sabato 25 aprile 2009

Get'em out by friday, 02

Il vecchio cancello in ferro è sprovvisto di lucchetto, per cui posso entrare senza problemi. Giro il chiavistello arrugginito e faccio leva con il corpo. A fatica si apre la prima anta, cigolando in modo sinistro.
Faccio pochi passi in direzione della corte inghiaiata.
Mi guardo attorno nella speranza di trovare qualcuno a cui chiedere, ma sembra non esserci anima viva, solo una mezza dozzina di gatti dal pelo arruffato, spaparanzati sul cemento a godersi il primo, pallido, sole primaverile.
Probabilmente, non mi aspettava nessuno.
Eppure l'avevo detto al giovane avvocato della ditta di costruzioni: avverte lei gli inquilini che la settimana prossima andremo là per il rilievo dei fabbricati?
Non si preoccupi, mi aveva risposto. Ci penso io.
E invece.

Avanzo con cautela tra i vecchi edifici rurali diroccati. Il fienile dai pilastri in mattoni pieni ha il tetto mezzo crollato, le travi di legno sono accatastate in terra da chissà quanti anni. Anche il silos per il grano è fuori uso, manca persino la scaletta metallica che serviva per salire sino in cima alla torre cilindrica. Qui ormai non c'è più nessuno che coltiva la terra.
Tra un edificio e l'altro sono state tirate delle corde di nylon per stendere i panni. Mi faccio largo tra mutandoni di lana e canottiere a righe verticali sottili, di quelle che portavano i nostri nonni. La biancheria è usurata all'inverosimile, e il bianco - da cui: biancheria - è un lontano ricordo.

E invece qui nessuno sapeva un cazzo.
Bene.
A me piace così tanto fare queste figure di merda. E' assai piacevole, infatti, fare irruzione in casa di altri senza alcun preavviso.

Busso alla porta del primo alloggio, sito all'estremità settentrionale dell'aia. E' una casa bassa con l'intonaco rifatto, ma senza colore.
Niente.
Busso ancora, questa volta con maggor vigore.
Dopo una lunga attesa, viene ad aprirmi l'uscio un vecchio con la barba ispida e le labbra sporgenti: mi squadra perplesso e mi chiede chi cazzo sono.
Accoglienza freddina, non c'è che dire.
Nulla di cui stupirmi: che cazzo mi aspettavo, una banda di ottoni schierata in mezzo alla corte, in divisa da cerimonia, che intona marcette di benvenuto?
Gli rispondo, scusandomi, che sono qui per fare un rilievo degli edifici, sì, insomma, per prendere le misure. Mi ha assegnato questo compito la nuova proprietà, una ditta di costruzioni assai nota in città, attiva ormai da diverse generazioni.
Lui scrolla la testa e poi mi fa entrare, dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi.

E così ci mandano via, mi fa.
Questo non lo so, dico io. Sono qui solo per prendere le misure.
Ah, fa lui, poco convinto.
Nel tinello c'è una sola finestra, assai piccola. Nella penombra intravvedo una sagoma accanto alla vecchia stufa di ghisa. Mi avvicino e mi trovo davanti un'anziana signora sovrappeso, ma sovrappeso in modo raccapricciante, accasciata su una poltrona in finta pelle e con due cannelli di plastica trasparenti infilati nel naso.
Buongiorno, signora, faccio io, sentendomi come in quella scena del Big Lebowski nella quale Walter fa irruzione in un appartamento alla ricerca del ladro dell'auto del Drugo, trovandosi davanti un uomo dentro a un polmone d'acciaio ("Le auguro una buona serata, signore!").
Lei si volta verso il marito e chiede: chi è questo?, con una marcata inflessione dialettale, calabrese, penso io.
Uno che deve fare delle misure, risponde lui.
Perchè deve fare delle misure?, chiede lei.
Lui si gira verso di me.
Dobbiamo accatastare tutti i fabbricati, cerco di spiegare io. E' un obbligo di legge. Prima gli agricoltori ne erano dispensati, ma adesso va fatto.
Ci sbattono fuori?, chiede lei al marito.
Lui non le risponde.
Provo a spostare il discorso sui gatti. Ne avrei tanto bisogno uno, su a casa mia c'è pieno di topi, piccoli bastardi di roditori.
Intanto mi invita a salire al primo piano. La scala è tra due muri, strettissima, e mi domando come possa passarci quella balenottera di sua moglie. Se ci prova si incastra e non la muovi più da lì, quella balenottera, potete starne certi. Probabilmente, non si sposta mai da quella poltrona. Meglio così, il solaio è costruito con esili putrelle, difficilmente sopporterebbe tutto quel peso...
Se le serve un gatto, ne prenda su uno, mi dice il vecchio dopo un lungo silenzio. Ecco, quello lì tutto rossiccio. E' un animale molto intelligente. Ci sono molto affezionato, ma glielo lascio volentieri.
Anzichè cacciarmi via in malo modo, penso io, quest'uomo mi offre uno dei suoi amati gatti.
No, grazie, questo gatto è suo, dico io sentendomi una merda.

Il secondo alloggio è più spostato in direzione di quella che una volta era la stalla dei cavalli. Negli anni appena prima della guerra, mi ha appena raccontato il vecchio, qui c'erano almeno un centinaio di bestie, o anche più.
Questa volta trovo il campanello. Pigio il tasto e rimango in attesa alcuni minuti.
Niente.
Appoggio l'orecchio all'uscio, nel tentativo di origliare quello che succede all'interno della casa.
Nessun rumore.
Cosa ci fa lei qui?, mi apostrofa una donna improvvisamente sopraggiunta alle mie spalle.
Imbarazzato, mi volto verso di lei. Ho il viso arrossato, come un bambino sorpreso a rubare le caramelle.
Ehm... buongiorno signora, balbetto.
Chi è lei?, mi chiede di nuovo lei. Porta occhiali con lenti spesse come fondi di bottiglia, e ha una crescita grigia dei capelli in bell'evidenza su una testa nera corvina.
Sono qui per prendere le misure degli edifici, le spiego. Mi mandano i nuovi proprietari. Veramente pensavo l'avessero avvertita, così ero d'accordo con il loro avvocato.
Nessuno mi ha detto nulla, dice lei piuttosto contrariata. Io comunque devo dare da mangiare alla mia creatura, non ho tanto tempo da perdere.
Se vuole, posso tornare in un altro momento. Mi spiace disturbare.
No. E' stato fortunato a trovarmi. Sono appena tornata dal lavoro, faccio i turni in fabbrica e a quest'ora di solito sono di fianco a una pressa. Quanto tempo ci vorrà?
Pochi minuti, l'assicuro io.
Si accomodi, mi dice. Faccia tutto quello che deve fare, ma faccia in fretta.
Lei si piazza davanti ai fornelli, tira fuori un paio di padelle da sotto il lavandino e con grande rapidità mette sul fuoco un soffritto di verdure e cipolle.
Sul divano a fiori del tinello è seduta una ragazza adolescente. E' china che smanetta sul cellulare e nemmeno alza lo sguardo per salutarmi.

Allora ci sbattono fuori, mi fa la donna mentre sbatte le uova contro il bancone per aprirne il guscio.
Beh... non è detto, faccio io, spiegandole la manfrina dell'accatastamento.
Lei non dice più niente, ma è palese che non mi crede.
Ai suoi occhi sono solo un patetico bugiardo.

In fondo allo stradello che porta ai campi ormai incolti di mais, trovo il terzo alloggio, proprio a fianco di un grande porticato a doppia altezza sotto il quale sono ricoverati dei trattori antidiluviani.
Mentre mi avvicino, mi accorgo che qualcuno mi spia da dietro la tenda di una finestra del piano terra.
Suono invano il campanello, più volte.
Niente.
Ormai stufo di aspettare, sto per allontanarmi quando mi raggiunge la donna miope.
Venga, le faccio aprire io, dice lei prendendomi sotto un braccio e accompagnandomi di nuovo verso la casa. Sa, in casa ci saranno i due ragazzi, rimangono spesso da soli e non si fidano ad aprire agli sconosciuti. Il padre sarà in qualche bar qui nei dintorni a sperperare quel poco che gli sarà rimasto della paga di un mese, quel testa di cazzo.
Questa volta infatti ci aprono la porta.
I ragazzi sono quasi identici, forse sono gemelli, tutti e due indossano un chiodo da metallaro e sul muso hanno una mezza dozzina di percing. Uno dei due emette uno strano stridulo, nella sua lingua probabilmente è un saluto, e si scosta per farci passare. L'altro rimane immobile sullo sfondo. Una presenza davvero inquietante. Inoltre, l'appartamento è praticamente a soqquadro. Sul pavimento in graniglia ci sono indumenti sparsi ovunque e anche lattine di birra vuote, sacchetti di patatine, un paio di ciabatte sfondate. Il tavolo è totalmente ricoperto di stoviglie sporche. Di sopra, le stanze sono semivuote, solo un letto, un appendiabiti e una sedia di legno. I muri sono letteralmente anneriti a causa dell'umidità, e in più punti l'intonaco scrostato è caduto in terra.
Prendo in fretta tutte le misure che mi servono e tento di accommiatarmi con estrema rapidità. Sulla soglia, uno dei due ragazzi, quello che sinora non aveva ancora emesso suoni di alcun tipo, mi dice: dovremo andarcene, vero?

Io balbetto le solite stronzate sul catasto e sulle rendite da aggiornare, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo da terra.
Poi improvvisamente realizzo che non posso mentire di nuovo. I nuovi proprietari, è lampante, non hanno nessun fottuto motivo per tenere dentro questi strani personaggi, questi reietti alla deriva, che pagano certamente canoni di affitto ridicoli: con ogni probabilità decideranno di sfrattarli tutti e di iniziare da subito la ristrutturazione.

Allora alzo lo sguardo e rispondo al ragazzo: sì, dovrete andarvene. Ma non preoccupatevi, troverete un posto migliore di questo.
Mi avvicino alla donna e le accarezzo il capo.
E' vero, dice lei con le lacrime che iniziano a scivolarle sulle guance, troveremo senz'altro un posto migliore di questo.

1 commento:

paulette ha detto...

Ma bravo il mio John Pebble...

JOHN PEBBLE OF STYX ENTERPRISES
"Get 'em out by Friday!
You don't get paid till the last one's well on his way.
Get 'em out by Friday!
It's important that we keep to schedule, there must be no delay."