domenica 8 marzo 2009

QUASI COME KEROUAC, 06

(1994, July 25th - SECONDA PARTE)

La visita di Taliesin West si è appena conclusa sotto un sole che spacca le pietre. Mi appresto a scendere per un sentiero polveroso, verso il sobborgo di Scottsdale: è lì che ho un appuntamento con Big e Paulette. Puntuale, la Toyota Camry mi carica nei pressi della fermata del bus.
Mi lascio cadere esausto sul sedile posteriore.
Non ho nemmeno la forza di parlare. Poco male, sarà una giornata lunga e avrò tutto il tempo per raccontare.
(Non è ancora mezzogiorno.)

Abbandoniamo Phoenix e imbocchiamo la Highway 17 in direzione nord, per Flagstaff.
Dopo poche centinaia di metri, decidiamo di lasciare l'autostrada e di optare per un itinerario alternativo con la Statale 89 in direzione nord-ovest. Consultando la mappa, Paulette si è accorto che così facendo attraverseremmo la Prescott National Forest e di lì raggiungeremmo la ghost-town ottocentesca di Jerome.
Ma la segnaletica è inesistente, cazzo, e presto ci ritroviamo sperduti su una strada che attraversa il deserto. La percorriamo per almeno trenta miglia e raggiungiamo Paolo Verde, sobborgo a sud di Phoenix: esattamente nella direzione opposta a quella che andiamo cercando.
Merda.

Dove cazzo siamo?, chiede Big.
Non lo so. Non si capisce un cazzo su questa mappa di merda, faccio io.
Porco ***, fa Big.

(Questo dialogo - uno dei nostri più tipici dialoghi, va detto - viene riportato al fine di caratterizzare e tratteggiare meglio i personaggi del racconto. E' un passaggio inevitabile, direi la lesson one di una qualsiasi scuola di scrittura, che sia o meno creativa.)

Dopo un paio di inutili e goffi tentativi di ritrovare la via maestra, riusciamo infine a riprendere la marcia verso Flagstaff.
Un paio di hamburger in uno squallido fastfood con una sgualcita tappezzeria color crema è tutto quello che troviamo da mettere sotto i denti.
Siamo a Wickenurg, Peeples Walley. Una località dimenticata dal Signore e da tutti gli uomini di buon senso.
La temperatura non accenna a diminuire: il termometro della Camry indica 40,5°. Soffia, insopportabile, un'aria calda e secca.
Scesi dall'auto, dobbiamo fare presto se non vogliamo che le suole delle scarpe si sciolgano sull'asfalto bollente.

La frescura dei boschi di abeti e cedri della Prescott National Forest è come un manna dal cielo.
Ora viaggiamo all'ombra delle conifere secolari, con i finestrini finalmente abbassati, di aria condizionata non ne potevamo proprio più.

Poco oltre, Prescott è l'America profonda, se questa espressione può avere un senso.
Prescott è anche il fallimento dell'urbanistica, anzi, l'assenza totale di qualsivoglia proposta di pianificazione urbana. Ci muoviamo perplessi, come in un videogame, in un'enorme e orrendo marasma di seconde case, motel con davanti immensi parcheggi, drugstore, insegne pubblicitarie, officine meccaniche, case mobili abbandonate in spiazzi improvvisati di terra polverosa.
Ci lasciamo questo triste spettacolo alle spalle senza rimpianti, e raggiungiamo in breve tempo Jerome, la città fantasma. Non è difficile intuire, purtroppo, che essa non è che la ricostruzione, chissà quanto mai fedele, di un tipico villaggio dell'epoca della mitica corsa all'oro.
Una sorta di Grazzano Visconti del West, insomma.
Passeggiamo un pò svogliati nella Main Street, sulla quale si affacciano tutti gli edifici, interamente costruiti in legno. Ci sono il saloon, l'ufficio dello sceriffo con le celle della gattabuia, persino una segheria ancora in funzione, dove un vecchio con una camicia scozzese e una folta barba rossiccia finge di lavorare alla pialla meccanica. Tutto intorno, altre comparse recitano distrattamente il loro copione.
E noi recitiamo il ruolo dei turisti ingenui e creduloni, cazzo ci costa.
La location è comunque interessante per un paio di scatti - il vecchio falegname con la barba, un gruppo di pavoni dalla coda coloratissima, i vecchi furgoncini abbandonati ai margini del deserto - con la Yashika, scatti che vanno centellinati con parsimonia e che non si possono sprecare alla cazzo. In questi tempi, si lavora ancora con le diapositive: nessuna nostaglia, spesso litigavo coi caricatori che immancabilmente si incastravano nel proiettore, che poi le mettevo dentro sempre sottosopra, con le persone a testa in giù, cazzo, per non parlare di quando mi cadevano per terra e si infilavano dappertutto, sotto il letto, il tavolo, ecc... Siamo molto prima dell'avvento della tecnologia digitale, infatti. Dunque, è necessario soppesare bene emozioni e valutare con precisione la qualità della ripresa, prima di pigiare il tasto che apre il diaframma.
Le cose si complicano ancor più se si pensa che la vecchia reflex Yashika è una comproprietà secca, come segue:
* Country Joe, comproprietario per la quota di 1/2;
* Paulette, comproprietario per la quota di 1/2.

Nessun commento: