Reduci dall’improvvida svolta elettronica e antimilitarista di Drums And Guns di quattro anni orsono, la band del Minnesota torna alle sue radici, ovvero alle sonorità slowcore (Slint, Codeine, Red House Painters) che ne avevano caratterizzato i fulgidi esordi.
A rimarcare la scelta, C’mon è stato registrato per Sub Pop – che recentemente non sbaglia un colpo, dai Beach House allo splendido album solista di J.Mascis - al Sacred Heart Studio, una chiesa cattolica sconsacrata nella loro Duluth, che già tenne a battesimo il capolavoro Trust.
In apertura, il bellissimo singolo Try To Sleep, pervaso da un’atmosfera sognante ma tutt’altro che cupa, anzi quasi pop: qualche maligno ha notato una certa somiglianza con Sunday morning dei Velvet Underground.
Dal folk-rock di You See Everything e Witches, quest’ultima impreziosita dalla chitarra slide dei Wilco, Nels Cline, e dal banjo di Dave Carroll, al gospel postmoderno di Especially Me (“some songs feel like butter/some songs sound like cake/this little number is for your sake”), Nightingale e $20 (“The dream is enough/The price is too much/But it's nothing to us/My love is for free, my love”), sino all’ipnotica MajestyMagic, la successione dei pezzi non soffre cadute di tensione, malgrado l’estrema lentezza, la semplicità delle composizioni e il canto soffuso di Alan Sparhawk e Mimi Parker, nella vita marito e moglie (la band si è divertita a sfruttare per le registrazioni anche i giochi dei figli della coppia).
Pare proprio di restare in sospensione.
lunedì 18 aprile 2011
venerdì 15 aprile 2011
Barba
Qualche giorno fa, B. - nella sua veste di Tycoon, di archetipo dell’uomo di successo - ha intrattenuto una platea di “giovani talenti” con una piccola ma significativa lezione di stile, dispensando consigli tricologici ad alcuni degli studenti con calvizie incipiente, ha chiarito che su un abito blu non si mettono mai le scarpe marroni, che la cravatta «non deve spuntare da sotto la giacca» di cui «bisogna abbottonare solo i primi due bottoni» ,e ha spiegato di non gradire gli uomini con la barba, perché «nasconde il volto, come se si avesse una malformazione o si volesse celare qualcosa» (dal web).
Cj non è d'accordo e mette in fila una personalissima classifica delle sue barbe preferite di tutti i tempi (ancora in costruzione...)
Cj non è d'accordo e mette in fila una personalissima classifica delle sue barbe preferite di tutti i tempi (ancora in costruzione...)
domenica 10 aprile 2011
Si sono già guadagnati, indubbiamente, il Grammy – dovrebbero inventarlo, se già non esiste… - come miglior titolo dell’anno: “Che cosa vi aspettavate dai Vaccines?”, che sia il parto di un genio del marketing oppure la prova di un reale terrore di non essere all’altezza di aspettative spropositate (sottinteso: non aspettatevi un capolavoro).
Tante e tali erano le aspettative per il loro esordio – il piu’ atteso dell’anno dalla stampa britannica, che già li ha incoronati the next big thing, oppure i nuovi Libertines, preferendoli a bands come Chapel Club e Mirrors - che la tentazione di una feroce stroncatura per il recensore era forte. Tendenza rafforzata dall’ascolto ripetuto del primo singolo, la brevissima “Wreckin Bar (Ra Ra Ra)” (1’22’’!) in heavy rotation su Mtv, un’innocua rilettura del power pop alla Ramones con ammiccamenti al surf dei Beach Boys.
E invece questi quattro esponenti della working class della periferia londinese – che presto saranno in tour con gli Arctic Monkeys - suonano un garage-rock godibile e divertente (Strokes, Billy Bragg) con venature dark e similitudini con la scena wave (Glasvegas, Franz Ferdinand, Interpol), e mettono insieme una manciata di pezzi niente male (If You Wanna, A Lack Of Understanding, Wetsuit, la irresistibile Post Break-Up Sex).
Insomma, liquidarli come l’ennesimo bluff della stampa britannica sarebbe ingeneroso, e dunque siamo disposti – magnanimi che siamo – a concedere credito ulteriore.
Poi, per passare alla storia (del Dio Rock, si intende) servirà ben altro.
domenica 3 aprile 2011
Il paesaggio brullo e desolato, l’atmosfera uggiosa, il vento che ti sferza la faccia e la pioggia, fitta e leggera, che non sembra nemmeno che ti stai bagnando, il gregge di pecore che attraversa pigramente la strada e ti tocca aspettare a motore spento, e fai anche un cenno con la mano al pastore che invece ti ignora, passa e va, il pub oscuro e fumoso con le panche di legno e i vecchi dalle gote rosse che urlano con un bicchiere di whisky tra le mani: Isola di Mull, Arcipelago delle Ebridi Interne, Scozia orientale.
E’ qui che la band di Manchester si è ritirata per registrare l’atteso seguito di quel The Seldom Seen Kid – un estratto del quale, Grounds For Divorce, è stato scelto dai Coen per il trailer di Burn After Reading - che aveva stregato critica e pubblico, e questa scelta si riflette nell’intensa malinconia del loro nuovo lavoro (il quinto).
Prendiamo il cuore dell’album, Jesus Is A Rochdale Girl/The Night Will Always Win, due ballate apparentemente semplici ma costruite su sfumature raffinate, quasi inafferrabili.
Un consiglio: è un disco da ascoltare in cuffia, per meglio apprezzare la cura maniacale degli arrangiamenti, la precisione e lo stile dei dettagli, la raffinatezza delle sovrapposizioni tra trame classiche, effetti digitali e campionamenti. Come nell’iniziale ed epica The Birds, costruita sul crescendo lento e inesorabile di un'unica nota ripetuta che culmina in un trionfo solenne di archi e di synth. Grande sfoggio di classe anche in Lippy Kids (narra ricordi di infanzia nei cortili tra le alte case in mattoni rossi della operosa città inglese) e nella conclusiva Dear Friends (un omaggio del leader Guy Garvey ai suoi compagni di viaggio).
Le stelle polari sono i capostipiti dell’art-rock britannico colto e ambizioso: Eno, Fripp, Wyatt, Sylvian. E soprattutto Gabriel: in The River la voce di Garvey ricorda in maniera davvero spaventosa quella dell’Arcangelo di Bath.
Vero: svanito l’effetto novità, qua e là affiora il manierismo (With Love, Open Arms) o un’enfasi ingiustificata, una certa magniloquenza.
La stessa critica mossa da sempre anche ai Genesis (ai Genesis di Gabriel, sia chiaro): e noi che abbiamo amato alla follia Foxtrot e Selling England By The Pound ci teniamo stretti anche gli Elbow.
venerdì 1 aprile 2011
How much for the women?
Una delle scene piu' epiche dei Blues Brothers è quella che si svolge nel ristorante gestito da Fabolous.
C'è una tranquilla famigliola borghese che sta cenando al suo tavolo.
PADRE: Cameriere? Senta. Per favore, maitre.
FABULOUS: Sì, signore? Vanno bene le insalate?
PADRE: Le insalate sono ottime. È... è solo che vorremmo... spostarci a un altro tavolo, un po' lontano da quei due signori.
FABULOUS: Perché? Vi hanno disturbato?
PADRE: No. È solo che... beh, francamente emanano uno spiacevole odore. Sì, insomma, puzzano da vomitare.
FABULOUS: Voglia scusarmi. Vedo se riesco a trovarle un altro tavolo.
PADRE: Grazie.
(...)
JAKE: Quanto vuoi tu per bambina bionda? Le donna. Quanto vuoi tu per tutte le donna?
PADRE: Come?
JAKE: Le tue donna. Io... io... io... compre tue donna, tutte. Bambina, signorine belle. Io voglio comprare tutte. Quanto vuoi tu per tua bambina?
PADRE: Maitre! Maitre!
MADRE: Oh!
A me viene in mente il nostro Grande Capo.
Ma non per la storia di Ruby e dell'Olgettina. O meglio, non solo per quello.
Lui conosce solo un modo per risolvere i problemi: comprare.
Non ha piu' la maggioranza in Parlamento? Il problema non esiste, lui si compra una mezza dozzina di deputati.
Pare di vederlo, aggirarsi furtivo tra i banchi dell'opposizione (sic), con il cerone in faccia e quell'imbarazzante moquette in testa, e rivolgersi ai vari capogruppo: Quanto vuole tu per tuo onorevole? Il deputato. Quanto vuole per i tuoi deputati. Io... compre tuoi deputati. Io voglio comprare tutti.
Insomma, c'è un problema da risolvere?
Eccolo arrivare col suo ghigno proverbiale, tirare fuori il portafoglio, e chiedere: Quanto costa?
L'altro ieri è andato in scena un nuovo, imperdibile show. Non appena sbarcato a Lampedusa, giunto là allo scopo di quietare gli animi di una popolazione infuriata per i continui sbarchi dei barconi di migranti, ha esordito con un incipit straordinariamente comico:
Il Presidente del Consiglio ha il vezzo di risolvere i problemi.
Pare abbia aggiunto:
Sono in missione per conto di Dio.
Poi ha promesso che potenzierà fognature, impianti di illuminazione e traccerà nuove strade. Che aprirà addirittura un casinò: forse chi gli scrive i testi ha messo un accento di troppo, probabilmente intendeva un "casino".
Infine ha affermato di volere comprare una villa.
Anzi, pare l'abbia già acquistata su internet, salvo poi pentirsene in loco perchè troppo vicina all'aeroporto. Troppo rumore. Il Presidente della Regione Sicilia era sbalordito: pensavo che su internet si acquistassero le mozzarelle (ma gli arriveranno fresche?), ha commentato laconico (che non so che cazzo vuol dire ma ci stava bene, laconico).
Sempre ieri, a "Un Giorno da Pecora" il suo medico personale - nonchè sindaco o ex sindaco di Catania, non me lo ricordo se è ancora in carica - ha ammesso di essersi sbagliato sul fatto che il premier è immortale.
No che non lo è, immortale, ha proclamato solenne.
(Probabile che l'immortalità non sia in vendita. Non ancora).
Però vivrà fino a 120 anni, ha proseguito, quasi in forma di minaccia.
Porca troia, mi sono detto.
Quest'anno Lui compie 75 anni, dunque per arrivare a 120 Lui vivrà altri 45 anni. Per esserci anch'io, cioè, per assistere a quell'evento storico, anzi epocale, dovrei vivere fino a 88 anni.
Col cazzo che ci arrivo fino a 88 anni, mi sono detto.
Porca di quella troia, mi sono detto.
domenica 27 marzo 2011
Wow

E’ ancora presto per capire se sboccierà una nuova scena italiana – band emergenti quali Il Teatro degli Orrori, Il Pan del Diavolo, Bologna Violenta, Le Luci della Centrale Elettrica, Bachi da Pietra devono infatti mantenere le promesse – e allora nel frattempo volgiamo lo sguardo sulle vecchie conoscenze dell’(ex) Belpaese.
Detto di Giovanardi e della Donà, meriteranno attenzione i nuovi lavori di Paolo Benvegnu’, ex Scisma (Hermann), di Marco Parente, ex batterista dei C.S.I. (La Riproduzione Dei Fiori) e quello – da quello che si legge, insolitamente ruvido - dei napoletani 24 Grana (La Stessa Barca), che sono volati oltreoceano per farsi produrre da Steve Albini.
E ancora.
Irrompono nelle charts nostrane i Subsonica.
La band torinese giunge al sesto album - intitolato Eden (la danza di un mondo perfetto) e mixato presso le Officine Meccaniche di Mauro Pagani - e sbanca puntualmente il botteghino con una dance elettronica intelligente e ruffiana.
Tutto previsto: il livello è mediamente discreto, con punte di eccellenza (la title-track, anche primo singolo, che sembra tratto da Kid A, Serpente, L’Angelo) e con melodie troppo scontate (Il Diluvio, Sul Sole, Quando, La Funzione, quest’ultima tra Tozzi e Camerini).
A livello di liriche (“Contro la ginnastica dell’obbedienza” (…) ”Libera l’Italia subito/dal Prodotto Interno Lurido), la chicca è Benzina Ogoshi, nata attraverso lo scambio di messaggi con i fan e ironicamente autocritica: “Non siete riusciti a bissare/Microchip Emozionale”.
A sorprendere sono invece i Verdena, recentemente di passaggio al Fillmore, di nuovo in auge con un cartellone di tutto rispetto.
I ragazzi di Albino sono finalmente diventati grandi: superata ormai la fase di sterile copiatura del modello Sonic Youth, bissano il passo in avanti del penultimo Requiem dando alle stampe con Wow un mastodontico lavoro composto da ben 27 pezzi brevi e concisi, che tuttavia non annoia mai grazie a una notevole varietà compositiva e a continui cambiamenti di scena.
L’incipit è la beatlesiana Scegli me, poi c’è la wave di Loniterp (è l’anagramma di Interpol…), la ballata psycho-folk Per Sbaglio – con campanelli e coretti tipo Animal Collective e Panda Bear -, il rock spigoloso di Mi Coltivo, con un riff rubato ai Black Sabbath, la straordinaria Razzi Arpia Inferno e Fiamme – roba da Flaming Lips - e infine Adoratorio, uno strumentale quasi progressive.
Potremmo fermarci qui, ma c’è molto altro: le ballate acustiche Tu e Me ed E’ solo lunedì, poi Sorriso in Spiaggia Pt 1 e 2, lo spaghetti western di A Cappello, il countryfolk di Canzone Ostinata (Badly Drawn Boy), lo stoner granitico di Attonito e Lui Gareggia, il piano martellante stile Arcade Fire di Miglioramento e Rossella Roll Over, la coda ipnotica di Badea Blues, le psichedeliche Scarpe Volanti e Grattacielo.
Sarà che questi bergamaschi ci stanno simpatici (piu’ di Calderoli, sia detto) - li ricordiamo ormai anni fa alla Festa della Birra di Travo, dove ingannarono l’attesa del pomeriggio tirando due calci a un pallone nel campo adiacente al palco e mangiarono salamelle e spiedini con lo staff: nessun vezzo o atteggiamento da star – ma per noi questo Wow! è un gran disco.
Sarà difficile strappargli lo scettro di “Album italiano del 2011”.
giovedì 24 marzo 2011
martedì 22 marzo 2011
Fragola e cioccolato
C’era quello scrittore francese – Delerme mi pare si chiamasse – che ha venduto un pacco di copie del suo libro che semplicemente elencava i piccoli piaceri della vita, quelli a cui davvero non si può rinunciare.
Il primo sorso di birra, cose del genere.
Ebbene, venerdì scorso, ho pensato a lui e al suo libretto del cazzo quando, dopo essere passato a prendere mia figlia davanti a scuola, per la prima volta ci siamo fiondati – io e lei e una masnada di bambini chiassosi – nell’unica gelateria del paese, che ha aperto i battenti da pochi giorni dopo la pausa invernale.
Il sole del tardo pomeriggio ancora scaldava e si poteva stare in mezze maniche, e quindi abbiamo impilato i cappotti e i giubbotti sulle sedie di plastica bianca affiancate al muro coperto di muschio o appoggiati in terra vicino alla vetrina.
Dentro al negozio, ho convinto tutti quanti a prendere un cono di fragola e cioccolato.
E’ tradizione che il primo gelato della stagione debba essere fragola e cioccolato, ho detto ai bambini che mi guardavano increduli.
E’ una regola ormai consolidata.
(Non credevo ci cascassero così facilmente, erano già sul punto di cedere).
Infrangere la regola porta sfiga, ho aggiunto: non sia mai.
E così quei poveretti si sono presi un cono fragola e cioccolato, tutti, senza eccezioni, sotto lo sguardo pieno d’odio della gelataia per via che i cestelli degli altri gusti rimanevano immacolati.
Avrebbe voluto dirmi, e bravo il mio cretino, adesso a chi la do’ la zuppa inglese?
Al gatto?
Comunque: cos’era buono il mio cono fragola e cioccolato.
Me lo sono gustato passeggiando avanti e indietro sull’ampio marciapiede che fronteggia la provinciale, dove - appena accostato sul lato sbagliato della strada - era parcheggiato lo scuolabus del paese, un pulmino arancione, un Turbodaily tutto ammaccato e con i fari pieni di condensa e i tergicristalli senza spatole che quando piove bisogna andare a passo d’uomo e mettere fuori la testa dal finestrino. Sarà un Euro0, quel fottuto Turbodaily. Cazzo, quando parte sprigiona una nube tossica che è peggio della centrale di Fukushima.
L’autista – che poi è anche il cantoniere, e anche il necroforo, quando occorre - era dentro la gelateria, lui e il suo equipaggio: quattro o cinque bambini, tutti maschi, chissà se c’è un motivo che sono sempre tutti maschi quelli dello scuolabus. Ha ordinato un cono per ognuno di loro. Sbrigatevi a scegliere i gusti, ripeteva ad alta voce, visibilmente spazientito dalla lunga attesa. C’era un bimbo originario dell’Ecuador o giù di lì che non capiva la domanda della gelataia, che da qualche minuto gli stava chiedendo se voleva le praline colorate. Un bel bambino, con il viso tondo e una frangia così di capelli corvini. Suo fratello invece è un gigante, fa paura. Fa le medie ed è piu’ alto di me, non che io sia poi così alto, ma insomma. Porta i capelli lunghi, oltre le spalle, e, cazzo, sembra proprio l’indiano di Qualcuno volò sul nido del cuculo, quello che alla fine sradica il lavandino di marmo e lo scaglia contro le inferriate, le sfonda e infine si allontana dal manicomio. Le vuoi o no le praline colorate?, ha sbuffato l’autista. Poi si è avvicinato al banco e ha fatto per pagare. Sei gelati da un euro e mezzo per un totale di nove euro. Allontanandosi mi ha visto e si è accorto che lo stavo osservando e allora mi ha fatto, prendo cinque euro di straordinario per portare a casa questi piccoli bastardi e ne spendo quasi il doppio per pagargli il gelato.
Hai fatto un affare anche oggi, ho detto io con un sorriso compiaciuto.
Cazzo, ha risposto lui.
Poi mi ha schiacciato l’occhio e ha iniziato a richiamare i bambini, ricordando loro che dovevano muoversi, cazzo, erano già in ritardo di quindici minuti sulla tabella di marcia.
Avete finito o no?, ripeteva.
Uno di loro era ancora indietro con il suo gelato e ha fatto il gesto di salire sul bus, e allora l’autista si è incazzato sul serio e lo ha preso per un orecchio, delicatamente, però. Non puoi mangiare il gelato sul bus, gli ha detto. Fa già schifo così, ci manca solo che mi sporchi i sedili col tuo gelato. Infine ha aspettato che quell’altro finisse, ha caricato il suo equipaggio sul bus, ha salutato con un gesto della mano e poi ha ingranato la marcia verso le colline ricoperte di vigneti ancora spogli.
E io me ne sono restato in silenzio a finire il mio cono fragola e cioccolato.
Ancora più felice, però.
domenica 20 marzo 2011
E’ come quando ti passa a trovare, dopo un sacco di tempo, un vecchio amico.
Lo fai entrare in casa, gli chiedi come va, lo fai accomodare sulla poltrona davanti al camino, gli offri un nocino e poi vi raccontate “dieci anni in poche frasi”: lei che ha lasciato lui, anzi, no, il contrario, lui che è in cassa integrazione, e suo figlio che cresce bene anzi è grasso come un maiale, ingurgita quelle maledette merendine dalla mattina alla sera.
Non vi vedete da anni, ma immediatamente si instaura un clima di complicità e di vicinanza, che è come se in tutto questo tempo aveste continuato ancora a frequentare il bar, ogni fottuta sera, come una volta.
La stessa cosa mi succede con questi due dischi.
Giovanardi è l’ex-cantante dei La Crus – storica band della grande stagione del rock indipendente italico (Afterhours, Marlene Kuntz, Almamegretta, CSI, ecc) e sigla con la quale ha partecipato all’ultimo Sanremo – e anche per lui il tempo è passato: non vi sarà certo sfuggita quella sorta di riporto dall’inquietante tinta Biscardiana, direi un RAL 2009, ad occhio. Questo nuovo lavoro ci è sembrato tutto sommato divertente, seppur non imprescindibile, e contiene, oltre alla già nota Io Confesso, brani orchestrali e musica leggera, oltre ad alcune cover dai mitici anni ’60, come direbbe Minà: Bang Bang (con Violante Placido) e Se Perdo Anche Te. La pecca è Neil Armstrong, dal testo esplicito (“può bastare un passo molto breve, per lasciare tutto alle tue spalle”) ma somigliante in modo imbarazzante a Bianca.
J. Mascis invece esibisce una strepitosa zazzera fluente e color grigio cenere, ed è il leader dei Dinosaur Jr, band campione del noise tornata lo scorso anno con il notevole Farm al livello dei primi anni ’90.
Several Shades Of Why è un disco acustico edito da Sub Pop, che va a colmare un vuoto incolmabile per tutti quelli che – come noi – hanno sempre sperato in un disco unplugged dei vecchi dinosauri e conferma la sua ritrovata vena compositiva.
Depurate dai consueti muri di chitarrone e da feedback e scariche violente di amplificatori, restano le melodie, piacevoli e struggenti, e la voce nasale di un J. Mascis indolente e sempre piu’ clone del suo idolo Neil "Cavallo Pazzo" Young (Can I): le classiche Not Enough, Is It Done e Where Are You non hanno nulla da invidiare al repertorio migliore (Get Me, Start Choppin’, Thumb), la title-track ricorda il folk-rock di C.S.N & Y., e dolcissime sono le crepuscolari Very Nervous And Love e Too Deep, forse la piu’ bella del lotto.
Bravissimo.
Lo fai entrare in casa, gli chiedi come va, lo fai accomodare sulla poltrona davanti al camino, gli offri un nocino e poi vi raccontate “dieci anni in poche frasi”: lei che ha lasciato lui, anzi, no, il contrario, lui che è in cassa integrazione, e suo figlio che cresce bene anzi è grasso come un maiale, ingurgita quelle maledette merendine dalla mattina alla sera.
Non vi vedete da anni, ma immediatamente si instaura un clima di complicità e di vicinanza, che è come se in tutto questo tempo aveste continuato ancora a frequentare il bar, ogni fottuta sera, come una volta.
La stessa cosa mi succede con questi due dischi.
Giovanardi è l’ex-cantante dei La Crus – storica band della grande stagione del rock indipendente italico (Afterhours, Marlene Kuntz, Almamegretta, CSI, ecc) e sigla con la quale ha partecipato all’ultimo Sanremo – e anche per lui il tempo è passato: non vi sarà certo sfuggita quella sorta di riporto dall’inquietante tinta Biscardiana, direi un RAL 2009, ad occhio. Questo nuovo lavoro ci è sembrato tutto sommato divertente, seppur non imprescindibile, e contiene, oltre alla già nota Io Confesso, brani orchestrali e musica leggera, oltre ad alcune cover dai mitici anni ’60, come direbbe Minà: Bang Bang (con Violante Placido) e Se Perdo Anche Te. La pecca è Neil Armstrong, dal testo esplicito (“può bastare un passo molto breve, per lasciare tutto alle tue spalle”) ma somigliante in modo imbarazzante a Bianca.
J. Mascis invece esibisce una strepitosa zazzera fluente e color grigio cenere, ed è il leader dei Dinosaur Jr, band campione del noise tornata lo scorso anno con il notevole Farm al livello dei primi anni ’90.
Several Shades Of Why è un disco acustico edito da Sub Pop, che va a colmare un vuoto incolmabile per tutti quelli che – come noi – hanno sempre sperato in un disco unplugged dei vecchi dinosauri e conferma la sua ritrovata vena compositiva.
Depurate dai consueti muri di chitarrone e da feedback e scariche violente di amplificatori, restano le melodie, piacevoli e struggenti, e la voce nasale di un J. Mascis indolente e sempre piu’ clone del suo idolo Neil "Cavallo Pazzo" Young (Can I): le classiche Not Enough, Is It Done e Where Are You non hanno nulla da invidiare al repertorio migliore (Get Me, Start Choppin’, Thumb), la title-track ricorda il folk-rock di C.S.N & Y., e dolcissime sono le crepuscolari Very Nervous And Love e Too Deep, forse la piu’ bella del lotto.
Bravissimo.
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