martedì 2 dicembre 2008

Affresco


Prima di quella mattina, l'avevo visto in tutto tre o quattro volte.
Stava restaurando un affresco nell'androne di un palazzo del centro, proprio a fianco di un cantiere che seguivo per conto dello studio dove lavoravo all'epoca dei fatti.
Era un tipo alquanto strambo, con i lunghi capelli grigi raccolti in una coda di cavallo e un orecchino con un brillante al lobo sinistro. Portava sempre dei grembiuli assai logori, ed era così alto e magro che potevi scambiarlo per uno spaventapasseri.
L'avevo sempre salutato, in modo educato, niente più.
Qualche volta, forse, avevamo scambiato due chiacchiere sul tempo, le consuete frasi fatte sul freddo che non accennava a diminuire.
La settimana prima, mi ero effettivamente lasciato andare un istante, e gli avevo domandato come procedeva il lavoro: era ormai più di una settimana che stava scrostando lo stesso arco con un piccolo raschietto, e lui mi aveva risposto che purtroppo nel corso del tempo erano state date diverse mani di pittura, e adesso rimuoverle tutte per riportare l'affresco allo stato originario era davvero un lavoraccio.
Mi piace chiacchierare, in cantiere, se ne sentono delle belle. Coltivo anche diverse amicizie, tutte ovviamente a scopo di estorsione enogastronomica: un muratore di Cutro, si esprime in calabrese estremo, ogni settembre mi porta la 'nduia piccante e il pane fatto in casa, che dura più di dieci giorni e se lo metti nel tostapane pure di più. Quei demoni dei serbi e dei bosniaci, invece, mi hanno riempito la dispensa di quella loro grappa del cazzo, francamente imbevibile ma con un tasso alcolico assurdo, superiore a ogni altra cosa commestibile in commercio. E poi ti stupisci se si scannano fra loro senza apparente motivo.

Comunque, una bella mattina arrivo in cantiere e trovo il tipo in questione a terra, praticamente in trance, che fissa un punto nel vuoto sopra il ponteggio metallico, sgombro dei soliti attrezzi. Sembrava quasi che mi stesse aspettando.
- Stamattina è dura, gli faccio io, tanto per dire qualcosa.
Lui mi osserva in modo talmente intenso che ho paura di avvicinarmi oltre.
- Bevi un caffè?, mi chiede, uno strano ghigno dipinto sul volto.
- Ehm, volentieri, grazie, rispondo.
Per essere sinceri, l'ho appena bevuto, ma il tipo mi sembra talmente fuori di sè che non oso contraddirlo.
Entriamo in un bar a pochi passi da lì e ci accostiamo al bancone.
Lui si stravacca su uno sgabello.
Poi si accende una sigaretta senza filtro, incurante del divieto.

- Mi hanno buttato fuori di casa, mi fa lui.
- Scu-scusa?, balbetto.
- Mia moglie. Mi ha buttato fuori.
- Ma come, ti ha buttato fuori? Così? Da un momento all’altro?
- E’ successo ieri. Sono arrivato a casa dal lavoro e l’ho trovata in camera nostra che stava svuotando l’armadio delle mie cose. Le mie camicie, i miei pantaloni, i cappotti, tutti sul letto. E’ finita, mi dice. Ti dò tempo fino a domani per fare su le tue cose e per andartene.
- Cazzo.
- Stronza...
- Ma com’è possibile, cazzo? Ci sarà stato qualche preavviso. Non avete mai discusso prima?
- Mah, le cose non andavano bene come nei primi tempi. Ormai non ci parlavamo più da diverso tempo. Ma da qui a buttarmi fuori…
- Cristo. Mi dispiace.
- Grazie.

Non so se è mai capitato anche a voi, ma per alcuni a volte è più facile aprirsi a confidenze anche scabrose con dei perfetti sconosciuti piuttosto che con persone che si conoscono da sempre e che magari si stimano anche.
Certo, in questi casi per il perfetto sconosciuto - il perfetto sconosciuto sono io - non è facile tenere una conversazione decente, senza scivolare in patetiche ovvietà.
Infatti:
- Figli?
Era una domanda del cazzo, lo so, ma non mi era venuto in mente niente di meglio. Cosa potevo dire a uno che non conosci in nessun modo in una situazione simile? Che le donne sono tutte uguali e bla bla bla, e tutte quelle cazzate lì che tu neanche ci credi?
- Una figlia. Una ragazza di quindici anni, mi dice lui mentre inizia a frignare come un bambino.
Gli metto una mano sulla spalla, chiedendomi perchè lo sto facendo.
- Merda. E come l’ha presa?
- Direi bene, sbuffa lui. Era in camera sua che chattava con gli amici, e si è affacciata all’uscio per dirci di abbassare la voce.
- Wow... Beh, devi capirla, a quell’età. Comunque, vedrai, se ne farà una ragione.
- C’è un altro uomo.
- Ne sei sicuro? Non sempre è così automatico...
- Ti dico che c'è un altro uomo!, ribatte.
Io annuisco con un cenno del capo.
Segue un silenzio che a me appare interminabile.
Mi guardo intorno alla vana ricerca di un appiglio, di uno spunto qualsiasi per tirarmi fuori da quella situazionecosì imbarazzante.
All’improvviso i suoi occhi si riempono di rabbia che schiuma, e strilla:
- SAI DA CHI SI FA SCOPARE LA TROIA?
- Co-cosa?
- SAI DA CHI SI FA SCOPARE LA TROIA?
A quest'uomo sfugge un piccolo particolare, cazzo: no che non lo so da chi si fa scopare tua moglie, non so nemmeno chi sia, quella troia di tua moglie…
- Da quello che ripara le scarpe al centro commerciale!
- Bastardo...

Lui è lì che fissa il bancone in finto granito, giocherellando con la bustina dello zucchero di canna.
Gli altri avventori, pochi per la verità, ci osservano divertiti.
A un certo punto io decido che il discorso sta andando troppo in là: in tutta franchezza, quell'uomo mi faceva pena, ma non avrei saputo come fronteggiare la situazione. Con ogni probabilità, il mio occasionale ospite si sarebbe spinto a raccontarmi i dettagli della sua crisi passionale, e davvero io non sarei stato l’interlocutore ideale. Come confidente sono sempre stato un cesso. Anche nella mia fase adolescenziale e post, sono sempre stato tenuto alla larga dal grande giro dei pettegolezzi, e venivo sapere le storie più piccanti riguardanti i miei compagnie le mie compagne sempre per ultimo. Cazzo, mica potevo offrirgli ospitalità, io quest'uomo nemmeno lo conoscevo, mica potevo proporgli - come da copione - di stabilirsi temporaneamente da me, per i primi giorni, fintanto che non trovava una sistemazione più definitiva.

Allora butto lì un paio di scontatissime frasi sul tema: vedrai che tutto si aggiusta, oppure: torna indietro di sicuro, vedrai, mentre cerco di congedarmi chiedendo il conto alla barista, che nel frattempo aveva ascoltato sempre più incuriosita la nostra conversazione.
Lui continua a scrollare il capo.
- Sei davvero un’amico, mi dice lui in fase di commiato.
- Figurati, dico io.

Quel pomeriggio ripenso più volte all'accaduto, e non riesco a concentrarmi sul lavoro. Appena solo le sei smonto, scendo in cortile, inforco la bici con le gomme sempre sgonfie e a tutta velocità mi dirigo verso il centro commerciale.
Lo voglio proprio vedere in faccia, mi dico, quel bastardo figlio di puttana.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

mi ricordo quando mi hai raccontato la scena, davvero divertente...
sei davvero un amico

Anonimo ha detto...

figa CJ, sei troppo empatico!!!