lunedì 10 novembre 2008

Ritorno a Spora, 01


Funghi, zero.
Perchè potrei anche mentire dicendo che si è organizzata una passeggiata nei boschi del Monte Penna per respirare aria buona e fare due fotografie eccetera eccetera, ma in realtà la speranza è trovare qualche bel porcino da friggere impanato in padella.
E invece non ne troviamo nemmeno uno.
E' la seconda volta, quest'anno.
Va bene che quest'anno non ce n'è, lo dicono tutti al bar, a Travo, ma ho il sospetto di aver bisogno di una visita oculistica.
Ma poi dico, proprio dello stesso colore delle foglie secche, dovevano farli, sti benedetti porcini?
E perchè non blu, cazzo, o rossi? Le amanite, quelle sì che si vedono bene, e infatti: se le mangi non duri più di un quarto d'ora.
E' un disegno criminoso, ne sono certo.
Allora ripieghiamo su un piatto di polenta e una caraffa di vino rosso al rifugio, in compagnia di motociclisti tutti bardati di cuoio, con la bandana d'ordinanza e gli anfibi sporchi di fango, e alcune coppie stagionate, col vestito della festa, in trepida attesa che nel salone delle feste il leggendario Alberto Kalle possa dare il via alle danze con la sua inseparabile fisarmonica.

Nel pomeriggio facciamo tappa a Spora.
Nulla è cambiato, o quasi.
Parcheggiamo le auto nel piazzale inghiaiato, è vuoto, forse un pò meno grande di quanto me lo ricordavo. Verso valle, la ringhiera è ormai arrugginita, e cosi pure la piccola panchina in cemento sotto il crocifisso è in condizioni critiche. Oltre la strada, dove una volta c'era l'osteria del Dado, adesso c'è un recinto per i cavalli.
La copertura del box, quella che una volta era il nostro solarium pomeridiano, il luogo dove sonnecchiavamo sui sacchi a pelo ascoltando il radiolone portatile, si sta sgretolando tutta e avrebbe bisogno di un intervento di manutenzione urgente.
La chiesa invece è in ordine, il campanile e le absidi sono state riverniciati da poco. Proprio sotto le absidi, sosteneva il vecchio Zanelli, l'unico a essere a conoscenza di questo segreto, si dovrebbe trovare ormai da diversi decenni un tesoro dal valore inestimabile. Povero Zanelli, quante volte ha provato a convincerci, a noi ragazzi, di scavare sotto le absidi alla ricerca del tesoro. Avremmo dovuto farlo di notte, per non dare nell'occhio. E avremmo diviso in parti eque, così aveva promesso. Noi fingevamo di credergli, e allora perchè cazzo non scavate, avrà pensato lui.
Ricordo il giorno che arrivammo su per la prima volta per il campeggio estivo della parrocchia. Ci fece vedere le varie stanze della canonica, esaltandone i pregi sino all'inverosimile, per poi terminare in fondo al corridoio con la visita al bagno.
- Ullallà, c'è anche il bagno!, disse estasiato.
Ridemmo di lui, almeno ora comprendo il significato di quelle parole.
Riconosco le varie finestre, la pensilina, persino il numero civico non è cambiato.
C'è ancora la fontana con la grande vasca in cemento, la vasca dove ci si lavava tutte le mnttine, poco dopo l'alba, buttandoci sotto le ascelle qualche manciata di acqua gelida, prima di partire per l'ennesima gita con la leggendaria Uaz del Ludo: riusciva a trasportarci in venti-venticinque alla volta, quello squilibrato di un prete, altro che punti della patente.
Circumnavigando il fabbricato, io e Agnese ci troviamo nel piccolo giardino sul retro, che poi tanto retro non è, essendo il sagrato della chiesa. Qui, oltre l'ingresso secondario della canonica, c'è un orto curatissimo, due file di pomodori e qualche ciuffo di insalata, e le zucche.
E' il segnale evidente di una presenza umana, più o meno fissa.
Allora non è disabitata, penso.
Mi sporgo oltre il cancello e vedo spuntare una suora che rastrella le foglie cadute con il vento. Sopra il muro di contenimento in sassi, c'è un filare di gelsi.
Mi viene incontro, la saluto.
E' piccola, più piccola di me intendo, e indossa un abito celeste e un paio di sandali, senza calze.
Le spiego che sono venuto a rivedere i posti dove ho passato tante estati, tanti anni fa.
Annuisce, e mentre ci incamminiamo verso il piazzale, dove gli altri erano rimasti ad aspettare, resta in assoluto silenzio.
Dopo qualche istante di esitazione, ci racconta la sua storia.
Vive qui da qualche anno, da sola in questa grande casa. Con l'aiuto dell'anziana madre ha riparato il tetto e ha sistemato le stanze del primo piano, dove ha anche trasferito la cucina e il refettorio, perchè al piano terra c'era troppa umidità e poi sotto le porte si infila una quantità di bestie.
Topi.
Bisce.
Scarafaggi.
Lei odia le bestie, dice.
(Non è proprio come San Francesco, penso.)
Ha uno sguardo duro, ma dolce.
Prima di venire qui ha fatto venti anni di clausura in San Raimondo.
Ma poi non ce l'ha fatta più, ed è venuta qui a vivere come eremita.
Ci guardiamo attorno e vediamo solo prati, e montagne, e boschi, e solo in lontanzana scorgiamo il fumo salire da un comignolo in pietra.
E pensiamo: che botta di vita.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

i porcini impanati e fritti? cazzo cosa sei un barbaro? un tedesco che non conosce l'uso delle papille gustative? i porcini si mangiano o crudi con un filo d'olio o, al massimo, alla brace

Gbattm ha detto...

allora vuol dire che non li hai mai assaggiati fritti, non parleresti così a vanvera...

Anonimo ha detto...

ma erano porcini o prataioli? sei capace di distinguerli??? :-)

Anonimo ha detto...

COCA COLA? SPUMA? Ma ricordi la moglie del Dado? Cazzo che bei tempi...
Big