Dicono i critici che l'italia è diventato il paese dei Festival, anche se forse tutto ciò accade in ogni paese europeo, frutto forse di un bisogno culturale diffuso. Ce n'è per tutti i gusti: musica, mente, poesia, diritti, teologia, filosofia, architettura, letteratura, cinema muto, fantascenza... come direbbe Serra (anche lui a Mantova), manca solo il petomane. A quando il festival del peto?, la gara del rutto libero c'è già, si collegano sempre con Caterpillar.
In ogni caso, sabato scorso con Sandra decidiamo di andare a Mantova al festival della letteratura.
Collegandosi con il sito ufficiale della manifestazione, scopriamo subito la complessità della cosa. Solo sabato ci sono decine e decine di incontri, in varie location disseminate nel centro storico della città, con orari spesso coincidenti. Un'autentica emorragia di parole, davvero arduo orientarsi.
Con grande difficoltà, riusciamo a mettere insieme un programma interessante.
Prevede uno spettacolo per i più piccoli, la Parrella, giovane napoletana autrice di racconti per minimum fax, Mura che rievoca le grandi imprese del Tour de France, l'intervista di Lerner a Jonathan Safran Foer.
Provo a prenotare gli eventi, e ovviamente, è tutto SOLD-OUT, biglietti esauriti da settimane.
Lamadonna.
Dopo immane fatica, riesco ad acquistare cinque biglietti - con noi anche la famiglia Zavarov - per una rappresentazione teatrale sul tema delle canzoni di protesta folk nell'Aamerica della grande depressione. Che depressione, appunto.
Appoggiato a una transenna situata ai margini del cortile del Castello Ducale, sporgendomi un pò in avanti riesco comunque a origliare le prime battute dell'incontro con Foer.
L'incipit non mi entusiama.
Dice che qui è tutto bello.
Dice che Mantova gli ricorda New York, nel senso che Mantova sta all'Italia come New York sta all'America (che cos'avrà voluto dire, poi, forse intendeva la Mantova del XV sec. e la New York del XX sec., Leon Battista Alberti vs Frank Lloyd Wright, Mantegna vs Warhol).
Dice che lui è diverso, perchè lui è un giovane ebreo che vive da straniero a New York.
Dice che lui è diverso, perchè lui scrive per se' stesso, per propria soddisfazione, senza pensare al suo ipotetico pubblico.
Dice che lui è diverso, perchè lui è diverso e basta.
Leggo dalle cronache che dopo si è sciolto, ed è andato molto meglio.
Sarà, ma la delusione rimane. Forse è meglio non andarli ad ascoltare, sti scrittori. Accontentiamoci di leggerli.
Sentite come si presenta Foer nelle sue pagine:
Deve essersi accorto del cartello che tenevo perchè mi ha dato un pugno sulle spallen e detto: "Alex?" Io ho detto di sì. "Sei il mio interprete, vero?" Io gli ho chiesto di andare lento perchè non capivo. In verità stavo fabbricando tanta merda nelle mutande. (...) "Tu sei il mio interprete" ha ripetuto fabbricando gesti, "giusto?" "Esatto" ho detto io regalandogli la mano. "Io sono Alexander Perchov. Sono il tuo umile traduttore." "Non sarebbe carino picchiarti" ha detto. "Come?" gli ho detto io. "Ho detto" ha detto "che picchiarti non sarebbe carino." Ho riso. "Oh sì. Non sarebbe carino neanche picchiarti te. Ti scongiuro perdona la mia parlata. Non sono pregiato in inglese." "Jonathan Safran Foer" ha detto lui regalandomi la sua mano. "Come?" "Io sono Jonathan Safran Foer." "Jon-fen?" "Safran Foer" "Io ho il nome di Alex" ho detto. "Lo so" ha detto. "Qualcuno ti ha picchiato?" mi ha chiesto adocchiando il mio occhio destro. "E' stato carino per il Babbo picchiarmi" ho detto. Gli ho preso le valigie, e siamo andati fino alla macchina.
"Il treno ti ha accontentato?" gli ho chiesto. "Oddio" lui ha risposto. "Ventisei ore. Incredibile, la puttana." Questa ragazza di nome Incredibile, ho pensato, dev'essere molto laida. "Tu sei stato capace di Z Z Z Z Z?" ho chiesto. "Cosa?" "Sei riuscito a fabbricare le Z?" "Non capisco." "Requiem." "Che cosa?" "Hai fatto requiem?" "Oh, no" lui ha detto, "non ho fatto requiem neanche un pò." "Cosa'" "Io non... ho... riposato... per niente." "E le guardie del confine?" "Nessun problema" ha detto lui. "Ho sentito dire di loro tante cose, che mi avrebbero, sai, fatto vedere i sorci verdi. Invece sono entrate, hanno controllato il passaporto e non mi hanno dato noia." "Come?" "Avevo sentito che poteva essere un problema ma non è stato nessun problema." "Tu hai sentito parlare di loro?" "Sicuro. Avevo sentito dire che sono dei grossi stronzi malcagati." Grossi stronzi malcagati. Mi sono scritto questo nel cervello.
(J.S.F., Ogni cosa è illuminata, Guanda, 2002"
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