Francisco de Asis probailmente non parla agli uccelli e agli altri animali del bosco, ma è un ragazzone alto quasi due metri, con un notevole giro di pancia, contenuto con difficoltà dall'elegante divisa in colore carta di zucchero.
Sorride, al nostro primo incontro.
Veramente sorride sempre.
Gli spiego dove vogliamo andare.
"Sanchinarro", gli dico indicando il punto esatto sulla mappa della città.
Lui inspiegabilmente inizia a innervosirsi.
"Puente de Vallecas", aggiungo spostandomi con l'indice un pò a sud, lungo la superstrada M-30, proprio a fianco del Manzanarre.
"Carabanchel", concludo chiudendo la mappa, e accompagnandomi con un gesto come a dire: però dopo.
Francisco scuote la testa.
Solleva i suoi grandi occhi scuri verso di me, e mi guarda strano.
Forse non conosce bene la zona, penso io.
Seguro?, mi chiede.
Seguro!, rispondo io.
Allora estrae dal cruscotto del suo Mercedes Vito uno stradario di Madrid aggiornato al 2009 e inizia a studiare l'itinerario, picchiettando nervosamente con le sue dita enormi sul cruscotto di plastica rigida.
C'è qualcosa che non va?, chiedo.
No, dice lui, sempre più perplesso. Il fatto è che di solito i turisti vogliono andare a vedere il Paseo del Prado, la Plaza Major, o il Paseo della Castellana, oppure il Santiago Bernabeu. Non certo Sanchinarro, cazzo.
Annuisco con il capo.
Allora gli spego che siamo una comitiva di architetti italiani, a Madrid per il fine settimana, e che vogliamo andare a vedere una serie di inteventi di housing sociale realizzati negli ultimi anni, di grande interesse per noi.
Lui annuisce, ma si vede che per lui è una roba un pò strana lo stesso.
Dopo aver allacciato le cinture di sicurezza, non senza fatica vista la mole, si immette un pò controvoglia sulla M-30.
Direzione sud.
Il traffico è scorrevole, d'altro canto è sabato, e a Madrid a quest'ora del mattino, mi spiega, ci sono in giro solo i preti e le puttane. E i ladri. Non per caso i madrileni sono soprannominati gatos: qualcuno dice che è perchè nel seicento i soldati si arrampicacvano con agilità sui muri, per molti invece è perchè non dormono la notte.
Francisco inserisce una cassetta nel mangianastri: flamenco, o roba simile.
Accenno una conversazione.
Allora il Real compra Kakà e Ibrahimovic?, gli chiedo.
Lui mi fa cenno che non lo sa, tutti e due sarà difficile.
Poi si gira verso di me e dice: io non tengo al Real, sono dei bastardi. Io sono dell'Atletico. Siamo la classe operiaia di Madrid, aggiunge con finta autocommiserazione. Si vede che è motivo di orgoglio.
A un certo punto ci strombazzano da dietro. E' un furgone, dalla carrozzeria scura, simile al nostro. Francisco lo lascia passare, e mentre siamo affiancati l'altro conducente ci saluta. Francisco lo guarda e se la ride.
Primi, mi dice Francisco.
Primi?, replico io.
Io e lui: primi!, insiste lui.
Primi che cosa?, chiedo. Cosa significa primi?
Poi mi viene in mente che potrebbe significare cugini e allora gli faccio segno che ho capito.
Francisco mi racconta che lui e suo cugino sono soci, anzi sono ben sette cugini ad essere soci nella loro ditta di trasporto privato con autista.
Ci avviciniamo a Carabanchel.
Una sfilza di enormi caseggiati anonimi in mezzo ai campi di sterpaglie bruciate dal sole.
Francisco mi dice che lui ci è nato, a Carabanchel. E' un bel posto, mi dice. Molto meglio di Sanchinarro, dove ci sono solo orrende case popolari.
E adesso dove vivi?, chiedo io.
Fuori Madrid. Quasi cinquanta chilometri piu' a nord. Tre anni fa ho comprato una villetta per me e per la mia famiglia. La città è un casino.
Nel frattempo la temperatura all'interno dell'abitacolo è scesa di colpo. L'aria condizionata è a manetta.
Francisco, porca puttana, hai della carne che si sta scongelando nel baule?, gli chiedo.
Cosa?, risponde incredulo.
Cazzo, c'è un freddo della madonna, gli dico io.
Francisco de Asis scoppia a ridere e spegne il condizionatore.
Verso le due decidiamo di fare uno spuntino veloce. Fermati là, dico a Francisco indicando un'osteria ai bordi della strada.
E' una tipica tabierna madrilena.
Sulle pareti di azulejos campeggiano le foto di vecchi toreri, di ballerine di flamenco e la formazione dell'Atletico.
Dietro al banco una giovane donna con il seno prosperoso e i modi un pò rudi ci chiede cosa vogliamo. Scegliamo un misto di tapas, c'è un sacco di roba fritta sotto le vetrinette ai bordi del bancone, ma non si capisce bene cos'è. Inutile cercare di fare una cernita.
Il ventilatore sul soffitto cigola in modo sinistro, ma è comunque un sollievo dalla calura.
Gli altri avventori del locale sono dei tipi assai curiosi.
C'è un signore azzimato con uno stuzzicadente in bocca, che ci fissa insistentemente da quando abbiamo fatto il nostro ingresso nella tabierna.
Ci sono due muratori che bevono in silenzio la loro cerveza gelata.
Infine c'è un capannello di vecchi. Urlano e ridono. Francisco è lì in mezzo che si divora un bocadillo con la salsiccia piccante. Mi fa segno di avvicinarmi, e allora mi faccio largo tra le cartacce e la segatura sparsa sul pavimento, qui c'è ancora l'abitudine di gettare tutto in terra, cicchi di sigarette e svariati resti di cibo. Mi offrono un bicchiere di vino rojo.
Stanno leggendo El Pais.
Mi indicano un articolo intitolato: "Il riposo dell'imperatore". Sotto c'è una grande foto di Berlusconi, a fianco del re Juan Carlos, mentre dorme durante l'ultima finale di champions a Roma. Io allargo le braccia, quasi a scusarmi, quasi a voler dire: cosa volete che vi dica. Loro se la ridono sempre di piu'. Il piu' anziano del gruppo chiosa con un gesto inequivocabile, a significare: so anch'io che è stanco, è sempre dietro a scopare delle troie...
(El Pais pubblicherà qualche giorno dopo anche le famose foto di Villa Certosa, quelle del barzotto di Topolanek: quando vuol dire la stampa libera)
Fuori dalla tabierna c'è un'afa asfissiante.
Mentre saliamo sul furgone incrocio lo sguardo di Francisco. Bella, questa tabierna, gli faccio.
Ah, si, risponde lui non senza imbarazzo. Autentico.
Molto bello, confermo io.
No bello, mi corregge. Autentico.