“Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”: era il titolo di un album degli emiliani Skiantos, album tutt’altro che indimenticabile ma che conteneva un pezzo cult come “Sono un ribelle mamma”, sulla stessa falsariga di “Sui giovani d’oggi ci scatarro su” degli Afterhours.
Ci viene in mente quel titolo ascoltando il nuovo lavoro di Daniele Silvestri, intitolato S.C.O.T.C.H. e con in copertina lo stesso Silvestri appiccicato a un muro intonacato di rosso grazie a un bel pò di nastro adesivo.
Ci piacciono infatti l’intelligenza e l’ironia che traspaiono da questa opera matura del cantautore romano, il suo impegno non urlato – così lontano dagli inni caciaroni di alcuni - e il suo senso della misura – così lontano dalla verbosità eccessiva di altri. Persino le tante collaborazioni in questo caso non appesantiscono un’opera fresca, leggera, gradevole.
Il disco si apre con l’intimità di “Le navi” e con un duetto quasi britpop con l’amico Niccolò Fabi in “Sornione”, che si risolve in un delizioso amalgama di voci e di umori: “Non è prevista l'onestà/e se ti guardi intorno/mi darai ragione/e va di moda la sincerità/ma solo quando/è urlata alla televisione”.
“Cos’è questa cosa qua” ha un tono scanzonato e naif alla Samuele Bersani – un altro dei piu’ bravi della loro generazione – e la successiva “Fifty Fifty” è invece una delle sue classiche filastrocche.
L’album entra nel vivo con la ballata “Acqua stagnante” – tra i brani migliori insieme a “Acqua che scorre”, che si avvale della voce tagliente di Diego Mancino – e con quella “Precario è il mondo” già sentita in tv da Fazio e Saviano (qui con Raiz, ex-voce degli Almamegretta).
Dopo un paio di cover da Paoli (divertente “La gatta” trasformata in “La chatta”, con tanto di telefonata allo stesso Paoli che poi fa un cameo) e da Gaber (“Io non mi sento italiano”, per tornare all’incipit di questa recensione…), parte il rock di “Monito(r)”, che ha un bel tiro e auspica la ribellione della penna del presidente Napolitano, al momento della firma in calce a leggi e decreti ad personam.
E ancora: il singolo “Ma che discorsi”, la title-track con la voce recitante di Servillo e Camilleri, un paio di episodi minori e infine l’amaro epilogo di “Questo paese”, impreziosito dal piano di Stefano Bolllani: “Non c'è nei discorsi di chi vado a votare/
se grandezza ce n'è non si riesce a vedere/così hai voglia a cercarla tra i mille canali/sia su quelli analogici che sui digitali/ma non serve aumentare la definizione/per vedere più grande un coglione”.
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