Settimana scorsa, raccontandovi dell’addio alle scene di Ivano Fossati, abbiamo accennato alla nuova scuola cantautoriale italiana.
Esiste davvero?
Proviamo allora ad ascoltare alcuni tra i più interessanti artisti emersi qui da noi negli ultimi anni.
Bugo per la verità non è per nulla una novità.
Giunto ormai all’ottavo lavoro, Cristian Bugatti – Novara, 1973; ma attualmente vive in India (Nuova Delhi) dove nel frattempo ha intrapreso una carriera parallela nel campo della videoarte e della scultura contemporanea - conferma vizi e virtù del suo recente passato.
Certo, è cresciuto molto, non è più solamente la fotocopia stramba di Beck. Lo scarno vocabolario degli inizi si è via via arricchito di accenti acid-rock, atmosfere lisergiche alla Flaming Lips (I miei occhi vedono) e persino synthpop (Mattino), senza rinunciare alla sua originalità e alla sua vena leggermente squilibrata.
Tuttavia anche stavolta l’ascolto lascia l’amaro in bocca, come un senso di incompiuta: pare insomma di trovarsi di fronte all’ennesima (grande) promessa non mantenuta fino in fondo.
Tra le tracce più convincenti l’eterea Il sangue mi fa vento, E comunque voglio te e Città cadavere; quest’ultima, poi, sembra scritta su misura per la nostra pigra e sonnolenta provincia.
(illustrazione: Alberto Madrigal)
Dario Brunori, calabrese di Cosenza, miglior esordio al Premio Ciampi del 2009, supera con “Vol. 2 - Poveri Cristi” le angosce tardo-adolescenziali del primo album per approdare a una scrittura più sicura e matura, concentrata su un iperrealismo grottesco che fa i conti con la quotidianità povera e disillusa del sud della penisola. Alcuni ritratti riusciti: Il giovane Mario, che deve fare i conti col salario - ispirata alla graffiante satira del conterraneo Rino Gaetano -, l’omaggio al padre scomparso (Bruno mio dove sei?), l’amore perduto di Tre capelli sul comò. Cameo di Dente in Il suo sorriso.
Lo stesso Dente, atteso alla prova del quarto album dopo il soprendente L'amore non è bello del 2009, si conferma sempre in bilico tra farsa e ironia: geniale e al tempo stesso demenziale, innovativo e legato alla tradizione.
Battisti, De Gregori e la poesia di Ungaretti sono i riferimenti che si sprecano nei confronti del suo lavoro, per nulla un disco difficile e inaccessibile, che scivola via - al contrario – con inusuale leggerezza. Il fidentino canta di amori impossibili (Io sono il lungo inverno e tu la bella estate, siamo rette parallele), amori finiti (L'ultimo amore non si scorda fino a che non ci pensi più) e tradimenti (Più che il destino è stata l'Adsl che vi ha unito), e si candida ad essere il menestrello degli sfigati in amore dei nostri tempi. Il singolo Saldati è leggiadra e romantica in stile La Crus, e sarebbe un hit se a cantarla fosse un big (Portami a vedere il cielo questa sera anche se è nuvolo); Piccolo destino ridicolo rimanda allo stesso Bugo, La settimana enigmatica è un blues sgangherato, Da Varese a quel paese una marcetta.
Il disco di Dente sarà presentato in anteprima nazionale al Fillmore di Cortemaggiore venerdì 28 ottobre, un'occasione da non perdere.
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