venerdì 20 giugno 2008
MUNICH BLUES, 11
Il piccoletto aveva finito per montarsi un pò la testa. Tutti quei complimenti, evidentemente, non gli avevano fatto bene. Poveretto, mica ci era abituato. Poco dopo l'ingresso in città, infatti, aveva dato sempre più frequenti segnali di impazienza, con colpi di clacson e schiamazzi vari, per poi improvvisamente effettuare un paio di pericolose inversioni a U.
Roba da ritiro della patente immediato.
Infine parcheggiò il furgone a pochi metri dall'albergo, al margine di un viale alberato che conduceva alla stazione ferroviaria. La zona era popolata per lo più da stranieri, turchi forse. A pochi metri dall'Art Hotel campeggiava l'immancabile bandiera del Doner Kebab; o Kebap, vallo a capire. In ogni caso, si respirava aria di casa, per noi fedelissimi dell'Imperatore.
Dopo un veloce conciliabolo, il Cartello decise di inserire un pò di monetine nel parchimetro, peraltro particolarmente esoso. Il lettore non si stupisca di questa stravagante scrupolosità.
A Bratislava, infatti, si erano guadagnati le ganasce pochi muniti dopo l'arrivo.
A Barcellona il Bobo aveva scagliato il vecchio Briscola di Achille giù per uno stradello contromano, allo scopo di farlo ripartire in seconda marcia, urlando a squarciagola: Segunda! Segunda!
Il fatto era che non volevamo strafare, c'era tutto il tempo di far emergere la nostra italianità nel proseguio del weekend.
L'atrio dell'Art Hotel aveva un arredo metropolitano, seppur stereotipato, con un design marcatamente vintage '70. La cosa più bella erano senza dubbio le lampade a sospensione della zona bar, realizzate con dei grappoli di bottigliette di Campari, di colore rosso fiammante. I tavolini della hall avevano poi un inserto vetrato per proteggere i sottostanti monitor a cristalli liquidi, collegati a computer nascosti e pronti alla connessione. Nell'attesa del nostro turno per la registrazione, Cj provò a navigare sul web, senza risultati: ci voleva la password, ovvio.
Alla reception li accolsero, con gentilezza tutt'altro che eccessiva, una ragazza di etnia probabilmente indo-pakistana, dalla pelle olivastra e i capelli lisci e corvini, e un giovane dalla chioma invece rossiccia, con occhiali a montatura massiccia e soprattutto un riporto da urlo, alla Schifani prima maniera per intenderci. Uno sfigato di primissima. Con grande piacere, Cj notò che assomigliava un pò all'assistente viscido del vero Lebowski, di Jeffrey Lebowski, il milionario in carrozzella. Non so se avete presente quell'attore strepitoso, mi pare abbia avuto una parte importante anche in "Magnolia".
Non un gran cerimoniale, per la verità.
Il Cartello meritava certamente di più.
Oltretutto, le camere non erano ancora pronte, malgrado fosse quasi l'una di pomeriggio, per cui i nostri eroi furono invitati a depositare i bagagli in un ripostiglio cieco, situato proprio dietro il bancone.
Avevano un paio d'ore prima di potersi dare una sciacquata, per cui decisero di incamminarsi per un primo sopralluogo in centro. Dopo neanche mezzora o poco più, si convinsero a vicenda per una sosta ristoratrice in un locale con i tavolino all'aperto sul viale che portava alla Cattedrale, dove gli vennero serviti dei piatti riscaldati e - della serie: possono capitare solo al Cartello - delle pessime birre annacquate.
Rientrati in tutta fretta all'Art Hotel, dovevano decidere la suddivisione delle camere.
Che, neanche a dirlo, non nacque da un confronto aperto e democratico.
Decise il Grosso, per farla breve.
Dal momento che girava notizia, in seguito confermata dall'interessato, che Easy Willy fosse di idee seppur moderatamente progressiste - eccheccazzo, ascolta Guccini - a Cj non sembrò riproponibile una classica ripartizione di matrice ideologica. Erano infatti maggioranza assoluta, in palese controtendenza con il resto del paese - ma è noto, gli italiani non capiscono un cazzo - anche se con Steve non si sa mai dove si va a parare: alla fine lui è sempre un franco tiratore, uno di cui non ti puoi mai fidare, un tipo alla Mastella o alla Dini, se non avete ancora inteso.
E allora non restò che confermare lo schema, ormai consolidato, della Penzion di Berlino:
Stanza 414: Il grosso, il piccoletto, Cj e Paulette;
Stanza 404: Steve, Winnie, Beddolix e Willie, ovviamente in sostituzione del patetico uomo del Torrazzo.
Cazzo.
Ancora con quei due che russano come bastardi.
Bel colpo di culo.
Il corridoio del secondo piano era ancora fresco di vernice. Su alcuni quadrotti del controsoffitto in cartongesso erano state dipinte delle tristissime nuvole di colore azzurro.
Non si conoscevano i criteri secondo i quali l'Art si era accaparrato ben quattro stelle, e francamente a nessuno interessava saperlo, ma era un fatto incontestabile che di spazio non ce n'era da buttar via.
La camera, o camerata, era una slungarola - ndr: termine di derivazione dialettale coniato dalla Giulia - con i quattro letti disposti a batteria sul lato destro, mentre su quello sinistro era sistenata una piccola scrivania con sopra una tv di ultima generazione. Il frigobar era desolatamente vuoto. Sulla parete del bagno, l'armadio era composto da una sola anta: che abbondanza, per quattro persone. Fortuna che avevano un corredo da poveretti.
La disposizione degli arredi ricordò a Cj la casa milanese di Moscova, quella dove si era fermato nell'inverno del 1991 - o era il 1992? Non si ricordava bene... - con Beddolix e l'amico Zidda. Tornarono alla sua mente la turca fuori sul ballatoio, il lavello di graniglia dove ci si lavava il culo e anche si lavavano i piatti, e poi il pavimento del soggiorno, con quelle tavole di legno talmente imbarcate che quando ci si camminava sopra tintinnavano sinistri tutti i bicchieri dentro la credenza.
Anche il tanto decantato collegamento wireless, che doveva essere presente in tutte le stanze, si rivelò ben presto una cagata: senza password non andava un cazzo, questa era la scomoda verità, scomoda per il Grosso si intende. A noi non ne poteva calare di meno. Il Grosso aveva quindi ripiegato sulla sua chiavetta Vodafone: giusto una mail di saluti a Liz (appena sbarcato sul territorio teutonico, aveva opportunamente manomesso il cellulare per non correre il rischio di essere disturbato) e una ricerca su Google degli indirizzi dello Starbucks in città. Proprio così, perchè Steve faceva la collezione dei mug - quei tazzoni da caffelatte - degli Starbucks delle varie città che visitava.
Cj non aveva mai capito fino in fondo i collezionisti, gli pareva una passione un pò malsana la loro, ma quella dei mug degli Starbucks gli sembrava una ficata. E sotto sotto invidiava anche gli orridi souvenir di Paulette, con i monumenti sotto la neve in quelle cupolette di plastica...
Una volta aveva conosciuto uno che collezionava ciabatte e pantofole: ecco, quel tipo sì, che gli sembrava decisamente patetico.
In prima superiore, invece, il suo nuovo compagno di banco - un biondo tutto riccio che veniva da Gropparello, e che aveva l'aria di saperla lunga - gli chiedeva spesso di tenergli via il biglietto dell'autobus anche se già timbrato.
- Faccio la collezione, - gli aveva detto per giustificare la sua bizzarra richiesta.
- Cazzo, se è messo male, - aveva pensato Cj.
Ma assai presto, durante una ricreazione, aveva scoperto che li usava per farsi le canne nei cessi della scuola. Erano perfetti per il filtro, gli aveva spiegato alla fine. Rigidi il giusto, ma anche arrotolabili senza grossa fatica.
Il viso di Cj si era fatto paonazzo per la vergogna: aveva fatto l'ennesima figura da sfigato.
Avrebbe voluto scavare una fossa nel pavimento del cesso e nascondercisi dentro.
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5 commenti:
GRANDISSIMO!!!!!!!!!!!!!!!!
Grandissimo un cazzo!
Non per essere pignoli, ma le stanze erano la 314 (aka "P greco") e la 303 (aka "la palindroma"). Se poi uno vuol scrivere numeri alla cazzo, va beh...
E poi, avrò anche il bel vizio di collezionare mug, ma pensaci...
crrr ptchu! sarà bel al tò! Cùlatòn!
Come le canti tu....
Licenza poetica... come cazzo fai a ricordartele?
puro autismo
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