venerdì 7 agosto 2009
QUASI COME KEROUAC, 09
July, 26th - SECONDA PARTE
Andiamo verso nord.
Niente foresta pietrificata, dunque. Nella nostra scelta, ci aiuta l'addetto al Tourist Information di Winslow, che conferma l'esistenza - poco piu' a nord di Second Mesa - di un piccolo villaggio Hopi fondato nel XXI secolo dC e abitato sino a noi senza soluzione di continuità.
Il Plateau è un affascinante distesa arida.
(Many a hand has scaled the grand old face of the plateau/Some belong to strangers and some to folks you know/Holy ghosts and talk show hosts are planted in the sand
To beautify the foothills and shake the many hands /There's nothing on the top but a bucket and a mop/And an illustrated book about birds/You see a lot up there but don't be scared/Who needs action when you got words)
Quà e là, scarse macchie di vegetazione spontanea.
Non a caso, il nome Navajo (o Navaho) - ovvero la tribu' che abita queste terre tra gli Stati dell'Utah, Arizona e New Mexico - deriva dal termine Navahuu che in lingua Tewa, parlata da alcune popolazioni del sud ovest, significa "Campo coltivato in un piccolo corso d'acqua".
I circa 250.000 Navajo sopravvissuti ai terribili genocidi dell'Ottocento - a oggi essi costituiscono il gruppo etnico più numeroso fra i nativi americani - vivono nelle baracche prefabbricate che costeggiano la strada, allucinanti container metallici spesso costruiti con resti di materiale radioattivo. Nel corso degli anni, i minatori Navaho hanno infatti estratto milioni di tonnellate di uranio dal terreno, necessari agli USA per la produzione di armi. Molti di loro sono morti a causa di malattie correlate alle radiazioni. Altri, ignari delle conseguenze per la salute, hanno utilizzato le pietre contaminate e gli scarti del materiale estratto per costruire le loro case.
(Oggi, un programma del Governo prevede la demolizione e la ricostruzione di queste abitazioni e l’identificazione di tutte le strutture contaminate dall’uranio ancora presenti in queste lande desolate. A coloro invece che decidono di trasferirsi altrove, il governo offre 50.000 dollari. Che Signori.)
Leggiamo sulla guida che a loro si ispira il fumetto Tex Willer. La cosa non mi emoziona. Mai letto, Tex Willer.
Lo spazio che ci circonda è infinitamente grande.
Ovunque giri lo sguardo, il paesaggio è maestoso, incombente.
Forse il segreto del fascino di queste terre, del mito di "On The Road" di Kerouac e seguaci, è tutto qui.
Ormai svuotato di contenuti ribellistici, di evasione dal consueto e dall'ovvio, si è ridotto a una questione puramente dimensionale.
Eppure il mito resiste.
Lo senti sulla pelle, percorrendo queste strade rettilinee che si perdono all'orizzonte.
Da un momento all'altro, mentre percorriamo la Statale 264 in direzione First Mesa, potremmo veder sbucare fuori Kowalski, l'ultimo eroe americano, a bordo della Dodge Challenger R/T bianca del 1970, motore 440/375 HP.
A mezzogiorno il sole è alto e picchia forte.
Una ragazza Hopi ci apre la porta dei villaggi di Hano, Sichomovi e Walpi, arrampicati su un costone di roccia da cui si dominava l'intera valle.
Quanto lontana è lei dallo stereotipo del guerriero coraggioso. E' minuta e graziosa, con un sorriso allo stesso tempo dolce e fiero. La riserva degli Hopi si trova all'interno della Nazione Navajo, ci spiega. La vita del villaggio si basa essenzialmente sulla coltivazione del mais, della zucca, dei fagioli e del melone. E anche su qualche furto o qualche razzìa su commissione, aggiunge sorridendo. Noi abbozziamo, forse per esprimere la nostra complicità. Poi ci accompagna tra le piccole case di argilla con i tetti di paglia e fascine, tenute insieme con tronchi d'albero opportunamente sagomati. I pavimenti sono vecchi materassi ingialliti semplicemente appoggiati sulla terra rossa. La polvere si alza dapperutto, e avvolge lamiere arrugginite, videogames rotti, bottiglie di plastica, paccottiglia varia. Sembra di essere in una discarica all'aperto. E' qui che arrivano i rifiuti e gli scarti dell'Occidente?, mi chiedo. Un anziano e saggio Hopi mi avvicina e mi dice, con un inglese stentato: un giorno gli Yankees saranno seppelliti dai loro stessi rifiuti, vittime del loro sfrenato consumismo, e allora questa terra tornerà a essere nostra. Cazzo, quest'uomo è un genio. Deve aver letto Ballard, mi dico.
Un cane zoppo attraversa il campo, arrancando per il caldo asfissinate.
Altri cani rimangono sdraiati in mezzo agli stradelli del villaggio.
Alcuni bambini - avranno sì e no sei-sette anni - giocano a fare gli indiani, con le piume colorate, l'arco e le frecce. Curiosa, come cosa. Mi viene da pensare: chissà se lo fanno spontaneamente, o se sono costretti a recitare uno stanco e ritrito copione per noi turisti: per noi turisti della miseria e della rassegnazione.
Dio dei Navaho, fai che sia la prima che ho detto.
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