venerdì 4 aprile 2008


L'incipit del nuovo dei Baustelle mi porta, ancora una volta, a riflettere sulla stima e sulla considerazione di cui gode la categoria degli architetti.

"Siamo architetti ricchi di Bel Air/E vecchie dive del noir/Abbiamo ville/Abbiamo cadillac/Ed uccidiamo per soldi come te/Puoi controllare i nostri alibi/Siamo eleganti e sereni/Siamo avvocati rispettabili/E ci inchiniamo al denaro come te/Ci annoiamo, abbiamo mogli e amanti/Abbiamo tanti amici/A guardarli bene, tutti vermi che siamo costretti a eliminare/La logica spietata del profitto o chissà cosa/ci fa figli dell’Impero Culturale Occidentale/Meno male che qualcuno o che qualcosa ci punisce/Arriva un investigatore, ci deduce l’anima/La nostra cognizione del dolore illumina" . ("Colombo", da "Amen")

Strano, il destino.
Una volta, nel periodo in cui facevo l'università, pensavo che gli architetti potessero cambiare il mondo.
Ero talmente imbevuto dello spirito avventuriero dei pionieri, degli inventori dell'architettura moderna, che non mi accorgevo che nel frattempo il mondo era cambiato, che sempre più stava cambiando.
Allora leggevo dell'impeto rivoluzionario dei costruttivisti russi, del forte impegno sociale dei razionalisti tedeschi e olandesi, le ricerche dei movimenti più radicali sull'existenz minimum e l'immane sforzo per dare un'abitazione decente all'immane massa di contadini inurbati, dell'utopia extraurbana di Wright e dei primi costruttori delle città-giardino.
La preistoria.

All'alba del nuovo secolo, siamo visti come i registi di oscuri comitati d'affari, speculatori d'assalto, amici dei palazzinari, come nella blasfema "1.9.9.6." degli Afterhours:

"Porco cristo offenditi/c'è una dote che non hai/non è chiaro se ci sei/Sei borghese arrenditi/gli architetti sono qua/hanno in mano la città/Cambia rotta cambia stile/scopri l'anno bisestile/è volgare il tuo annaspare sai"

Oppure, quando va bene, come pseudo-intellettuali raffinati ma vaporosi e vuoti, alla stregua di stilisti effemminati e capricciosi, magari bravi a vestire l'abito di un edificio ("l'involucro", tema tanto in auge nella letteratura e nella critica contemporanea) ma poco interessati al suo contenuto, alla funzionalità e alla ricerca spaziale. Come ricorda il Guccini della "Signora Bovary":
"Ma cosa c'è, cosa c'è.../atrii a piastrelle di stazioni secondarie/strade più strade di avventure solitarie/clown nella notte/valigie vuote/piene di trucchi per tragedie immaginarie.../...telecomandi per i quotidiani inferni/battute argute di architetti postmoderni, amanti andate/piaceri a rate/pallottolieri per contare estati e inverni..."

Nell'immagine, la Moleskine di Le Corbusier

2 commenti:

Big ha detto...

Cazzo, ci fosse ancora un Gropius...

Gbattm ha detto...

Anche Saaaaaccchi è d'accordo...