martedì 1 dicembre 2009


In madrepatria sono già dei fenomeni.
Attesissimi all’esordio dopo una mezza manciata di singoli di successo, Fanfarlo e Mumford&Sons se la cavano alla grande anche sulla lunga distanza.
Sulla scia dei The Leisure Society - autori nel 2009 dell’ottimo The Sleeper - hanno l’indubbio merito di spostare l’attenzione della critica e del pubblico sul nuovo folk-rock britannico e di dimostrare che la scena Londinese in particolare – non appena ci si allontana un po’ dal sound ormai stanco e stereotipato di gran parte del revival wave – è viva e vegeta.
I primi, molto apprezzati da David Bowie, pur dovendo il loro nome a un titolo di un racconto di Baudelaire propongono un sound prevalentemente acustico, tutt’altro che maledetto.
Nel loro Reservoir trovano spazio anche la leggerezza melodica del pop scandinavo - il leader della band è nativo della Svezia - ma anche basi ritmiche elettriche (Fire Escape e soprattutto Luna): i Fanfarlo stessi hanno ribattezzato il loro genere come “folk-disco”.
Tra i brani migliori anche l’opener I’m a Pilot – ecco spiegato perché qualcuno li ha definiti gli Arcade Fire inglesi… - la darkeggiante Drowning Men e Finish Line, che sembra rubata ai Talking Heads.
I Mumford&Sons condividono con loro l’amore per archi, fiati e fisarmoniche, pur attingendo a un repertorio piu’ classico e tradizionale.
Il disco – quasi cinquanta minuti di musica - scorre via piacevolmente, pur non brillando per originalità, tra preghiere laiche con intonazioni gospel (Sigh No More e Timshel), ballate languide e malinconiche alla Hothouse Flowers (Awake My Soul e White Blank Page) e pezzi piu’ festaioli e spensierati con dosi massicce di banjo e mandolino (Little Lion Man e Roll Away Your Stone) per i quali sono stati scomodati Pogues e Waterboys.
Consigliati agli amanti del genere, e anche a chi in questi anni ha apprezzato il lavoro di bands come Okkervil River e Bon Iver.

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