lunedì 4 novembre 2013

ARCADE FIRE, "Reflektor" (2013)

"Reflektor” non e' il disco dance degli Arcade Fire.
E’ vero, c'e molta elettronica, ci sono le basi, ma anche molto di più. Assurdo paragonare la band di Montreal ai Daft Punk, come hanno fatto alcuni. Più interessanti i parallelismi con album come “Station to station” (un Bowie all’apice del successo sterzò verso una dance wave spiazzando tutti) e “Achtung Baby” (la svolta berlinese degli U2 all’apice del successo).
Anche in “Reflektor”, quarto e doppio album della band più amata del circuito alternativo, c'e voglia di cambiare. C’è più ritmo, e c’è un’atmosfera più serena e rilassata rispetto agli esordi (ricordate “The Funeral”?), forse per merito del clima caraibico della Giamaica, dove il disco è stato registrato, e di Haiti, paese di provenienza di Régine Chassagne. Loro stessi ammettono: “Ci piace ballare, ma la musica dance è così stupida”. C’è più glam, e lo stesso Win Butler appare sempre più consapevole del suo ruolo di star internazionale. Ci sono infine i rimandi letterari – il mito di Orfeo, Camus – e alla scultura di Rodin.
C’è, soprattutto, l’ambizione di voler dimostrare a tutti la propria forza.

Apre il Disco 1 il singolo omonimo, con il quale la band indica la nuova strada che già “The suburbs”, tre anni fa, aveva anticipato con brani da revival anni ’80 come “Empty room” e “Sprawl II” e i barocchismi di “Rococo”. La co-produzione di Murphy degli LCD Soundsystem ha fatto il resto.
La seconda traccia, “We exist”, pulsa su uno spettacolare groove. “Normal person” è un blues-rock di classe, mentre “Here comes the nighttime” è un quasi-reggae davvero irresistibile (e questa volta sì, il paragone regge: questo pezzo potrebbe togliere a “Get Lucky” il titolo di tormentone dell'anno) nei suoi continui cambi di ritmo. Questi tre brani rappresentano la soundtrack di un divertente video – autore: Roman Coppola – girato in un anonimo locale della provincia canadese (il Salsatheque) gestito da ispanici che adorano i Mumford & Sons e vorrebbero Bublè: con un cameo di Bono e di Ben Stiller. Come a dire, pronti a entrare nell'olimpo dei grandi. 
Oltre a questi, c’è il punk di “Joan of Arc” con un un gran giro di basso - il basso e' spesso in primo piano, in tutto l'album. “The bassline on Joan of Arc is fucking epic”, commentano gli stessi Arcade Fire - e il pop raffinato
Il Disco 2 è forse leggermente inferiore. Qui in primo piano ci sono le ballate elettroniche “Porno” e “Awful sound” (“I know you can see / Things that we can’t see / But when I say I love you / Your silence covers me / Oh, Eurydice, It’s an awful sound, e subito dopo When you fly away / Will you hit the ground? / It’s an awful sound”), l’electro-funk di “It’s never over” e la classica “Afterlife” (insieme a “You already know” il brano che segna la maggior continuità col passato). Chiude una psichedelica “Supercymmetry”, oltre undici minuti di suoni e riverberi.
Il disco dell’anno?

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