domenica 27 settembre 2009

I Pearl Jam ai tempi di Obama


Il Nemico N.1 – George W. Bush: lui, le sue guerre e le sue bugie - non c’è piu’, ormai, e dunque gli ex-ragazzi di Seattle si vedono costretti, per una volta, ad abbandonare il consueto impegno politico e a virare verso toni meno accesi e vibranti.
Il loro nono lavoro di studio - per il quale è stato richiamato Brendan O'Brien, produttore di “Vs” e “Vitalogy”- ha sì un impatto diretto e immediato, senza fronzoli, ma testi piu’ sereni e ottimisti, anche se qua e là riaffiora una vena malinconica.
Il titolo (“Backspacer”) è ispirato all' omonimo tasto per macchine da scrivere - caduto in disuso negli anni '50 – con le quali Vedder è solito comporre i suoi pezzi, mentre per l’art-work è stato coinvolto il disegnatore “politico” Tom Tomorrow, conosciuto durante la campagna elettorale di Ralph Nader nel 2000.

Il disco – undici brani per poco piu’ di mezz’ora di durata - si apre alla grande con “Gonna see my friend”, un robusto garage-rock alla Stooges. “Got Some” rimane a galla con fatica, grazie a un sound ruvido e all’enorme mestiere della band, mentre “The Fixer” è un singolo spento e prevedibile. Inserita tra due episodi tutto sommato dimenticabili, “Just Breathe” è certamente il clou, una ballata da brividi – con un insolito accompagnamento d’archi - basata su un pezzo strumentale di Eddie Vedder da “Into the Wild", soundtrack dell’omonimo film diretto da Sean Penn. “Unthought Know” inizia bene, con un’unica variazione in costante aumento, “Supersonic” è il pezzo da “pogo” e dimostra - se davvero ce ne fosse il bisogno - la loro incredibile velocità d'esecuzione, e a seguire ci sono il pop sofisticato di “Speed of Sound” (che non è una cover dei Coldplay, anche se forse potrebbe esserlo…) e il pezzone grunge di “Force of Nature”. In chiusura, la soffertissima “The End”, con quel titolo talmente evocativo e impegnativo: avranno almeno chiesto il permesso a James Douglas Morrison, in arte Jim Morrison?

In sintesi, un album che difficilmente potrà passare alla storia, anche della storia della stessa band: in ultima analisi, davvero non si tratta di uno dei loro episodi migliori.
Tuttavia, Vedder e soci sembrano sinceri. Sembrano divertirsi ancora e metterci tutto il loro entusiasmo per fare un rock classico e tradizionale, solido ed emozionante, in una parola: onesto.

Insomma, come cantava Mick Jagger: “It’s only Rock’n’Roll, but I like it”.

giovedì 24 settembre 2009



Diciamo la verità, se non ci fosse Mr. Murdock, la tv ormai potremmo anche tenerla spenta.
L'oasi di Raitre è infatti in trepida attesa dell'Ennesima Grande Epurazione, in nome della libertà di stampa tanto sbandierata dai prezzolati dell'erotomane capo, e il resto del palinsesto via etere è - come dice il cugino Franz - merda pura.
Della quale la Marcuzzi, quella poveretta, che succhia i wurstel in prima serata su Italia Uno è certo uno dei punti piu' bassi mai raggiunti. L'unica soddisfazione è che da lì si può solo risalire.
Solo sul satellite, pur anch'esso dominato in gran parte da robaccia, è ancora possibile trovare qualcosa di buono.
L'altra notte, su Cult, mi sono imbattuto - per esempio - in uno strepitoso (e pluri-premiato) docu-film su uno scriteriato e folle equilibrista, tal Philippe Petit, francese, che nel 1974 camminò o meglio danzò, sospeso in aria, su una corda appositamente tesa tra le due torri gemelle.
Il video - intitolato "Man On The Wire", è del 2008 - mostra immagini bellissime di altre sue imprese storiche, tra cui la passeggiata di Notre Dame a Parigi e quella sul porto di Sidney, con la grandiosa Opera House di Utzon sullo sfondo.
Accompagnato, su Cult, da un'intervista a Paul Auster, visibilmente emozionato.
Imperdibili anche le dichiarazioni di Nixon in un vecchio schermo in bianco e nero, patetico nel suo dire: "Io non sono un imbroglione", di lì a qualche giorno fu costretto a dimettersi.
Cercate il Dvd, è imperdibile.

sabato 19 settembre 2009

Il mio tema


Il castello di Montichiaro è avvolto, spettrale, nella nebbia.
Uno spiraglio di luce, assai debole, filtra tra i boschi che costeggiano il fiume, boschi resi umidi dalla brina mattutina. Sono bastati pochi giorni di pioggia, e già si sono riaperte le frane, dappertutto la strada è invasa da pietre e terriccio: sembra quasi che la montagna non riesca piu’ a restare su, che abbia invece la volontà di cadere, di rotolare a valle.
Non bastassero le frane, un cinghiale ha attraversato la provinciale, l’altra notte, proprio mentre noi tornavamo dalla riunione organizzativa per la scuola. Un bell’esemplare, il pelo folto e grigiastro, le zanne affilate in evidenza. Immobile, illuminato dai fari della nostra auto, a lungo ci ha osservato incuriosito. Trovarselo davanti, così improvvisamente, al buio, dopo una curva, vi assicuro, un po’ vi cagate sotto.
Alla riunione ci dicono che Agnese ha avuto finalmente i suoi maestri unici, quattro maestri unici, per la precisione: la maestra unica di matematica, la maestra unica di italiano, la maestra unica di inglese, il maestro unico di religione.
Crepi l’avarizia.
I loro nomi si sono saputi soltanto nella notte, dopo una lunga e inutile attesa, dopo una serie concitata di fax e telefonate. Tuttavia, non si può sapere se saranno loro ad accompagnarla durante il suo primo anno di scuola: a fine ottobre, per via degli strani meccanismi che regolano la scuola primaria, verranno richiamate le ulteriori code di precari in lista d’attesa, che potrebbero optare per Travo, e dunque lo scenario potrebbe cambiare. Sostituzioni, trasferimenti, e poi i soliti riscorsi, le sentenze del TAR di turno, ecc, e quindi fino a Natale, boh. E’ come il calciomercato di qualche anno fa. Sempre aperto.
Cazzo, mica male come partenza.
Quella di italiano, essendo di ruolo, quella però non cambierà. Deve aver firmato un triennale. A meno che non si svincoli per via della Legge Bosman…
In compenso i tagli – da alcuni piuttosto comicamente definiti “Riforma” – hanno riguardato non solo i docenti ma anche i bidelli, o meglio “personale ATA” o "AFA", non ho capito bene. E’ solo grazie ad alcuni di loro che – pur non essendo a loro richiesto – volontariamente (chissà se Brunetta lo sa) scorrazzano in tutta la valle, da un “plesso” all’altro, se negli ultimi tempi riesco a tenere aperte le scuole qui in montagna, dice sconsolata la direttrice. Ha lo sguardo abbattuto ma un piglio ancora deciso, nonostante tutto.

Il primo giorno di scuola.
Agnese è tranquilla.
Nemmeno un po’ di commozione, nemmeno una lacrima.
Certo, è corsa ad abbracciare sua mamma, appena ha sentito la campanella. La campanella che segnala l’inizio di tutto, un brivido che corre lungo la schiena.
Lo zaino delle Winx è stracolmo di libri, libretti, quaderni e quadernoni. E’ già piu’ pesante di un divanoletto. In fondo allo zaino, ci sono una mela e un succo di pera. Una merenda frugale. Come Pinocchio. O come Vasco. Mica come io e Paulette, che tutte le mattine ci compravamo una focaccina tonda dal vecchio Fumi, che aveva il negozio di alimentari proprio sotto casa. Non a caso, eravamo grassi inquartati. Costava sessanta lire: me lo ricordo bene. Anche se sono passati trentacinque anni. Una vita fa.

L’aula di Agnese è come è sempre stata.
Nulla è cambiato.
Ma nulla davvero.
Ci sono ancora i banchetti con il ripiano di formica verde chiaro, le seggioline di legno curvato, la lavagna con i gessetti colorati e il cancellino a spirale, come quello che ci lanciavamo dietro la schiena appena la maestra si girava, la cattedra con la struttura metallica e il buco tra il top e il laterale, attraverso il quale spiavamo le gambe di quella supplente di matematica. Portava sempre le calze a rete, quella zoccola.
C’è persino la carta geopolitica dell’Europa.
E poi un bellissimo pavimento di graniglia, di quelli di una volta. Solo le vecchie finestre in legno sono state sostituite dalle nuove in PVC. Erano mezze marce e lasciavano passare gelidi spifferi.
E' come fare un viaggio indietro nel tempo.
Anche i nomi dei suoi compagni sembrano arrivare dal passato: Teresa, Edoardo, Letizia, Giorgia.
L'aula non grande, ma i bambini sono solo undici, per cui c'è spazio da buttare. Vi chiederete: così pochi? Da queste parti, trattasi di classe assai numerosa. Perlomeno, è stato scongiurato il rischio di una pluriclasse.
A dire il vero, qualcosa che non quadra c’è: un quadretto di Papa Woityla, sopra la cattedra. Pensavo ci dovessero mettere il presidente della Repubblica. Non che sia un bell’uomo, quello no. Ma insomma. D’altronde, quì, la scuola chiude al mercoledì pomeriggio, perché il parroco fa la dottrina.
Guarda sempre il lato positivo delle cose, CJ. Almeno non c’è il pastore tedesco. Se c’era Nazinger, allora sì, che erano cazzi.
Se c’era Nazinger, mi inversavo sul serio.
Ma, in fin dei conti, cosa ti aspettavi, CJ?
Divanetti in finta pelle? Una tappezzeria etnochic? Tavolini in polipropilene con gambe in acciaio inox, magari disegnati da Philippe Starck? Un maxischermo a cristalli liquidi al posto della lavagna?
Niente di tutto questo, per fortuna.
C’è ancora, nonostante tutto, nonostante i tagli, la cara e vecchia scuola, grazie al cielo.
Ancora qualcosa a cui aggrapparci.

Mentre torniamo a casa, io e Sandra ci chiediamo: cosa starà facendo adesso Agnese?
Pagheremmo per essere là dentro. Sul serio.
L’importante è che si comporti bene, ci diciamo. Che poi, io non lo so se mi comportavo bene, a scuola. Di sicuro, mi toglievo sempre le scarpe, almeno in prima lo facevo, e spesso mi sdraiavo sul pavimento per disegnare. Me lo ripete sempre la mia vecchia maestra, tutte le volte che la incrocio sul sagrato della chiesa. Anche a casa, mi piaceva stare sdraiato sul pavimento - freddo - di marmo del salotto. Un modo di agire non del tutto civile, adesso che ci penso. In compenso, sapevo già leggere e scrivere. Sfido io, con tutti quei temi che ci faceva fare la Manza. Quasi sempre sulla mela. Tema: la mela. Non svariava troppo nei titoli, quella iena.

La scuola di Agnese adesso è lontana, e noi corriamo già. Dobbiamo affrontare il nuovo giorno che avanza. Con meno voglia, stamattina.
Giusto un pensiero sul tempo che scorre troppo in fretta, inesorabilmente.
Ci pensi poco, magari perchè hai ancora pochi capelli bianchi, o perchè ancora hai voglia di fare un pò il cazzone con gli amici, quelli rimasti, quelli veri.
Però passa lo stesso.

Agnese, alla vigilia del suo primo giorno di scuola, mi ha regalato un piccolo cuoricino fucsia – anzi fuffian, come diceva lei quando era piu'piccola – e lo ha attaccato sullo schermo del mio i-Phone.
Così ti ricorderai sempre di me, mi ha detto.
Ok, ho risposto io.
Così ti ricordi me quando sei morto, ha aggiunto.
Le ho sorriso, un sorriso amaro.
Non so se lo prenderò su, sai. Probabilmente, laggiu’ non c’è campo.


E dirò di pietre consumate, di città finite, morte sensazioni,
racconterò le mie visioni spente di fantasmi e gente lungo le stagioni
e canterò soltanto il tempo...

mercoledì 16 settembre 2009

martedì 15 settembre 2009


Ecco che arrivano le prime piogge – qui a Travo stamattina c’è una nebbia che sembra di essere in novembre – e dunque i nostri ascolti necessariamente si adeguano al rinnovato clima brumoso e malinconico.
Per questo motivo PiacenzaSera ha scelto il nuovo e sesto album dei Mum, dal titolo surreale “Sings Along To Song You Don’t Know”. Realizzato tra la natìa Islanda, la Finlandia e l’Estonia – con il supporto del coro Estonian Suisapäisa Mixed Choir – e pubblicato da un’etichetta berlinese, esso propone una sapiente miscela tra il consueto elettro-ambient, istanze pop e rimandi alle tradizioni narrative popolari. Il climax giocoso e onirico di quest’opera segna un’inversione di rotta rispetto al passato, una reazione dei Mum ai recenti avvenimenti islandesi (una crisi economica senza precedenti ha causato le dimissioni del governo e ha mandato letteralmente in bancarotta la quasi totalità della popolazione) che hanno scosso la vita tranquilla di quella che è sempre stata considerata un’isola felice.

La successione dei brani scorre fluida, anzi liquida, senza soluzioni di continuità, pervasa ovunque da un caleidoscopio di suoni delicati e sognanti, ottenuto grazie a una strumentazione assai varia: viola, violoncello, pianoforte, organo, ukulele, marimba e altri, tipici della tradizione popolare.
In apertura, la filastrocca “If I Were A Fish” esalta il timbro soave della nuova vocalist Gisladottir (che presenta somiglianze con Lali Puna) e va a “ripescare” – mi si scusi lo scontato gioco di parole… - i suoni subacquei di “Fishrising” di Steve Hillage (ex Gong).
Con “Hullaballabalù” e “Kay-Ray-Ku-Ku-Ko-Kex”, bizzarre e bucoliche cantilene in lingua madre, dimostrano invece di avere mandato a memoria la lezione dei maestri Sigur Ros, “Sing Along” pare una cover degli Stereolab, l’ottima “The Smell Of Today…” recupera una base elettrodance da videogioco anni ‘80, mentre “Last Shapes Of Never” è un coro vagamente gotico a là Dead Can Dance.
Su tutti, “Illuminated”, punteggiata da archi di bellezza straordinaria.

venerdì 11 settembre 2009

LAST BUT NOT LEAST

9. Il compagno Demicheli
Ovvio.
Lo avevo tralasciato apposta, per dedicargli un post tutto per lui, un pò come Lippi che sostituisce Vincenzone per la standing ovation a pochi minuti dal termine...

giovedì 10 settembre 2009

RITRATTI LIONESI, 01

A quasi un anno di distanza dai celebri ritratti lionesi, Cj pubblica qui ampi stralci della Moleskine scritta in terra francese.
Si trattava di un taccuino griffato, addirittura BANCA MEDIOLANUM, e dunque assai politicamente scorretto, ma tuttavia di un bellissimo colore rosso. Gran bell'oggetto, dunque, regalo del Sassidubi per 40+40=80.

A titolo di promemoria, parteciparono al viaggio:
1. Il compagno Badini
2. Il conpagno Calza
3. Il compagno Ferri
4. L'altro compagno Ferri
5. Il compagno Menzani
6. L'altro compagno Menzani
7. Il compagno Ronda
8. Il compagno Zilocchi

Purtroppo si tratta di un'opera largamente incompleta.
Le motivazioni di questa edizione ridotta vanno ricercate - senza dubbi - nella scarsa vena creativa generale del gruppo, ma anche in una serie di motivazioni assolutamente indipendenti dalla volontà dei suoi componenti, ovvero, principalmente:
1) il furgone noleggiato dal compagno Ronda - oltre a non essere dotato di lettore CD, dettaglio di non poca importanza - era tutt'altro che confortevole, per cui scrivere risultava poco agevole;
2) il cibo ingurgitato durante la nostra permanenza ha causato danni irreparabili ai nostri intestini, creando situazioni di disagio e di malessere tali da pregiudicare pensieri e azioni dei nostri;
3) pioveva sempre, cazzo, per cui era in pratica impossibile aprire la Moleskine senza inzupparla tutta!

RITRATTI LIONESI, 02

RITRATTI LIONESI, 03

RITRATTI LIONESI, 04

RITRATTI LIONESI, ANCORA

Date un'occhiata qui sotto.
In questi scatti presi durante la trasferta in terra di Francia del weekend scorso, c'è un'intera generazione di (giovani, una volta...) promesse (mancate, ma quante recriminazioni...) della sinistra (sinistra, una volta...) piacentina.

E poi ci si stupisce che il paese va a destra...













RITRATTI LIONESI, ANCORA LORO

Altri motivi per cui la sfornata di ex-giovani talenti di cui sotto non ha sfondato... se ce ne fosse davvero bisogno.
In attesa di un salutare e tanto atteso ricambio generazionale, che ovviamente li taglierà fuori definitivamente dal giro, i nostri eroi si barcamenano in lavori più o meno politicamente corretti, fanno cose, fanno figli (alcuni li fanno praticamente in diretta...), vedono gente, insomma, cercano di godersi la vita come pochi.

Nell'attesa di un nuovo, epocale, big bang, comodamente divanati davanti allo schermo al plasma in 16:9, hanno ancora il coraggio di scandalizzarsi - un pochino, però - nel vedere le solite facce da quarant'anni, e quindi Andreotti in stato catatonico nel solito patetico polpettone domenicale, Gelli annunciare un nuovo programma tv, Cossiga blaterare scomposto sui dosordini alle manifestazioni contro il decreto Gelmini, la proposta di Zavoli alla vigilanza tv, perchè sembra che Biagi abbia rifiutato l'incarico con la scusa che è morto da oltre un anno (rifiuto che Veltroni pare non abbia apprezzato per nulla, sembra anzi che gli abbia chiesto di ripensarci).












venerdì 4 settembre 2009

Ruspe


La realtà, si sa, spesso supera la fantasia.
Spaparanzato sotto l'ombrellone, leggo su Repubblica che sulla pagina Fb della Lega compariva il gioco "Rimbalza il clandestino", denunciato dall'Arci per istigazione all'odio razziale e poi chiuso.
Che dire.
Metto qui sotto alcuni stralci di un racconto che ho scritto l'inverno scorso.
Cazzo, uno si scervella per trovare qualcosa di originale, e poi...



Il treno scartò bruscamente sui binari, sollevando un’enorme nuvola di polvere.
Sobbalzai, a causa di un giunto imperfetto, e mi ritrovai accovacciato sui sedili di un anonimo scompartimento di seconda classe.
L’aria era secca e viziata, il rivestimento in finta pelle appiccicoso.
E c'era una terribile puzza di sudore.
Impiegai del tempo per mettere a fuoco. Sotto la rastrelliera campeggiava una vecchia riproduzione ingiallita della Reggia di Caserta.
Mi affacciai nel corridoio.
Due donne straniere tentavano invano di prendere sonno, la testa tra le mani, in equilibrio precario sulle loro valigie di plastica rigida tenute insieme con il nastro da pacchi. Un uomo di mezz'età passeggiava avanti e indietro. Un altro fissava un punto indistinto del soffitto in doghe metalliche, palpeggiandosi le parti piu' intime del corpo. Poco lontano, si sentivano alcune voci discutere animatamente, voci che forse provenivano dall'ultimo scompartimento. Voci che sembravano provenire dall'oltretomba.
Nonostante tutto, il treno mi piaceva, popolato a quell’ora della notte solamente da vagabondi e perditempo.
Improbabili naviganti sulla rotta di metallo che correva parallela al grande fiume.

(...)

Nel frattempo, i miei compagni di viaggio erano scesi in stazioni intermedie.
Unica eccezione, un uomo di mezz’età con cappello e pastrano scuro e quello che con ogni probabilità era suo figlio, un piccolo moccioso decisamente sovrappeso, con il viso rotondo punteggiato da una miriade di lentiggini.
Il bambino obeso mi fissava con odio inspiegabile, mentre lentamente estraeva le ultime patatine da un tubo di cartone. Si era ripulito le mani unte sfregandole sui pantaloni di lana color ruggine, poi aveva spostato le sue attenzioni su un videogioco portatile.
Attraverso il riflesso sul vetro del finestrino, riuscivo a scorgerlo mentre caricava una nuova partita di Caccia al Rom Evolution II. Le forze dell'ordine si erano presentate in un campo nomadi abusivo in pieno assetto antisommossa. Un'enorme ruspa radeva al suolo sistematicamente ogni cosa.
Il bambino obeso strizzava ripetutamente gli occhi: sembrava in preda a una strana forma di epilessia.
Superata indenne la fase uno, ovvero lo Sgombero Dell'Insediamento, era passato a una nuova schermata, denominata questa volta La Bonifica Del Territorio. Adesso i suoi eroi procedevano solerti a ribaltare le roulottes e ad appiccare il fuoco alle baracche del campo, mediante un fitto lancio di molotov e bottiglie incendiarie.
Nemmeno questa fase durò molto, ma fu un attacco di un'intensità micidiale.
Il bambino obeso sudava in modo raccapricciante, mentre smanettava con forza sulla piccola consolle.
Nel campo ora regnava una calma terrificante.
Dai cumuli di macerie e di lamiere metalliche saliva un intenso fumo nerastro. I superstiti si aggiravano con rassegnata disperazione tra la polvere e le scorie, come pallidi fantasmi, tenendosi un fazzoletto o uno straccio sul viso.
Il bambino obeso scuoteva lentamente il capo, stizzito.
Probabilmente aveva ottenuto un punteggio troppo basso.

(...)

Il viaggio proseguiva senza particolari intoppi: il treno procedeva alla velocità di crociera stabilita, non era per nulla scontato, di questi tempi.
Il bambino lentiginoso era visibilmente annoiato.
Aveva riposto il videogioco, avvolgendolo con cura maniacale nella sua preziosa custodia in cuoio, ed estratto da un piccolo marsupio un telefonino dell’ultima generazione. Muovendo con velocità insospettabile le dita grassocce sulla tastiera, eseguì una serie interminabile di suonerie. Al massimo volume.
Infastidito, tossìi in modo quasi impercettibile.
Senza risultato.
Dopo un ulteriore sequenza di bip, tossìi di nuovo. Stavolta in modo più vigoroso, volgendo lo sguardo verso il padre, imperscrutabilmente immerso nella lettura di un quotidiano filogovernativo.
Finiscila, dai fastidio alle persone, disse allora l’uomo, senza alzare gli occhi dal giornale.
Dove “le persone” ero io.
Decisi di cambiare scompartimento.

giovedì 20 agosto 2009

THE PARIS ALBUM, 02








Fotografie di Country Joe e Sandy (giugno 2009)

THE RONDA'S GUIDE OF PARIS, 02

ALTRE COSE DA VEDERE, A RANDOM
L’Opera con il soffitto affrescato da Chagall, poi da lì la chiesa della Madeleine e Place Vendome. I giardini del Luxembourg. La Tour Eiffel, ovviamente. L’Istituto del Mondo Arabo, eccezionale: sali fino sulla terrazza per godere il panorama; è sul pont de Sully, sull’altra riva rispetto alla Bastiglia. Se vuoi vedere un bel panorama della città puoi andare anche all’ultimo piano dei grandi magazzini La Samaritane, in pieno centro. La moschea. Saint Sulpice e Saint Germain l’Auxerrois. Place de la Contrescarpe.

MUSEI
Il Louvre è un puttanaio, enorme e pieno di giapponesi.
Se decidete di andarci vi consiglio di studiare bene, preventivamente, quali sale andate a visitare, sennò vi perdete e vi deprimete.
Il Musée d’Orsay è molto bello, collezione di impressionisti che visiti in un paio
d’ore: può essere una buona alternativa.
Il Museo Picasso è ben fatto e interessante, la visita poco impegnativa.
Se andate al Beaubourg ti segnalo che nella piazzetta appena fuori dal Centre Pompidou ci sono spesso gli artisti di strada, puoi prenderti un caffè o quel
cazzo che vuoi, ti siedi lì e ammiri i loro funambolismi, poi gli dai mezzo euro e li fai felici, fricchettoni di merda.
Una bella gitarella potrebbe essere la Villette e i suoi musei: il parco è molto bello, e soprattutto sabato e domenica si riempie di famiglie e giovani che vanno là a fare il pic-nic, mangiano gli hot-dogs e giocano al pallone. La Cité de la Musique alla Villette è abbastanza interessante, soprattutto la parte interattiva: la Cité des Sciences invece mi aveva annoiato.

PER LA SERA
Con il tuo bel Pariscope in tasca, che avrai consultato febbrilmente durante la giornata, ti dirigerai senza esitazioni nei ristoranti dei tuoi sogni. Comunque qualche buona dritta te la do lo stesso, ché il servizio sia completo: ma non sto lì a dirti i nomi dei ristoranti dove sono stato, tanto ce ne sono migliaia e deciderai tu in base all’estro del momento.
Una buona zona piena di ristoranti è quella vicino a Place de la Bastille: Rue de la Roquette, rue de Lappe e quelle intorno. Ci sono un sacco di locali con cucina di tutto il mondo, noi abbiamo testato un coreano e un marocchino uscendo parecchio soddisfatti. Lì ci sono anche dei bei locali dove bere l’aperitivo o il mojito per la digestione. Invero è una zona molto frequentata, un sacco di giovani, molta Movida.
Altro posto dove andare la sera in cerca di ristoranti è quello vicino al mercato di Saint Germain: rue des Canettes e limitrofe. Trovi principalmente ristorantini francesi, intimi e belli, la zona è più tranquilla e vale almeno una visita per una cena.
Menilmontant è una buona zona di ristoranti etnici, e per il cous-cous consiglio assolutamente il ristorante della Moschea: ambiente notevole, si mangia bene, meno turistico di quanto si possa pensare, ci aveva portato lì il nostro amico parigino. Dopo cena ti fermi per il narghilé.
Nel Marais pure trovi parecchi ristoranti, bistrot e brasserie o anche eleganti e cari, come pure localini intimi e romantici. Insomma zona ricca di opportunità. In place du Tertre, là in alto dietro il Sacro Cuore, ci sono un fracco di bistrot ma mi sembrano molto turistici. Per bere qualcosa dopocena, la zona della Bastiglia è ben messa in quanto a locali e a profferte alcooliche. Sennò la rive gauche in generale, ti inoltri un po’ e non rimani deluso. Noi ogni volta torniamo a bere un birrino o un mojito al Café Charbon, in Rue Oberkampf (fermata metro: Parmentier): trendy ma con gusto. Se volete ascoltare della musica dal vivo, non c’è niente di meglio che consultare il vostro bel Pariscope.

VOCABOLARIO UTILISSIMO, OVVERO COME CHIEDERE LE COSE
Caffè: espresso
Caffè macchiato: noisette
Brodaglia: café au lait
Demi: il birrino
Baron: la birra media (ma usa poco, si va giù di birrino a ripetizione)
Pression: la birra alla spina
Pastis: pastis
Mauresque: pastis e orzata
Pichet: caraffa o bottiglia, sia di acqua che di vino sfuso. Consiglio di bere
l’acqua del rubinetto (eau du rubinet) perché quella in bottiglia ha prezzi
incredibili.
Acqua gasata: eau gazeuse (solo in bottiglia, non ci sono rubinetti di acqua
frizzante)
Gazzosa: limonade
Bleu: carne molto al sangue
Saignant: al sangue
A point: media cottura
Taxi: taxi
Baiser: scopare
Sucette: pompino
Putain de dieu de bordel de merde: una signora bestemmia

martedì 18 agosto 2009

THE RONDA'GUIDE OF PARIS, 01

Pubblico qui, senza il consenso dell'autore, un'agevole e utilissima guida per un breve soggiorno nella capitale francese.
E' stata stilata dall'ottimo J in esclusiva per il viaggio della Big's family, in primavera, ma grazie a una serie di inenarrabili sotterfugi CJ è riuscito a entrarne in possesso, in tempo utile per la sua vacanza dello scorso giugno.
E' davvero una miniera di preziosi suggerimenti.

NB: CJ ha tuttora il sospetto che la frase "Gli architetti che si fanno le pippe con il cemento armato tailandese o il design finlandese tardoesistenzialista non sanno neanche che esiste, Pariscope" possa essere in qualche modo indirizzata a lui.

PREMESSA

L’imporante è partire bene, quindi prendi in edicola l’ultimo numero di Pariscope, costerà un euro: è un settimanale dove trovi tutte le informazioni su musei, gallerie, mostre, concerti, appuntamenti, teatro, spettacoli, eventi, orari, prezzi ecc. In più ogni settimana trovi un lungo elenco di ristoranti parigini, divisi per zona e per tipo di cucina, con prezzi, indirizzo, orari e telefono, più una piccola scheda. Pariscope è utilissimo e differenzia il turista intelligente dal turista pirla. Gli architetti che si fanno le pippe con il cemento armato tailandese o il design finlandese tardoesistenzialista non sanno neanche che esiste, Pariscope.
Per i trasporti in città la metropolitana è il mezzo migliore in assoluto. Sconsiglio di fare abbonamenti particolari, che sulla carta possono sembrare convenienti ma che poi si rivelano una chiavata: non foss’altro perché a Parigi
è molto bello camminare, i boulevard e i larghi marciapiedi si prestano alla deambulazione open air e va a finire che il tuo abbonamento ti rimane nel culo. Piuttosto prendete i carnet da 10 biglietti, sono comunque convenienti, se ne finisci uno ne prendi un altro e mal che vada ci perdi proprio poco. Idem per le carte dei musei, è vero che risparmi ma per ammortizzarle devi vedere 18 musei in tre giorni, non mi sembra molto sensato. Se fate tardi la sera (verifica l’orario di chiusura della metro) o se volete fare gli sboroni, i taxi sono meno cari di quelli italiani e una comoda alternativa alla metro, molto usati dagli autoctoni.

QUALCHE ITINERARIO
Per tutte le robe più classiche ti leggi la tua bella guida e te la cavi da solo. Io qua ti segnalo qualche itinerario, tradizionale e non, che il bomber Ronda ha percorso più volte e con grande gaudio.

Ile de la CitéParti dal Pont Neuf (ci arrivi con la metro a Chatelet) e ti infili in Place Dauphine, poi ti inoltri sull’isola. Arrivi al Palazzo di Giustizia e vai a vedere (da non perdere per nessuna ragione) la Sainte Chapelle. Esci ammirato. Più avanti trovi Notre Dame, che visiterai anche se devi fare la fila: se ne hai voglia prima o dopo puoi fare una deviazione e far passare un po’ di bouquinistes sulle rive della Senna.


Passi nel giardinetto dietro a ND (guardando la cattedrale, a destra c’è l’ingresso), fai il ponte e approdi all’Ile Saint-Louis: percorri la via centrale, piena di negozietti degni di un’occhiata. A metà circa di quella via, sulla sinistra trovi una bottega che vende il foiegras, entri e ti fai fare un assaggio o meglio ancora un panino, il tutto innaffiato da un bicchiere di bianco. Godi, ringrazi e te ne vai. Arrivato in fondo all’isola San Luigi prendi il Pont de Sully a sx, ti nfili nel boulevard Enrico 4° e per magia ti trovi a place de la Bastille. Occhio che la Bastiglia non c’è da un pezzo. Se vuoi a questo punto puoi tornare indietro prendendo rue de Rivoli, che ha tanti negozi, e così facendo raggiungi l’Hotel de Ville che è sempre un bel vedere. Il tutto, visitando SC e ND e magari fermandosi per un sandwich o sulle bancarelle, ti prenderà una mezza giornata abbondante, quasi intera se te la prendi comoda.

Marais
Puoi partire da place de la Bastille, quindi puoi agganciarti all’itinerario di prima. Arrivi a place des Vosges (altra cosa da non perdere per nessuna ragione), dove ci si può fermare per un panino o per una merenda (c’è un bel parco). Sotto i portici ci sono gallerie d’arte, la casa di Victor Hugo e spesso degli artisti di strada, tendenzialmente musicisti.


Da Place des Vosges entri nel quartiere ebraico: rue des Francs-Bourgeoises, des Rosiers, Vieille du Temple, des Archives ecc, girale a seconda dell’ispirazione del momento. E’ una passeggiata davvero molto bella. Attenzione! All’angolo tra rue des Rosiers e rue des Hospitaliers Saint Gervais trovi due spacciatori di falafel da asporto (uno su rue de Rosiers e uno sull’altra, si chiama Chez Marianne): consiglio fanaticamente un copioso assaggio, li individui dalla coda che si forma fuori. Risolta questa imprescindibile incombenza puoi tornare a passeggiare anche senza meta nel quartiere, non ci sono monumenti o cose particolari da vedere, ma è una zona molto molto bella: l’unica roba ricordati che al sabato gli ebraici hanno la singolare tradizione di non lavorare, quindi potresti trovare i negozi chiusi. C’è pieno di gay, occhio. Cerca di trovare (non è facilissimo) place du Marché S.te Catherine, è piccola e raccolta ed è una sosta ideale per un caffè. Puoi raggiungere in poco tempo il Beaubourg e Les Halles, dove ti consiglio di vedere Saint Eustache, una chiesa maestosa. Giro da tre o quattro ore con doppia sosta per riposino e falafel.

Belleville
Prendi la metro e vai fino a place Gambetta. Da visitare c’è il cimitero del Pere Lachaise, che personalmente amo molto: la visita può prenderti da mezz’ora a tre ore, dipende quanto ti piace starci dentro. Se ci stai dentro tutta la vita vuol dire che eri famoso. Nel quartiere ci sono parecchi localini interessanti, prolifera il cous cous ovviamente, o sennò se cerchi qualcosa di più tradizionale assolutamente da frequentare è il Baratin, un bel bistrot in Jouye Rouve. Finita la visita nel quartiere multietnico per eccellenza, se avete voglia di camminare prendete Avenue Gambetta, poi rue du Chemin Vert e dopo un tre quarti d’ora/un’ora come per incanto siete a Place des Vosges.

Montmarte
Altra visita impedibile. Scendi con la metro a Pigalle (dove c’è il Moulin Rouge), resisti se puoi alle tante tentazioni della carne e ti infili in rue des Abesses poi in place des Abesses. Continui a salire verso sinistra, vedi il Moulin de la Galette, trovi le vigne a cielo aperto e poi svolti verso destra e arrivi in place du Tertre (quella con i pittori ecc.) Da qui al Sacro Cuore è un giuoco da ragazzi. Non salire subito al Sacro Cuore da dove scendi con la metro, preferisci l’itinerario da me consigliato, sennò tanto vale che ti scriva la guida. Sulla scalinata del SC ci sono spesso dei musicisti, e ai piedi della scalinata ci sono negozi di vestiti usati: non so se le due robe sono collegate, ma è così.

Champs-Elysées
Personalmente non amo molto, però parti dal Louvre e ti fai il bel parco delle Tuileries: ci sono un sacco di panchie e seggiole, è un bel posto per mangiare un panino e riposare o far giocare i bambini (infatti c’è pieno di preti). Avanti dritto la maestosa Place de la Concorde e poi l’Arco di Trionfo (a mio avviso non imprescindibile).


Se vuoi dall’Arco puoi tagliare giù, in metro o a piedi, per la Torre Eiffel.

Rive Gauche
Anche qua passeggia pure alla cazzo che non ti sbagli. Le viuzze tipo Rue de la Tarpe o Xavier Privas o de la Huchette sono la parte più animata del Quartiere Latino, ci sono miliardi di ristoranti e bistrot, molto turistico ma divertente. La Fontana Saint-Michel è un punto di ritrovo per i giovani, poi Boulevard Saint Michel e Boulevard Saint Germain sono da fare. In Place St. Germain de Près c’è la chiesa da vedere e soprattutto Les Deux Magots, il Café Flore e la brasserie Lipp, tutti café-bistros storici (Sartre e tutte quelle pippe lì). Cerca una stradina che si chiama Cour de Commerce Saint André, ci entri dal blvd Saint Germain, è molto bella: lì c’è anche il Procope, altro bistrot storico e da visitare. Se la guida ti segnala dei passages in questa zona, provate a farne qualcuno. In ogni caso Quartiere Latino e Saint Germain sono due quartieri eccezionali, pieni di ristoranti e locali, negozi di antiquariato, librerie, artigiani vari, negozi di fumetti e di sigari o cappelli, gallerie eccetera eccetera, è un posto molto vivo, bello da visitare anche senza un itinerario particolare.

lunedì 17 agosto 2009


E noi che pensavamo di passarcela male, da quando abbiamo letto che a Pordenone, prodondo nord-est, sono stati vietati gli assembramenti di due persone nel centro cittadino (in quanto potrebbero ostacolare, per qualche genio, ostacolare la fruizione degli spazi pubblici da parte di altri cittadini).
Tuttavia, non va meglio negli States, dove non si può piu' nemmeno passeggiare sotto la pioggia...

da: Corriere.it:
Girava per la città sotto la pioggia, senza documenti in tasca. A un certo punto si è avvicinato a una casa in vendita per sbirciare dalle finestre. Qualcuno, insospettito da un comportamento giudicato un po' strano, ha chiamato la polizia e così quel «losco figuro» è stato caricato su un'automobile e riportato in hotel. Una volta in albergo, la poliziotta 24enne che lo aveva accompagnato si è trovata però di fronte a una sorpresa: quello che credeva solo un «vecchio eccentrico» era davvero Bob Dylan.
L'episodio è avvenuto lo scorso luglio a Long Branch, in New Jersey. Lo rivela la Cnn. È stata Kristie Buble ad avvicinarsi a Dylan e a chiedergli il suo nome. Ma il cantante non aveva documenti e così l'agente non gli ha creduto. E ha deciso di scortarlo fino all'hotel dove Dylan ha potuto dimostrare finalmente la sua identità. L'artista, riferisce la polizia, sembra aver preso bene l’incidente e, alla domanda perché se ne stesse sotto la pioggia, ha risposto: «Avevo voglia di una passeggiata».

sabato 15 agosto 2009

THE PARIS ALBUM, 01








Fotografie di Country Joe e Sandy
(giugno 2009)