio centrale dell'aula, esausta, appoggiandosi agli schienali delle poltrone per rimanere in equilibrio.
C'è ancora un posto di sostegno a Fiorenzuola, le dice il Commissario. Le interessa?
Rosa annuisce con il capo e, mentre le prime lacrime iniziano a scenderle sulle guance scavate dalla tensione, pensa: non si può andare avanti così per sempre, e intanto inizia a compilare i moduli prestampati.
«Tra i manifestanti nelle scuole ci sono dei facinorosi»
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1 commento:
mi sono rotto i maroni di dirti che sei un fottuto genio del cazzo!!! pubblica qualcosa p.d.
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