domenica 16 dicembre 2007

RADICI


Tenere del Bologna non è mica una roba semplice.
Soprattutto quando sei un bambino.

I compagni di scuola di c.j. e di d.j. paulette, è ovvio, erano tutti tifosi del Milan, della Juve o dell'Inter.
Tutti tranne un certo Parv****, che teneva, se la memoria di c.j. non lo inganna, per Sandro Mazzola.
Sì, avete capito bene: per Mazzola.
Gli altri tutti a dirgli: guarda che Mazzola è un calciatore singolo, non si può tifare per un solo giocatore, devi scegliere una squadra, ma lui imperterrito: Mazzola. E la cosa più divertente è che aveva già smesso di giocare da un decennio o poco più... In ogni caso, dal momento che a sette-otto anni certi distinguo da sofisti non venivano accettati, anche l'ignaro Parv**** venne alla fine catalogato tra gli interisti.

Ma il Parv**** era un'eccezione, e comunque doveva essere anche lui orfano di padre e, sospetta ora c.j., la sua scelta era in qualche modo (anche per lui) attribuibile a quel fatto.
Quindi: Milan, Juve, Inter.
Del resto è da capire: chi è quel pirla che dovrebbe scegliere una squadra che non vince un campionato dal lontano 1964?
Roba da perdenti nati.
Potete immaginare i sorrisetti di compatimento degli altri bambini, quando - alla fatidica domanda, che c.j. cominciava un pò a temere: "tu per squadra tieni?" - lui rispondeva, con un filo di voce: io tengo per il Bologna.

Il Bologna?
E in che serie gioca?

In effetti, a partire dai tardi anni '70 lo squadrone che un tempo aveva fatto "tremare il mondo" era precipitato in una crisi irreversibile, e puntualmente ogni anno si arrabattava sul fondo della classifica, in perenne lotta per non retrocedere (fino a che, finalmente perchè l'agonia durava da troppo tempo, in B ci andò davvero... e poi ci fu persino l'umiliazione della serie C, ma adesso non stiamo qui a rivangare troppo che a c.j. viene un groppo alla gola...)

Ma bisognava tenere duro: il Bologna - inteso come Bologna Football Club - era l'unica cosa che consentiva a lui di rimanere ancorato, in qualche modo, alle sue radici.

Sbiaditi erano infatti i ricordi dell'infanzia, quelle lunghe estati afose passate nella vecchia casa di Sasso Marconi.
Una volta, era un bel casolare di campagna, immerso in un parco lussureggiante di ippocastani e querce secolari, con il tronco contorto e la chioma maestosa. Sul retro, l’aia inghiaiata era coperta da una vite rampicante che in estate, fittamente appesa a un traliccio di fili di ferro ormai arrugginiti, costituiva uno scudo impenetrabile ai raggi del sole. In un angolo poco distante, tre o quattro sedie in metallo – di quelle con i tubicini di plastica colorata di rosso, di giallo e di blu – restavano allineate a una recinzione metallica coperta di muschio, proprio sotto la pianta dei fichi.
C.j. ricorda la sua grande camera d'angolo, con la carta da parati a motivi floreali (che aveva imparato a memoria, ancora adesso sarebbe in grado di farne uno schizzo) e il terrazzo che guardava i campi di grano e l'orto del Giorgio; qui, nella semioscurità delle sere d'estate, si lasciava cullare dal ritmo dei fasci di luce dei fari delle auto che correvano lungo la Porrettana.
Per arrivarci bisognava fare più rampe di scale; al mezzanino c'erano la camera della zia Tina e il piccolo bagno, affacciato sul fosso; nel mezzo una porta murata, che nascondeva chissà quali terribili segreti; in cima alla scala, invece, la camera - chiusa e imperscrutabile - dello zio Nando, che dominava tutta la casa; entarci era rigorosamente vietato, ma c.j. una volta era riuscito ad eludere il controllo della vecchia zia e aveva varcato la soglia (probabile che cercasse il "carrarmato", ovvero una fantastica barretta di cioccolato bianco, oggi introvabile), e si trovò davanti - immaginate la delusione dipinta sul suo volto - solamente una vecchia scrivania, degli scaffali da ufficio e un misero letto in legno.

Era proprio Nando che favoleggiava con c.j. e d.j. paulette del Grande Bologna, di un'epoca che ormai non c'è più, di una squadra che sapeva giocare "come si gioca solo in paradiso", di un certo Haller, di Nielsen, di Bulgarelli...
Con un piccolo sforzo, c.j. riesce qui a ricordare quasi tutta la formazione del Bologna di quegli anni:
Mancini, Roversi, Cresci; Battisodo, Bellugi, Bachlechner; Nanni, Maselli, Clerici, Massimelli, Fiorini (sì, proprio lui, il Giuliano...).
A dire il vero, adesso gli sembra che Bachlechner non c'entri nulla, forse è venuto dopo, e poi è proprio così che si scrive?
Anche Maselli e Massimelli gli puzzano un pò: possibile che avessero due nomi così simili?
E poi Pecci?
Il mitico Eraldo Pecci, che praticamente giocava senza correre, ma che con la sua sapienza tattica e le sue geometrie in mezzo al campo faceva la differenza...

Lo zio Nando diceva di conoscerlo, il Pecci.
Diceva che una volta era andato a una cena con un club al Sasso, e che si era fermato sino a tardi a chiacchierare con loro.
Mi farò dare la maglietta, e ve la regalerò, disse una sera, a cena. Anzi, facciamo così: il Bologna va in ritiro tutti i sabati sera qui vicino, allo "Chalet delle Rose", una volta vi porto con me a vedere l'allenamento prima della partita.
Dopo essersi pulito la bocca con il tovagliolo, si alzò, salutò tutti e poi uscì, come ogni sera, per andare al bar del paese a giocare a briscola o a scopone scientifico, davanti a una boccia di lambrusco dolce e frizzante.
Probabile che lui neanche si ricordò, di quella promessa estiva.
Promessa che, come altre, non seppe mantenere.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La casa sul confine della sera
oscura e silenziosa se ne sta,
respiri un' aria limpida e leggera
e senti voci forse di altra età,
e senti voci forse di altra età...

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l'anima che hai,
se vuoi capire l'anima che hai...
(Francesco Guccini - Radici)
Soprattutto in questa stagione è bello lasciarsi cullare dai ricordi...o addirittura costruirsi ricordi inventati, e ripeterseli fino a che ci si dimentica che sono finti e diventano reali.