L’idea di questo album - un inno a nuove grandi speranze come suggerisce
il titolo, “High hopes” – nasce dall’ingresso (temporaneo) di Tom
Morello nella E Street Band, in sostituzione di Van Zandt, durante la
recente tournee australiana. La collaborazione con l’ex chitarrista dei
Rage Against the Machine si è presto trasformata in idillio, tanto che
si è pensato di realizzare un album infarcito di cover, outtakes e
vecchi brani del Boss rivisitati con la nuova formazione.
“High Hopes” pare quasi un disco live.
La titletrack è una rivisitazione – in un tripudio di fiati - di un
vecchio brano degli Havalinas di Tim Scott McConnell: “Monday morning” è
un incipit notevole, e il verso “Gimme love/gimme peace” è un amarcord
della stagione del florer power. La successiva “Harry’s Place” ha una
base elettronica e un’anonimo andamento funk: forse serviva un
arrangiamento più sobrio, meno ridondante. Segue una nuova versione di
“American skin”, inutile qui ripetere dell’episodio di violenza razzista
da cui nasce la canzone, tra le più belle della sua produzione recente.
Ecco le cover: “Just like fire would” è un brano degli australiani
Saints al quale se togli la ruvidezza e l’immediatezza del punk resta
poco. Ricorda Mellencamp.
Onesto e sano rock, si dirà, ma da uno come il Boss si può pretendere di
più: la scrittura dei pezzi è spesso elementare e non brilla certamente
per originalità e per urgenza. “Down in the hole”, ad esempio, è
affascinante, ma troppo simile a “I’m on fire”.
Tuttavia il nostro non si risparmia, as usually. “Heaven’s wall” è un
gospel celtico nel mezzo del quale Morello entra con la delicatezza di
un elefante in una cristalleria, e apre la sequenza folk che sta nel
cuore dell’opera, completato da “Frankie fell in love”, “This is your
sword” e “Hunter of invisible game”.
Il finale non ci aiuta a emettere un verdetto definitivo: la versione
elettrica di “The ghost of Tom Joad” tradisce la disperazione
dell’originale, con un Morello ancora sopra le righe e un finale pomposo
e urticante, così poco Steinbeck. Nella speciale classifica delle cover
peggio riuscite di sempre, è appena un gradino sopra “Knockin’ on
heaven’s door” dei Gun’s Roses.
“The wall” è una ballata acustica dedicata a un marine (“Cigarettes and a
bottle of beer/This poem I wrote for you/This black stone and these
hard tears/Are all I've got left now of you/I remember you in your
Marine uniform laughing/Laughing that you're shipping out probably/I
read Robert McNamara says he's sorry”) e per ultimi i Suicide, vecchia
passione.
Notevoli i testi, ancora una volta dalla parte di chi sta al margine:
“Questa è la musica che ho sempre sentito il bisogno di pubblicare. Dai
gangster di “Harry’s Place”, i compagni di stanza di “Frankie Fell In
Love”, (ombre di me e Steve che facciamo casino nell’appartamento di
Asbury Park), i viaggiatori nella terra desolata di “Hunter Of Invisible
Game”, fino ai soldati e i visitatori di “The Wall”, sentivo che si
meritassero tutti una casa e un ascolto.”
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