E’
vero, c'e molta elettronica, ci sono le basi, ma anche molto di più. Assurdo
paragonare la band di Montreal ai Daft Punk, come hanno fatto alcuni. Più
interessanti i parallelismi con album come “Station to station” (un Bowie all’apice
del successo sterzò verso una dance wave spiazzando tutti) e “Achtung Baby” (la
svolta berlinese degli U2 all’apice del successo).
Anche
in “Reflektor”, quarto e doppio album della band più amata del circuito
alternativo, c'e voglia di cambiare. C’è più ritmo, e c’è un’atmosfera più
serena e rilassata rispetto agli esordi (ricordate “The Funeral”?), forse per
merito del clima caraibico della Giamaica, dove il disco è stato registrato, e
di Haiti, paese di provenienza di Régine Chassagne. Loro stessi ammettono: “Ci
piace ballare, ma la musica dance è così stupida”. C’è più glam, e lo stesso Win
Butler appare sempre più consapevole del suo ruolo di star internazionale. Ci
sono infine i rimandi letterari – il mito di Orfeo, Camus – e alla scultura di
Rodin.
C’è,
soprattutto, l’ambizione di voler dimostrare a tutti la propria forza.
Apre
il Disco 1 il singolo omonimo, con il quale la band indica la nuova strada che
già “The suburbs”, tre anni fa, aveva anticipato con brani da revival anni ’80
come “Empty room” e “Sprawl II” e i barocchismi di “Rococo”. La co-produzione
di Murphy degli LCD Soundsystem ha fatto il resto.
La
seconda traccia, “We exist”, pulsa su uno spettacolare groove. “Normal person” è
un blues-rock di classe, mentre “Here comes the nighttime” è un quasi-reggae davvero
irresistibile (e questa volta sì, il paragone regge: questo pezzo potrebbe
togliere a “Get Lucky” il titolo di tormentone dell'anno) nei suoi continui
cambi di ritmo. Questi tre brani rappresentano la soundtrack di un divertente video
– autore: Roman Coppola – girato in un anonimo locale della provincia canadese (il
Salsatheque) gestito da ispanici che adorano i Mumford & Sons e vorrebbero
Bublè: con un cameo di Bono e di Ben Stiller. Come a dire, pronti a entrare
nell'olimpo dei grandi.
Oltre
a questi, c’è il punk di “Joan of Arc” con un un gran giro di basso - il basso
e' spesso in primo piano, in tutto l'album. “The bassline on Joan of Arc is
fucking epic”, commentano gli stessi Arcade Fire - e il pop raffinato
Il
Disco 2 è forse leggermente inferiore. Qui in primo piano ci sono
le ballate elettroniche “Porno” e “Awful sound” (“I know you can see / Things that we can’t see / But
when I say I love you / Your silence covers me / Oh, Eurydice, It’s an awful
sound, e subito dopo When
you fly away / Will you hit the ground? / It’s an awful sound”), l’electro-funk di “It’s never over” e la classica “Afterlife”
(insieme a “You already know” il brano che segna la maggior continuità col
passato). Chiude una psichedelica “Supercymmetry”,
oltre undici minuti di suoni e riverberi.
Il
disco dell’anno?
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