Calcisticamente parlando, sono cresciuto nel vivaio della Bolide, mitica squadra della parrocchia di San Savino.
Ma i primi calci li ho tirati al campo dell’oratorio.
Detto “Zan Zavino” per via di un tipo che frequentava il Bar Sport, il Bar Sport era quasi di fronte all’ingresso dell’oratorio, e che ogni tanto faceva irruzione nel campetto di cemento con la sua Ritmo color azzurro zucchero - paraurti in tinta carrozzeria e antenna parabolica sul cofano – e urlava, urlava verso di noi piccoli sfigati coi pantaloni lisi e le ginocchia sbucciate, noi piccoli sfigati che tiravamo i primi calci al pallone di gomma tipo elite:
Eccoli qui, Zan Zavino!
Diceva Zan Zavino per via di un difetto di pronuncia della “S” assai marcato.
Le prime volte incuteva timore, aveva diversi anni più di noi ed era considerato un duro, ma poi aveva preso l’abitudine di fermarsi a giocare anche lui: gli piaceva vincere facile.
Fece una brutta fine, quel tipo.
Una notte d'inverno andò a finire in una scarpata con la sua Ritmo in uno di quei curvoni assurdi che ci sono poco dopo il ponte sul Po, appena dopo l’Auchan, che poi allora l’Auchan non c’era, non c’erano proprio i centri commerciali, e la roba la si comprava ancora nei negozi.
Per dire: nella mia via c’erano ben due fruttivendoli, a distanza di trenta metri uno dall’altro. Poi c’era un rivenditore di elettrodomestici, caro come il sangue, un fotografo, la parrucchiera, il negozio di fiori, una latteria incommensurabilmente triste, tre sorelle che vendevano il pane – tutte tre zitelle acide antipatiche e attaccate al soldo: o forse una era sposata, non si è mai saputo con certezza – poi l’alimentari sotto casa mia che vendeva le focaccine tonde a sessanta lire e appunto il Bar Sport.
Il Bar Sport c’è anche adesso.
Attorno al Bar Sport adesso resiste solo la parrucchiera, e forse il fotografo qualche volta tiene aperto.
Adesso ci sono due o tre kebab, un take away pakistano, gestito da un uomo elegante che parcheggia sempre un Mercedes coupè sul marciapiede sull’altro lato della strada, un centro massaggi con l'arredamento minimal-giapponese - le canne di bambù i sassi bianchi e tutte quelle ciotole del cazzo, non servono mai a un cazzo quelle ciotole - e un call center con transfer money in Ecuador o Romania, una lavanderia a gettone, una copisteria e qualche vetrina sfitta.
L’oratorio c’è ancora.
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