sabato 31 maggio 2008
NY, 17 - MANHATTAN
I newyorchesi li riconosci subito: sono quelli che camminano con passo veloce, in modo rettilineo, e con lo sguardo dritto davanti a loro.
Tutti gli altri, invece, si spostano con movimento ondivago, quasi barcollando, e guardano quasi sempre all'insù, alla ricerca del maggior numero possibile di dettagli di quei colossi in ferro e vetro che sfilano sopra il loro naso.
E questo è assai pericoloso.
Non tanto per il rischio di calpestare qualche escremento di cane - come forse tutte le grandi metropoli, New York ha da tempo espulso qualsiasi tipo di animale: sarà un effetto collaterale della "Tolleranza Zero"? - ma al contrario per il fatto che ogni circa cento-centocinquanta metri c'è un semaforo, e ci vuole davvero molta attenzione, e concentrazione, per fermarsi in tempo a ogni segnale rosso.
La città è stata infatti costruita su una fittissima griglia ortogonale, assolutamente perfetta, che se da un alto facilita l'orientamento - dopo la quinta avenue puoi star sicuro che c'è la sesta avenue, e dopo la sesta c'è la settima, e dopo la settima c'è l'ottava, e così via - dall'altro diventa la causa di una lunga successione di barriere consecutive. Un'interminabile corsa a ostacoli.
Malgrado sulle strade viaggino solo un immenso fiume di taxi gialli, oltre a qualche bus turistico e alle limousine di qualche autorità o dei padroni di Wall Street (i newyorchesi, normalmente, non posseggono un'auto, e non si stenta a comprenderne il motivo), il traffico è alquanto caotico.
Proprio a fianco di ogni semaforo, campeggia immancabile un baracchino di wurstel - gestito normalmente da un greco o da un turco - o di pane di tipo pretzel (un ciambellone rigonfio di mollica e ricoperto da semi di sesamo) - gestito, per esempio, da un ispanico - o di frutta esotica: mango, papaya, avocado - gestito da un cinese. Ogni etnia gestisce il racket di un ramo preciso, ci spiegano. Verso mezzogiorno, un esercito di colletti bianchi erutta dai colossali termitai di uffici, quasi li vomitasse, e si dirige all'assalto di queste bancarelle improvvisate. Uno spettacolo per antropologi, Manhattan in pausa pranzo, popolata da queste moltitudini di impiegati e funzionari che abusano - rigorosamente in piedi - di hot dog, donuts e hamburger.
La selva di grattacieli si infittisce mano a mano che Cj procede verso sud.
A lui incute un certo timore.
Le strade sono tutte una uguale all'altra.
C'è una luce rarefatta, innaturale.
Lì giù, infatti, si resta quasi sempre all'ombra. Difficile infatti che fin lì possa arrivare un raggio di sole, forse solo a ferragosto, a mezzogiorno in punto, quando l'asse del sole è perfettamente verticale. L'unico modo per vederne la luce, e respirarla a pieni polmoni, è dirigersi verso il Central Park, il grande parco realizzato alla fine del secolo scorso proprio al centro di Manhattan. Vederlo adesso, sembra persino un errore di costruzione, una pecca, oppure un'enorme voragine scavata - da chissà quale evento distruttivo - nel mezzo della assurda giungla degli skyscrapers che ha aggredito senza soluzione di continuità il resto dell'isola. La passeggiata intorno al grande lago centrale rappresenta un vero e proprio deja-vu cinematografico: aspetti solo di incrociare Dustin Hoffmann nella sua tuta da maratoneta anni '70.
Per avere una (meravigliosa) visione d'insieme dello skyline metropolitano, è necessario salire in cima all'Empire State Building. Ed è ciò che facciamo, non prima di avere fatto incetta - Steve su tutti, ovviamente - di inutili gadget dei Jets e degli Yankees in uno dei tantissimi negozi di souvenir di tema sportivo.
Per Wikipedia, esso è probabilmente il più famoso grattacielo della città di New York e forse del mondo. Con i suoi 381 metri di altezza (443,2 m se si considera anche l'antenna televisiva sulla sua cima), esso è stato il grattacielo più alto del mondo fra la sua costruzione (1931) ed il 1973, quando furono inaugurate le Torri Gemelle del World Trade Center.
È stato proposto come una delle Sette meraviglie del mondo moderno.
Dopo una lunga coda per l'accesso all'ascensore, veniamo perquisiti con rigore all'ennesimo posto di blocco.
Qui a New York la paura la respiri in ogni angolo.
Il viaggio nel ventre molle del mostro dura solamente lo spazio di un istante, ed eccoci sulla vetta del mondo.
(Sarebbe stato bello avere una foto ricordo di gruppo, ma Cj, in preda a un raptus, sceglie di fare la foto abbracciato a un incredulo estraneo...)
Immagine: www.popitlikeitsart.co.uk/.../new%20york.JPG
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento