martedì 11 marzo 2008


Alla fine sono andato a vedere "Non è un paese per vecchi", che non ha deluso le mie aspettative. Ottimo film, come tutti quelli dei Coen, seppur basato su una sceneggiatura non proprio originalissima. E' la storia di una sorta di cowboy in pensione che durante una battuta di caccia si imbatte, in mezzo all'arido deserto del Texas, in un massacro tipo O.k. Corral: corpi inermi a terra, cani abbattuti e una valigia con dentro 2 milioni di dollari, che ovviamente nasconde nella sua roulotte. Durante la notte, preso dal rimorso, torna sui suoi passi per portare un pò di acqua all'unico sopravvissuto alla sparatoria, un trafficante messicano. Da quel momento inizia una fuga disperata da un motel all'altro, inseguito senza tregua da uno squilibrato che uccide senza alcuna pietà, lanciando in aria una moneta e giocando la vita degli altri a testa o croce, da un altro killler prezzolato dai narcocontrabbandieri, e da un vecchio sceriffo, stanco e disilluso, che fa quello che può ma che distribuisce perle di autentica saggezza.
Colonna sonora assente. Grande fotografia. Personaggi perfetti. Dialoghi ancora più perfetti ("Non sei obbligato ad uccidermi", ripetuto all'infinito), ma qui il merito è di McCarthy.
E poi, finale strepitoso.
Ma soprattutto un grande Bardem che, diciamolo, è chiaramente il sosia di Sassidubi.

9 commenti:

Unknown ha detto...

d'accordo su tutta la linea, tranne che sulla questione del sosia.. non mi somiglia per niente.

e te lo vado a dimostrare: http://img385.imageshack.us/img385/6110/javiersabigu4.jpg

(Photo courtesy of Spl33n)

Il Cesco ha detto...

Mi sembra molto violento, a me la violenza eccessiva fa star male.
Penso che non lo andrò a vedere.

Gbattm ha detto...

mi da pagina non trovata...

Anonimo ha detto...

voto al libro 9

voto al film 8

Unknown ha detto...

è che forse non si vede tutto il nome del file, che è

javiersabigu4.jpg

Gbattm ha detto...

Cristo, siete proprio uguali. Ti hanno visto aggirarti nella zona di Corvetto con una bombola in mano...

Big ha detto...

Davvero un'immagine inquietante....

Gbattm ha detto...

Texas, culo del mondo ai confini col Messico, 1980. Il cacciatore di antilopi Llewelyn reduce dal Vietnam che “ruba” per caso due milioni di dollari a potentissimi narcos; un angelo della morte con un nome demoniaco (Chigurh) che pare uscito da un racconto di Lovecraft (concittadino di McCarthy, Providence Rhode Island: non è una coincidenza, mi sa) che coniuga la sua indole da serial killer sociopatico (ammazza con una sparachiodi ad aria compressa usata per il macello dei maiali) con l’incarico di “terminare” a ogni costo il povero ladro malgré soi; il disilluso sceriffo-filosofo esistenzialista Bell che assiste inerme e disincantato al soccombere di ordine e logica in un caos che sta per farsi sistema. L’America, il Mondo, non è un paese per vecchi: e i giovani crescono presto, nel Sud-Est asiatico allora come oggi a Baghdad (o a Guantanamo) o nella valle di Elah. La retrodatazione è importante. I Coen la mantengono con un effetto di vertigine straniante: è il prequel della fine del mondo e di quella del cinema, entrambe probabilmente già avvenute. Se insinuazioni e scenario politico sono indiscutibilmente contemporanei, il discorso è senza tempo e il Tempo è una linea sovrapposta di presente infinito. Polvere del deserto, traiettorie che si compenetrano, sguardi che si sfiorano o s’incrociano. Come e più che in Fargo o Il grande Lebowski, con radici fino al loro esordio Blood Simple, i Coen rimettono in moto la macchina tragicomica della violenza del caso, della relatività del reale, dell’indefinibilità motivazionale del comportamento dei singoli. A prima vista, il carico di retorica è netto. Bla bla bla. Il mondo affonda nel caos, Dio non c’è (più) e noi che siamo pure ebrei ci ridiamo sopra. Bla. La rappresentazione di avidità ed efferatezza cieca è una chiave di lettura facile con cui metaforizzare il declino della civiltà occidentale e il tramonto delle certezze libertarie di un Paese sotto scacco, sotto assedio, sotto tortura, sotto shock. Ma anche no. La lettura, certo lecita, non è unica. Perché né McCarthy è mai stato interessato al rimpianto della mutazione o alla stigmatizzazione ambigua della gratuità dell’abiezione, né i Coen. E quindi quella che si presenta come una smagliante estremizzazione metafisica e senza speranze di un universo senza controllo si trasforma e si sfrangia in una ricerca struggente di residui d’umanità da cui iniziare a ricostruire. In fondo, la poliziotta incinta di Fargo, con in grembo la sua promessa al mondo, vale lo sceriffo inerme di No Country for Old Men. E le iperboli, le ellissi e tutta l’altra (alta) geometria deformata dell’impianto fanno correre a ritroso verso luoghi coeniani solo in apparenza omologhi. Vi sembrerà un ritorno: e invece è una ripartenza. Tutto sembra tornato al suo posto, e invece tutto è cambiato. Come deve essere sempre. Dopo aver passato anni a comunicare al pubblico la morte del cinema, dopo la presa di coscienza ironizzata in Lebowski di un nichilismo poi reso tangibile e serissimo nella dolente fissazione di L’uomo che non c’era, dopo aver verificato con (in)successo la loro impossibilità di confrontarsi con le forme del comico e del grottesco comunemente (?) intese (lo screwball di Prima ti sposo poi ti rovino e la traslazione di contesto dello humour british di La signora omicidi in Ladykillers), ecco una forma Coen definitiva e nuova. Perché Non è un paese per vecchi è prima di tutto un film comico. Regolato da un meccanicismo che ha fatto storcere il naso a molti e che invece ne è l’unico possibile motore. Sussunto in un casting dove la figura mastodontica ma leggera dell’inarrestabile e steinbeckiano Chigurh (Javier Bardem – oggi il più grande attore del mondo – con un’acconciatura da paggetto e uno sguardo annullato consapevole dell’innocenza di Lucifero) è bilanciata dall’ossequio delle stereotipie/isotopie che informa la fisicità dei suoi complementi umani: l’ordinarietà proletaria di Llewelyn (un magnifico, compreso, Josh Brolin) e la sentenziosa disillusione western dello sceriffo Bell (che è l’inarrivabile Tommy Lee Jones, giurerei posseduto dall’introiettamento del sentire iconico di un Johnny Cash). E che esplode nella sequenza-capolavoro e chiave di tutto il film per poi bruciare nel secco finale raccontato: ovvero, prima un incidente d’auto (non vi diciamo di più) che è un calcio in culo beffardo alle aspettative delle anime belle (l’avete capito o no che non esiste un ordine superiore?) e poi il racconto di un sogno dove il testuale presunto canto del cigno di un’epoca, di un’etica e di un mondo diventa pragmatica speranza (l’avete capito o no che esiste un ordine superiore?), esibizione di ordine (e di cinema) morale, dove anche il silenzio cerca una sua dimensione di senso. Non c’è musica in No Country for Old Men, neanche una nota. Ma ci sarà, se vorrete sentirla. Immaginate. Potrebbe essere indifferentemente Sympathy for the Devil degli Stones o Angel of Death degli Slayer; Boweavil Blues di Charley Patton o gli Einsturzende Neubauten di Kollaps. O, in funzione dissecante e accentuatrice e beffarda, anche una lagna tipo Amy Winehouse o tutta la merda che ci sta in mezzo e che può venir sputata da una qualunque KMFM texana di una scassa autoradio. Sorda colonna sonora del mondo. O il rumore di fondo che assediava la Terra quando ancora l’Uomo non era neanche un’ipotesi nella mente di un dio.
Filippo Mazzarella su linus.net

Anonimo ha detto...

Per me è un film splendido, vi giuro che mentre lo guardavo, decisamente "catturato" pensavo tra me e me......cazzo mi ricorda qualcuno......bella C.J.....è assolutamente il bedo.....
P.S. una dritta, se volete un'altra recensione, un po piu' stringata, ma egualmente centrata, potete trovarla su cinefile.biz