domenica 21 marzo 2010

Cancrena, 01


Non smette piu' di piovere.
Ormai sono due settimane che viene giu', senza soste.
E il tetto continua a perdere.
L'anno scorso un uomo era salito sul tetto, era un muratore con due mani grosse come badili, lo aveva mandato il parroco, non avevo nessun altro a cui chiedere e così ho chiesto a lui. Quell'uomo aveva sostituito una dozzina di tegole rotte, ne aveva spostate altre quà e là, ma nulla era cambiato.
Andrebbe rifatto, quel tetto, mi aveva detto mentre scendeva sconsolato da una lunga scala a pioli appoggiata al muro maestro.
L'unica cosa che mi rimane da fare è sistemare una fila di secchi di plastica contro la parete ammuffita. A guardarli vuoti, quei secchi sembrano capienti, e invece si riempono alla svelta. Ogni mattina devo andare a svuotarli in cortile, altrimenti va a finire che si allaga pure il solaio, e allora sono guai seri.

E andrà pure peggio, almeno così dice la radio. Perturbazioni in arrivo dal nord. La temperatura scenderà sotto lo zero e ogni cosa, assai presto, sarà avvolta da un soffice velo di coltre bianca e lucente.
Sotto il peso della neve, il tetto potrebbe davvero crollare.

In fondo, a me non dovrebbe importare nulla.
Quel giorno, sarò già lontana da qui.
Quel giorno avrò trovato rifugio in un paese piu' caldo e piu' ospitale di questo, oppure, chissà, sarò di nuovo nella mia terra natìa, dove l'inverno è ancora piu' lungo e rigido che qui.
Qui dove non posso restare oltre.

Da quando è morto il vecchio, infatti, non mi resta nulla da fare.

Cerco di riempire il vuoto che incombe occupandomi delle faccende che ero solita sbrigare quando il vecchio era ancora vivo, un rimedio come un altro per scacciare via la nostalgia.
Sposto a fatica i grandi vasi degli oleandri. Li trascino sul vialetto facendo leva con il peso del mio corpo, sino a metterli al riparo sotto una misera tettoia di carta catramata. Altrimenti durante la notte gelerebbero.
Raccolgo le foglie secche ancora rimaste in terra. Odio vederle lì in giro, sparpagliate dappertutto. Per fortuna, il rastrello scivola leggero sull'erba viscida, rendendo tutto piu' semplice.
Accatasto le fascine di legna in mucchietti sempre uguali, laggiù in fondo, oltre la distesa di erba medica, e pazientemente le lego insieme con uno spago sottile e robusto.
Scelgo con cura i pezzi di carpino per la stufa, prelevandoli da una catasta sotto il pergolato quasi nascosto dai rampicanti.
Spazzo l'aia inghiaiata con una vecchia scopa di saggina.

Poi rientro in casa e accendo la televisione, un vecchio monitor ancora in bianco e nero, che chissà da quanti anni rimane al suo posto sopra la piccola credenza. Il segnale è disturbato. Non c'è verso di metterla a posto. Giù in paese, mi hanno detto che non si trovano piu' i pezzi di ricambio.
Accendo il fuoco sotto la cucina economica e preparo la minestra di grano saraceno, quella che voleva sempre il vecchio.
Spolvero la vecchia biblioteca di legno massiccio. Ogni tanto mi capita di prendere in mano uno di quegli antichi manoscritti, uno a caso, e di sfogliarlo distrattamente, così, per passare il tempo. Sul margine di pagine ingiallite e stropicciate, il vecchio aveva appuntato i suoi commenti con quella sua strana calligrafia, così fitta, per decifrarli devo usare la lente di ingrandimento. Lui ne teneva una sempre nel taschino del gilet.
Alla fine della giornata, esausta, mi lascio cadere sul vecchio sofà di finta pelle color crema, osservo il soffitto inzuppato d'acqua - minuscole gocce cadono ticchettando sul pavimento in graniglia - e aspetto che arrivi il momento di andare via.

Il mio biglietto aereo arriverà per posta.
L'ho prenotato su internet, anzi, lo ha prenotato il parroco per me. Si è fatto aiutare da un chierichetto, un ragazzo magro magro che abita nella casa appena oltre il fosso. Non ci capisco nulla, io. E poi non ho mica un computer. A voler essere precisi, non ho piu' nemmeno la corrente elettrica. Me l'hanno tagliata che è ormai una settimana. All'oratorio, invece, un computer ce l'hanno, e hanno anche una televisione con lo schermo tanto grande che tiene quasi tutta una parete. Fino all'anno scorso ci andavo anch'io, con il vecchio, a vedere i film della rassegna culturale, andava sempre a finire che lui si addormentava prima dell'intervallo, e riportarlo a casa era un'impresa davvero ardua. Dovevano aiutarmi in tre o quattro, scelti tra i piu' robusti in platea, per spostare quel vecchio flaccido a peso morto. Il dottore lo diceva sempre, che doveva dimagrire. Ma lui niente. Mangiava come un porco. E poi c'era il fatto che si metteva a russare disturbando, è inevitabile, gli altri spettatori. Una volta, era una commedia americana con quell'attrice che mi piace tanto, come si chiama, non mi ricordo il nome, beh, insomma, dovettero persino riavvolgere il nastro per proiettare di nuovo una scena del film, tanto che non si era capito nulla.

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