domenica 21 settembre 2008

40+40=80

Scatta il conto alla rovescia per la grande festa dei 40 anni di Cj e Paulette, il 3 ottobre prossimo al Bellavita di via Chiapponi, alla quale tutti i lettori del blog sono già da ora ovviamente invitati.
Al prestigioso live-act degli 80 Special di Peggy spetterà il compito di scatenarsi nella dance eighties (Imagination, Village People, Gloria Gaynor, Donna Summer, Falco, Alphaville, ecc), senza trascurare il trash puro.

Il successivo set con Dj Looka e Don Franco, invece, riproporrà tutto il meglio del rock del decennio, ovviamente sempre sul versante più orecchiabile e danzereccio.
Non è mio volere, qui, condizionare troppo i due Dj, che ovviamente avranno carta bianca, ma mi permetto lo stesso di proporre una mia personalissima, assai incompleta, track-list:

Begin the begine - R.E.M.; In between days - Cure; Enjoy the silence - Depeche Mode; Should I stay or should I go? - Clash; Hand in glove - Smiths; Shout - Tears for fears; Such a shame - Talk Talk; Don't you want me - Human League; Blue Monday - New Order; This is not a love song - P.I.L.; Glittering prize - Simple Minds; Hungry like the wolf - Duran Duran; Sunday bloody sunday - U2; Fiesta - Pogues; Fisherman's blues - Waterboys; Smalltown boy - Bronski Beat; Everything's exploding - Flaming Lips; Sweet child o'mine - Guns n Roses; Once in a lifetime - Talking Heads; Tom violence - Sonic Youth; Bombast - Fall; Kiss off - Violent Femmes; Bastards of young - Replacements; New England - Billy Bragg; Nightporter - Japan; Ashes to ashes - David Bowie; Owner of a lonely heart - Yes; You shook me all night long - ACDC; I.G.Y. - Donald Fagen; Shock the monkey - Peter Gabriel; Debaser - Pixies; Big mouth - Fugazi; Dead grammas on a train - Thin white rope; The mercy seat - Nick Cave; These important years - Husker du; Ulakanakulot - Virgin prunes; Kerosene - Big black; I wanna be adored - Stone Roses; Just like honey - Jesus & Mary Chain; Next to nothing - Died pretty; Bring the noise - Public Enemy; Underground - Tom Waits; Carry home - Gun Club; Mexican radio - Wall of Woodoo; Perfect - The The; Strange - Galaxie 500.

e non può certo mancare:
Non si esce vivi dagli anni Ottanta - Afterhours

Postate qui sotto la vostra lista, e anche i vostri eventuali suggerimenti per il look da esibire alla festa, che esige un abbigliamento rigorosamente "in tema".

Eccovi un'anteprima degli 80 special:



Nel frattempo, divertitevi qui a fianco con il mitico frogger, e votate il sondaggio sul più strepitoso videogame che la storia ricordi, in puro stile anni '80...

mercoledì 17 settembre 2008

Carta moschicida


L'appuntamento è per stamattina, ore nove, presso un casolare fatisciente della bassa, che trovo in fondo a uno stradello polveroso proprio ai margini di un torrente pieno di melma e canne di bambù.
Mi avvicino al portone della stalla, che sembra abbandonata, poi trovo la piccola abitazione, anch'essa deserta.
Un cane mi abbaia da dietro un cancello.
Del proprietario nessuna traccia. A dire il vero, già immaginavo che non venisse, molti fanno così. Vengo per una perizia per conto di una banca e, anche se non mi intendo per nulla di mutui subprime e quelle robe lì, non deve essere una bella storia.
Leggi: il nostro eroe deve aver combinato un qualche casino.

Penso: sono bene accetto come l'esattore delle tasse, come lo Sceriffo di Nottingham.
Altro che fare il creativo...
Direbbe Palahniuk: è la merda con cui mi pago da vivere.

Dopo aver atteso inutilmente una ventina di minuti, sto per abbandonare la mia posizione. All'improvviso, da una finestra del primo piano della casa lì accanto, vedo sporgere due braccia grassocce che appoggiano con cura due cuscini sul davanzale.
Chiamo e non mi sente nessuno.
Alzo la voce e si affaccia una signora di mezz'età, ancora in vestaglia, alla quale chiedo notizie sul nostro eroe.
Lei sulle prime non si sbilancia, ma poi assapora la possibilità di fare un pò di pettegolezzo e allora mi dice, aspetta, adesso scendo.
Mi apre la porta dopo pochi minuti, ed è ancora in vestaglia e con i capelli in disordine. Cammina aiutandosi con un bastone. Scusami, mi dice, mi sono alzata proprio adesso, cioè, ero sveglia da più di un'ora ma ero attaccata al computer. Computer?, chiedo. Ah sì, io appena mi sveglio mi butto sul computer e chiacchiero un pò con le mie amiche. Adesso stavo parlando con un'amica dalla Germania, poverina, ha fatto un'operazione per ridursi la pancia. Pensa, pesava più di 200 chili. Le hanno messo uno stomaco di un bambino di sei mesi. A una donna di cinquant'anni, pensa te. Adesso sta male, passa il giorno sul water. Non trattiene niente, non so se mi spiego, e accompagna le sue parole con gesti inequivocabili. Caspita, mi spiace, la interrompo io, più che altro perchè non voglio che scenda in particolari scabrosi. Anch'io devo perdere 25 chili, mi fa. Mi dicono tutti: ma dove ce li hai, questi 25 chili?, e invece è così. Io penso che i 25 chili ci sono tutti, nei rotoli faccidi che si intravvedono sotto la vestaglia, ma annuisco.

Rifiuto gentilmente un caffè, l'ho appena preso infatti, poi riesco a ottenere alcune informazioni sul nostro eroe, che a quanto pare ha ceduto tutti i suoi beni a un connazionale che smercia mercanzia varia in tutto il paese. Dovrebbe essere qui venerdì prossimo, se non erro, passa ogni tanto ma solo per stipare tutte le stanze con la sua paccottiglia, mi dice. Lascia sempre tutto in disordine, guarda là, mi dice indicando un cumulo di scatoloni di cartone accatatastati in un angolo del cortile. Abbiamo chiamato anche i vigili, ma niente. Qui è sempre un gran casino...
Provo a riportarla sul nostro eroe. Dove posso trovarlo?
Sa tutto Ben******, mi fa.
Ben******? E chi è?
Mio marito, mi risponde con tono sorpreso.
E' tutto così surreale.
Non so perchè, ma questa tipa è convinta che io debba sapere che Ben****** è suo marito.
Non so perchè, ma io certi personaggi li attraggo con estrema facilità, peggio di una carta moschicida.

Veramente è il mio ex-marito, si corregge con aria fintamente imbarazzata. Cioè, adesso vive a pochi metri da qui, in quella casa là in fondo con le persiane verdi. Andiamo d'accordo, pensa, viene a cena tutte le sere da me, da quando mi hanno dato l'invalidità permanente con l'accompagnamento obbligatorio... però, ognuno a casa sua.
Allora potrei parlare con suo marito, le faccio. Posso avere il suo numero?
Vado a prenderlo.
Mi abbandona nel suo soggiorno incustodito, mentre sale faticosamente le scale e scompare per una decina minuti o forse più, e io penso che sarebbe così facile raggirare la gente, ingenua e indifesa. Come questa signora simpatica e un pò svampita.
Quando torna mi dice: senti, perchè non vieni a vedere l'appartamento che ho ereditato da mia madre. Poveretta, è mancata solo giovedì scorso, ma con mia sorella ci sono già dei problemi per la divisione. Mi vuole fregare, quella strega lì. Sapessi quante me ne ha fatte passare... Eh, ma io la conosco. Stavolta non mi frega.
Ehm... io... forse... vedremo..., balbetto.
Le fai le stime?
Ma... sì, cioè, non è proprio il mio lavoro, ma se lei ha bisogno, dal momento che è stata così gentile..., rispondo io.
A domanda secca non so mentire.
Mi lasci il suo numero allora, mi dice estraendo dal cassetto una matita e un notes ingiallito.

Qualcosa mi dice che devo lasciarle un numero sbagliato.
Qualcosa mi dice che devo lasciarle un numero sbagliato e scappare di lì finchè sono in tempo.
E invece le lascio il mio numero, e mentre mi accommiato sulla soglia di casa le dico, mi chiami pure quando vuole.

sabato 13 settembre 2008

Incontro con l'eroe a Mantova

Dicono i critici che l'italia è diventato il paese dei Festival, anche se forse tutto ciò accade in ogni paese europeo, frutto forse di un bisogno culturale diffuso. Ce n'è per tutti i gusti: musica, mente, poesia, diritti, teologia, filosofia, architettura, letteratura, cinema muto, fantascenza... come direbbe Serra (anche lui a Mantova), manca solo il petomane. A quando il festival del peto?, la gara del rutto libero c'è già, si collegano sempre con Caterpillar.
In ogni caso, sabato scorso con Sandra decidiamo di andare a Mantova al festival della letteratura.
Collegandosi con il sito ufficiale della manifestazione, scopriamo subito la complessità della cosa. Solo sabato ci sono decine e decine di incontri, in varie location disseminate nel centro storico della città, con orari spesso coincidenti. Un'autentica emorragia di parole, davvero arduo orientarsi.
Con grande difficoltà, riusciamo a mettere insieme un programma interessante.
Prevede uno spettacolo per i più piccoli, la Parrella, giovane napoletana autrice di racconti per minimum fax, Mura che rievoca le grandi imprese del Tour de France, l'intervista di Lerner a Jonathan Safran Foer.
Provo a prenotare gli eventi, e ovviamente, è tutto SOLD-OUT, biglietti esauriti da settimane.
Lamadonna.
Dopo immane fatica, riesco ad acquistare cinque biglietti - con noi anche la famiglia Zavarov - per una rappresentazione teatrale sul tema delle canzoni di protesta folk nell'Aamerica della grande depressione. Che depressione, appunto.
Appoggiato a una transenna situata ai margini del cortile del Castello Ducale, sporgendomi un pò in avanti riesco comunque a origliare le prime battute dell'incontro con Foer.
L'incipit non mi entusiama.
Dice che qui è tutto bello.
Dice che Mantova gli ricorda New York, nel senso che Mantova sta all'Italia come New York sta all'America (che cos'avrà voluto dire, poi, forse intendeva la Mantova del XV sec. e la New York del XX sec., Leon Battista Alberti vs Frank Lloyd Wright, Mantegna vs Warhol).
Dice che lui è diverso, perchè lui è un giovane ebreo che vive da straniero a New York.
Dice che lui è diverso, perchè lui scrive per se' stesso, per propria soddisfazione, senza pensare al suo ipotetico pubblico.
Dice che lui è diverso, perchè lui è diverso e basta.

Leggo dalle cronache che dopo si è sciolto, ed è andato molto meglio.
Sarà, ma la delusione rimane. Forse è meglio non andarli ad ascoltare, sti scrittori. Accontentiamoci di leggerli.

Sentite come si presenta Foer nelle sue pagine:

Deve essersi accorto del cartello che tenevo perchè mi ha dato un pugno sulle spallen e detto: "Alex?" Io ho detto di sì. "Sei il mio interprete, vero?" Io gli ho chiesto di andare lento perchè non capivo. In verità stavo fabbricando tanta merda nelle mutande. (...) "Tu sei il mio interprete" ha ripetuto fabbricando gesti, "giusto?" "Esatto" ho detto io regalandogli la mano. "Io sono Alexander Perchov. Sono il tuo umile traduttore." "Non sarebbe carino picchiarti" ha detto. "Come?" gli ho detto io. "Ho detto" ha detto "che picchiarti non sarebbe carino." Ho riso. "Oh sì. Non sarebbe carino neanche picchiarti te. Ti scongiuro perdona la mia parlata. Non sono pregiato in inglese." "Jonathan Safran Foer" ha detto lui regalandomi la sua mano. "Come?" "Io sono Jonathan Safran Foer." "Jon-fen?" "Safran Foer" "Io ho il nome di Alex" ho detto. "Lo so" ha detto. "Qualcuno ti ha picchiato?" mi ha chiesto adocchiando il mio occhio destro. "E' stato carino per il Babbo picchiarmi" ho detto. Gli ho preso le valigie, e siamo andati fino alla macchina.
"Il treno ti ha accontentato?" gli ho chiesto. "Oddio" lui ha risposto. "Ventisei ore. Incredibile, la puttana." Questa ragazza di nome Incredibile, ho pensato, dev'essere molto laida. "Tu sei stato capace di Z Z Z Z Z?" ho chiesto. "Cosa?" "Sei riuscito a fabbricare le Z?" "Non capisco." "Requiem." "Che cosa?" "Hai fatto requiem?" "Oh, no" lui ha detto, "non ho fatto requiem neanche un pò." "Cosa'" "Io non... ho... riposato... per niente." "E le guardie del confine?" "Nessun problema" ha detto lui. "Ho sentito dire di loro tante cose, che mi avrebbero, sai, fatto vedere i sorci verdi. Invece sono entrate, hanno controllato il passaporto e non mi hanno dato noia." "Come?" "Avevo sentito che poteva essere un problema ma non è stato nessun problema." "Tu hai sentito parlare di loro?" "Sicuro. Avevo sentito dire che sono dei grossi stronzi malcagati." Grossi stronzi malcagati. Mi sono scritto questo nel cervello.


(J.S.F., Ogni cosa è illuminata, Guanda, 2002"

venerdì 12 settembre 2008

domenica 7 settembre 2008

TACCUINO DI PUGLIA, 01

13.08

La strada verso il Divertimento è quasi sgombra, a quest'ora della sera, per cui il viaggio verso sud procede senza intoppi. Niente esodo, e niente bollino rosso, almeno stavolta.
Cervia, Milano Marittima, Riccione, Rimini, sfilano via senza rimpianti.
Con il buio, il vuoto della grande pianura sembra fare meno tristezza.
La luna piena campeggia in un cielo color viola elettrico.
In mezzo al nulla, i tralicci dell'alta tensione brillano in modo sinistro.


Se vogliamo essere pignoli, qualche intoppo c'è.
Il lettore cd, un Blaukpunt piuttosto datato ma finora funzionale all'uopo, nel senso che aveva sempre fatto il suo dovere, stasera non va. Inserisco il disco, ma il bastardo, dopo aver rimuginato inutilmente una decina di secondi, me lo restituisce puntuale. Io riprovo, lui risputa. Ancora. Faccio un tentativo con la Winehouse. Niente da fare.
Non rimane che accendere la radio. Cristo. Non si riesce a trovare una stazione decente. Cerco di sintonizzarmi su Virgin, ma non c'è. Radio Capital è disturbata parecchio, ma non ho alternative. A parte Radio Maria, è chiaro. E' un classico. Puoi trovarti in qualunque parte del paese, nel deserto, sulle vette delle più alte montagne, in una grotta: stai pur certo che Radio Maria ti trova, con quelle voci cantilenanti, tetre e tristi, che solo a sentirle ti senti in colpa per tutti i tuoi peccati in pensieri, parole, opere e omissioni. E poi anche Subasio: questo invece è un dilemma, un incubo ci perseguita da anni. Di dove cazzo sarà mai questa stazione radio? Se volete sapere il mio parere, questi qui si informano sul nostro itinerario prima che noi partiamo, e poi ci inseguono spostando le loro postazioni...
E' un vero peccato, fortuna che ho l'iPod di riserva, per i lunghi tratti in autostrada mi tornerà utile.
Per il resto, sembra tutto ok.
L'Arca America è supercarico, i gavoni sotto i sedili sono stipatissimi di vettovaglie, cibarie e stoviglie, mentre gli sportelli in alto si chiudono a fatica per il vestiario da contenere, le biciclette sono sul retro, i libri, le mappe e le guide sono state accuratamente selezionate, non manca proprio nulla.
La sosta all'Autogrill - il più perfetto tra i nonluoghi nostrani - è inevitabile, quasi un rituale arcaico. Non puoi dire di essere veramente partito se prima non ti schiaffi nella pancia un Camogli o un Fattoria. O un panino con la cotoletta: il Gio se lo fa non appena entra in autogrill, a qualsiasi ora del giorno o della notte, deve essere un riflesso incondizionato. Segue tour forzato tra prosciutti al pepe nero e orrendi pupazzetti che intonano canzoni natalizie, anche in agosto, lì trovi sempre lì sugli scaffali, come un cattivo presagio, a me viene sempre in mente una di quelle freddure che giravano all'epoca delle Medie, quella sul tipo che faceva l'albero di Natale in giugno perchè aveva scoperto di essere malato.

(Ecco la mia personalissima classifica degli acquisti da Autogrill:
1. TUC
2. TOGO (per un certo periodo ho persino pensato li vendessero solo lì)
3. MADELEINES AL COCCO
4. CACCIATORINI BERETTA
5. GOMMOSE A FORMA DI SCARPA)

14.08

Dopo il riposo notturno, in un'area attrezzata nell'entroterra marchigiano, il mattino seguente siamo pronti a ripartire.
L'armonia del paesaggio collinare, punteggiato da filari di ulivi, piccole querce e alberi da frutta, è riposante e mette di buon umore.

giovedì 4 settembre 2008

Il caso Paolissimo

L'antefatto:
per festeggiare i 40 anni dell'esimio Prof. Catrame, e più in generale di tutta la classe 1968, è in fase di organizzazione una riedizione delle epiche sfide
REAL TRAPANA-DINAMO M.
Luogo Deputato: lo stadio Stefano Ver***, oppure il Comunale di Tuna (che non fa Comune...)
Giorno: 26 settembre 2008.

Il fatto:
La Real, nella persona del suo presidentissimo Andrea Ranc***, sta cercando di strappare all'acerrima rivale, che in questi giorni sta faticosamente cercando di risorgere dalle ceneri, alcuni uomini storicamente targati Dinamo.
Il caso più clamoroso è quello del piccoletto (che i due mister, ovvero i Menzi, hanno intenzione di schierare in attacco a far coppia con Big: i due si integrerebbero alla perfezione, sono una coppia alla Skuravy-Aguilera, anche in quanto a cattive frequentazioni...), ovvero un uomo che è sempre stato un pilastro della squadra, uno dei 5-6 dello zoccolo duro, insieme agli stessi Menzi, il Reggio, il Terenzio, ecc...
Altro caso eclatante: il Puccione, proprio il Puccione, l'uomo che C.J. ha schierato (tra gli strali dei compagni) per anni titolare nei vari tornei amatori, un centravanti dalle polveri bagnate che non ha mai segnato nemmeno con la matita: bella riconoscenza...
E poi la ciliegina sulla torta: Paolissimo. Nel suo caso, sarà decisiva la volontà del calciatore, la Dinamo non ha mai costretto nessuno a restare controvoglia.
Forse la Trapana adotta questi metodi.
Si profila un nuovo caso Robinho...

Per conoscenza, queste le patetiche motivazioni del presidentissimo Trapana, che si attacca anche (con poco stile) all'ultima vittoriosa battaglia:
"(...)esiste un editto presidenziale mai abrogato che recita: LA TRAPANA E' PER LA VITA. Qui non si vogliono volta gabbana! Chi decide di andarsene non vestira' piu' i leggendari colori bianco azzurri. Trovo altresì biasimevole il volersi accaparrare giuocatore che fu nemico e giustiziatore (con 1 gol mi pare - 8 furono di Capucciati) nell'ultima leggendaria sfida. Su Puccio mi pare che non abbia presenziato all'ultima disfida ne' tantomeno alle precedenti quindi e' soggetto da acquisire. Ritengo il ricorso alle buste il piu' sensato. Mi riservo pero' di ascoltare in merito le indicazioni del Mister Peggy che ci legge per conoscenza riguardo all'utilizzo tattico del giocatore e se ne ritiene indispensabile l'inserimento nella compagine. Nel caso contrario, essendo io gia' in possesso della firma del giocatore, mi riservero' di trattare uno scambio con gli acerrimi rivali."

La risposta della Dinamo non si fa attendere:


Contano i fatti.

lunedì 1 settembre 2008

(Non è il 4 luglio, ovvio, ma è il compleanno di Sandra.)

Bruce Springsteen
4TH OF JULY, ASBURY PARK (SANDY)
(From "The Wild, the Innocent, The E St...")
Note: Transcribed from the book "Springsteen Complete"

INTRO: C F C F
Sandy the fireworks are hailin' over Little Eden tonight
C F C
Forcin' a light into all thode stoned-out faces left stranded on this warm July
Am Gsus
Down in town the circuit's full wit switchblade lovers so fast so shiny so sharp
C F C
As the wizards play down on Pinball Way on the boardwalk way past dark
Am Gsus
And the boys from the casino dance with their shirts open like Latin lovers on
F G C
the shore
Am
Chasin' all them silly New York girls
Gsus G F/G G7
Sandy the aurora is risin' behind us, the pier lights our carnival life forever
F C F C F/G G G7 F C F C F
Love me tonight for I may never see you again, hey Sandy girl
F C F C G Dm7 G7 C
Now the greasers they tramp the streets or get busted for trying to sleep on
the beach all night
Them boys in their spiked high heels ah Sandy their skins are so white
And me I just got tired of hangin' in them dusty arcades bangin' them pleasure
machines
Chasin' the factory girls underneath the boardwalk where they promise to unsnap
their jeans
And you know that tilt-a-whirl down on the south beach drag
I got on it last night and my shirt got caught
And that Joey kept me spinnin' I didn't think I'd ever get off
Oh Sandy the aurora is risin' behind us
The pier lights our carnival life on the water
Runnin' down the beach at night with my boss's daughter
Well he ain't my boss no more Sandy
Sandy the angels have lost their desire for us
I spoke to `em just last night and they said they won't set themselves on fire
for us anymore
Every summer when the weather gets hot they ride that road down from heaven on
their Harleys they come and they go
And you can see `em dressed like stars in all the cheap little seashore bars
parked making love with their babies out on the Kokomo
Well the cops finally busted Madame Marie for tellin' fortunes better than they
do
This boardwalk life for me is through
You know you ought to quit this scene too
Sandy the aurora's rising behind us, the pier lights our carnival life forever
Oh love me tonight and I promise I'll love you forever
Dm7 G7 F
CHORD FORMATIONS:
C x 3 2 0 1 0
F x 0 3 2 1 1
Am 0 0 2 2 1 0
Gsus 3 x 0 0 1 3
G 3 2 0 0 0 3
F/G 3 x 3 2 1 1
G7 3 2 0 0 0 1
Dm7 x 0 0 2 1 1

sabato 30 agosto 2008

+ 8

yes, we can

venerdì 29 agosto 2008

Alla fine, la rana resta al suo posto.
Non è poco.
Il presidente provinciale Luis Durnwalder aveva chiesto la rimozione dell’opera dell'artista Martin Kippenberger, collocata prorprio all’ingresso del nuovo Museion di Bolzano: “Si tratta di un’offesa”, lasciando anche intendere che l’artista era in realtà completamente pazzo: “Si tratta di un grande artista il cui vissuto è stato però caratterizzato da forti tensioni interiori e in questo caso sembra che egli abbia passato il segno”.
Il presidente del consiglio regionale Franz Pahl aveva addirittura minacciato lo sciopero della fame.
L’assessore provinciale alla cultura Sabrina Kasslatter Mur ha invocato: “Toglietela, ci offende, non siamo a New York“, tanto per far comprendere dove bisogna spostarsi perchè l’arte abbia la libertà d’espressione.
Giuseppe Betori, segretario della Conferenza episcopale, aveva detto: “Siamo rammaricati per la fine del dialogo tra mondo dell’arte e mondo religioso”.
Il vescovo Wilhelm Egger afferma: “I sentimenti religiosi hanno il diritto di essere rispettati. La rana crocifissa esposta al nuovissimo Museion d’arte moderna ha stupito tanti visitatori del Museion e li ha feriti nei loro sentimenti religiosi. Una mostra di opere simili non aiuta alla pace tra le culture e le religioni”.
Il presidente di An Alessandro Urzì ha parlato di “atti blasfemi da parte degli autori”.
Dal canto suo Il Giornale, come sempre distinguendosi con l’analisi più approfondita, chiede provocatoriamente perchè, come al solito, si sfotte la religione cattolica e non quella islamica: a fare le spese della loro creatività (degli artisti) è sempre Gesù Cristo.

martedì 12 agosto 2008

Waitin' south

Il blog di CJ chiude per ferie sino a fine mese.
Finalmente si parte, direzione sud, terra di Puglia.
Ormai diversi anni fa, abbiamo già visto quei luoghi carichi di storia, rimanendone folgorati. Abbiamo ammirato lo splendore abbagliante della luce sulle pietre color miele del barocco leccese, gli straordinari mosaici della cattedrale di Otranto, il mare celeste della Baia di Gallipoli, il mistero ottagonale di Castel del Monte, i sassi di tufo biancastro di Gravina e anche della vicina Matera, lo spettacolo della Cattedrale di Trani illuminata dal sole che tramonta sull'acqua, i buffi trulli di Alberobello e i vigneti della vicina Locorotondo, i paesi dell'interno salentino disseminati tra oliveti secolari e masserie ancora da ristrutturare, se ce ne sono ancora in giro, i paesi sempre in festa per la Madonna d'Agosto, con le strade invase da fettuccine colorate e da statue colossali.
Stavolta cercheremo di coprire le lacune del nostro primo viaggio, per cui lavoreremo di fioretto, per restare in tema con le Olimpiadi.

A proposito di Olimpiadi. Una polemichetta sterile, e politically uncorrect. Sono mesi che le tv di tutto il mondo ci mostrano le proteste - sacrosante, per carità, come tutte le volte si parla di diritti negati, lo ripeto: sacrosante - per la miope repressione cinese in Tibet. Di fronte a questi simpatici monaci, stretti nelle loro raffinatissime tuniche di raso arancio, si sono stracciati le vesti un pò tutti i leader dell'Occidente, salvo stringere rapporti economici sempre più stretti con quella che ormai è una delle più grandi potenze mondiali. Qualcuno non è andato alla cerimonia di inaugurazione di Pechino. Scelta rispettabile. Resta il fatto che, pochi giorni dopo, l'amico Putin ha bombardato l'Ossezia, in territorio georgiano, soffiando sul fuoco di quella che è una guerra, che ha già provocato migliaia di vittime: non sembra che la cosa abbia suscitato quel gran clamore. Evidentemente, gli Osseti non hanno quell'appeal mediatico dei monaci tibetani, che pubblicizzano persino - in compagnia di Richard Gere - la nuova Lancia Delta...

Tornando al sud, andremo dunque in tutti quei posti che l'altra volta fummo costretti a saltare: la bianca Ostuni, senza dubbio, poi la Puglia Imperiale (Barletta? Minervino?), la cattedrale di Bitonto, il Lago di Lesina, le saline di Margherita di Savoia, Martina Franca, forse Manduria per comprare il primitivo, e poi il paesaggio arido e desolato delle Murge.
E il mare, bellissimo, la costa adriatica (prima il Gragano, zona Peschici, e poi i Laghi Alimini) e quella ionica (Porto Selvaggio, Punta Prosciutto, le Maldive, Torre Mozza).
E infine la festa popolare della Notte della Taranta, con il gran finale il 23 a Melpignano (http://www.lanottedellataranta.it/concertone.php), nel mezzo della Grecia Salentina. Anche Stewart Copeland è passato di qui...

Vivremo insomma tutte le emozioni che solo la terra del sud è capace di regalare.

Il Sud, purtroppo, è anche Gomorra.
Siamo andati a vederlo anche noi, con Sandra. Era in programmazione al Cinema all'aperto, nella rassegna "Proiezioni Urbane: il Muro" promossa dall'Ordine degli Architetti con l'Arci. Penso che Garrone abbia fatto un gran lavoro, se ne è già parlato tanto, la mia voce di certo non aggiunge nulla. Ma non era facile mettere in scena il fortunatissimo romanzo, strutturato com'è in episodi spesso slegati tra loro. Le cose che non mi hanno convinto sono l'improvvisa redenzione dell'aiutante di Servillo, una via d'uscita che se non rammento male tra le pagine di Saviano non si trova, e l'incipit "a la videoclip", con un regolamento di conti in un wellness center della periferia napoletana, una (inutile) concessione facile allo spettacolo più truculento.
Memorabile, invece, la scena apocalittica di Ciro e del suo amico che imitano Scarface scaricando interi caricatori di un Kalashnikov nell'acqua, per poi dare fuoco a una piccola imbarcazione di legno ormeggiata a riva.
Qui:



Si è fatto tardi, è tempo di caricare le biciclette e le ultime cose sul camper. Libri, questi: con Sandra abbiamo scelto cose leggere, da Hornby a Soriano, l'ultimo Brizzi, e i best seller del momento, "L'eleganza del riccio" e "La solitudine dei numeri primi".
E l'immancabile "Gambero Rozzo", la guida alle trattorie e alle osterie più tipiche e tradizionali, anche se a dire al vero sarà meglio non esagerare con orecchiette e Negroamaro. Il gran premio delle sagre dell'estate travese ha lasciato infatti un'eredità pesante, la bilancia non mente. Quest'estate, il solito pienone in valle: peccato solo per la Festa della Birra, che CJ ha dovuto saltare per via della sua trasferta di studio spagnola... in ogni caso, quest'anno Sandra si è disimpegnata con classe tra piadine e nutella.
In assoluto, si parte con poche certezze, comunque, e una di queste è la conferma di Balotelli a 30 crediti.
Un saluto a tutti gli amici del blog, allora, dando appuntamento per il sondaggio di fine estate sul blog di Balckbado, quello sul Piace di tutti i tempi (anticipazioni: CJ voterà tra gli altri Stroppa, Carannante, Turrini e Signori) e segnalando una funzione aggiunta di recente (in basso nella colonna di destra), ovvero il Clustrmap, un indicatore visivo dei luoghi al mondo dai quali qualcuno si è collegato (in un arco di tempo sconosciuto...) almeno una volta con il blog.
Ci sono New York (Steve?), l'Andalusia (qui dovrebbe essere Gigiconti che doveva verificare la disfatta di Lupin III...) e persino la Thainlandia. O Kuala Lampur, non sono riuscito a individuare con certezza.: chi cazzo sarà, poi...
Divertente.

domenica 10 agosto 2008

Per un blog ci vuole una buona dose di autoironia, c'è sempre il rischio di prendersi troppo sul serio.

Nel presentare il suo, di blog, Richard Thompson - geniale autore di Cul de Sac, una divertentissima strip ambientata in un'anonima cittadina del middle America - scrive:
"la blogosfera, una comunità virtuale di web logs interconnessi, ha annunciato oggi l'aggiunta del suo ennemiliardesimo membro quando la Signorina Myrna Hummel ha lanciato il suo blog, "I PENSIERI A CASACCIO DI MYRNA".
Il primo post, "FORSE QUESTO PREPARATO PER FRITTELLE E' VECCHIO", è stato rapidamente linkato da oltre 5 milioni di blog e si adatta perfettamente al non dichiarato mandato della blogosfera:
* la diffusione di aneddoti e osservazioni privi di senso;
* l'espressione di opinioni mal informate;
* la circolazione di foto di gatti.
In effetti, il bloggare gatti è motivo di preoccupazione. I bloggers sono così in sovrannumero rispetto ai gatti che c'è una forte penuria di gatti non bloggati."
(http://richardspooralmanac.blogspot.com)

Di gatti a Fiorano non se ne vedono più, proprio adesso che sarebbero stati così utili con tutte queste pantegane.
Però c'è Oscar.
Il blog di CJ potrebbe, allora, occuparsi di Oscar.
Ieri, io e Agnese l'abbiamo portato a fare il bagno in Trebbia. Siamo andati su una spiaggetta di sassi bianchi vicina alla confluenza del Dorba, sotto la rocca di Caverzago. Avreste dovuto vedere com'era contento. E anche Agnese lo era.
Cazzo, il vecchio Oscar sono già otto anni che sta con noi.
Una presenza sempre più silenziosa, a tratti impalpabile, discreta: ormai si agita solo se c'è in giro una spiedata...
Ma ne ha combinate di tutti i colori, in questi anni. Dagli incontri ravvicinati con il rottweil dei napoletani del villone qui sopra, alle due ferite che ha inferto al golden del barbiere. Persino il bastardino di mio cugino, circa un anno fa, se n'è tornato a casa con un bel buco in un orecchio. L'aveva sigato tutta la sera, però, mi disse Sandra.
L'episodio più memorabile rimane quando, saranno stati tre o quattro anni fa, la nostra vicina Linda lo trovò alle sei del mattino appeso a una ringhiera insanguinata, nei pressi del ponte di Statto. Aveva un'asta di metallo infilata nello scroto, lo stronzo, tanto che le operazioni per liberarlo durarono diversi minuti, alla Linda toccò sguainarlo a mani nude. Il veterinario dovette somministrargli parecchie dosi di anestetico per riuscire a curarlo a dovere. Poveraccio, era là, piegato sul lettino, con la sigaretta in bocca e la barba poco curata - l'avevo tirato giù dal letto alle sei e mezzo - impassibile nel suo lavoro di cucitura. E' stato fortunato, mi disse. La spranga si è infilata proprio tra i due testicoli. Poteva andargli molto peggio. Cazzi suoi, pensai. Questa volta, fuor di metafora. Alla fine delle operazioni, che durarono tre ore o poco più, il tipo mi chiese 70 euro, Iva compresa. Io ne avrei chieste 700, risposi io, ringraziandolo.

Mezzo labrador, mezzo pastore maremmano, Oscar è proprio un bell'incrocio.
Così almeno ha sentenziato l'esperto del canile, quando siamo andati a prelevarlo, anche se il suo pelo folto e gonfio a noi ricorda più i canidi da slitta, tipo samoyedo. Ero andato ai primi di ottobre là, l'anno era il 2000, per regalare un cane a Gio Jr. Non ne avevo mai potuto tenerlo uno, in città. Mia madre diceva sempre che lo vietava il regolamento di condominio. Allora perchè i signori del terzo piano tengono Jack, un fottuto cocker che scivola sempre con le sue zampone sulle scale appena lucidate dalla Nanda? Perchè Jack è vecchio, rispondeva lei. Cos'avrà mai voluto dire, non lo so.
Tornando al canile, successe che dopo aver visitato decine e decine di gabbioni di ferro zincato accompagnato dall'incessante guaire dei poveri reclusi, ancora non ne avevo trovato uno che mi sfarfallasse. Erano tutti dei bastardini piccoli e tozzi, spelacchiati e dallo sguardo triste. Stavo già male al solo pensiero di ritirarmi dalle mie intenzioni, dopo essere entrato nel recinto principale con tronfie dichiarazioni circa il mio volerne adottare uno. Avrei deluso le aspettative dell'assistente, una tipa che amava i cani più degli uomini, parole sue. Allora le domandai come mai non ci fossero cani di grossa taglia. Perchè non me lo hai detto prima, mi fece lei, quelli lì non li vuole mai nessuno, sono troppo impegnativi. Così, appena entrai nel reparto dei bestioni, fu Oscar che scelse me, aggrappandosi furiosamente alla rete, cercando di leccarmi una mano per dimostrarmi tutto l'affetto che avrebbe saputo, e voluto, donarci.

giovedì 7 agosto 2008

QUASI COME KEROUAC, 04

(July 24th, 1994) - SECONDA PARTE

La strada taglia il Sonoran Desert in due porzioni uguali.
Attraversiamo questa landa arida e desolata con tantissimo entusiasmo e voglia di stupirci. Siamo gasati. La radio è a manetta. Sono le due del pomeriggio, e la temperatura sfiora i quaranta.
I laghi di Cadiz e Danby, incastonati tra le Iron e le Calumet Mountains, sono quasi un miraggio, un'oasi, dopo tante miglia di nulla e poi nulla. Oltrepassato il Granite Pass, incontriamo per la prima volta il fiume Colorado, che diventerà nostro fedele compagno di viaggio nei prossimi giorni. Il grande fiume costituirà, per lunghi tratti nel futuro del nostro viaggio, il confine tra gli stati della California e dell'Arizona, il Grand Canyon State.
Sulla Statale n. 62 non ci sono segni di vita, o quasi. Incontriamo una casa, o meglio la sua cassetta della posta (sempre collocata sulla strada principale, mentre le case a volte sono in fondo a lunghi viottoli polverosi), solo ogni morte di Papa.
La Camry viaggia a tutto gas. Ci avevano avvertiti che in California sono inflessibili contro gli eccessi di velocità. Se passi i limiti di un tot, ti portano dentro una notte, e la passi in cella, non ci sono di cazzi. Ma qui nel deserto, sembra impossibile incontrare una pattuglia. Dovrebbero scovarci con l'elicottero. Tipo Punto Zero. Tipo Kowalski. Ma per quale motivo dovrebbero seguirci con un elicottero, poi? Avranno dell'altro da fare, che seguire tre stronzi di turisti italiani su una fottuta Toyota a noleggio, pensiamo.

La lancetta del carburante crolla paurosamente. Succede tutto all'improvviso: dieci minuti prima segnava quasi un quarto di serbatoio.
Merda, siamo in riserva sparata.
Rallentiamo.
Big controlla la mappa. A dieci miglia da qui, nel buco del culo del mondo, è segnata una località chiamata Rice, proprio al bivio con una strada secondaria che corre verso sud, parallela alla ferrovia che porta al confine messicano.
Procediamo a bassa velocità, aiutati dal cruise control, un meccanismo per noi nuovo che non ti permette di superare un limite prefissato.
Merda.
Scorgiamo due case diroccate in lontananza, ai margini della statale.
Su una delle due costruzioni vi è ancora dipinta una scritta: WELCOME TO RICE. Poco più in là, un distributore abbandonato da anni. Nel piazzale c'è un auto con il cofano aperto, e il suo proprietario steso a terra a torso nudo, apparentemente addormentato.
Cazzo, faremo la sua fine, pensiamo.
Riprendiamo la marcia, e come per miracolo la lancetta risale un pò. Tra dieci miglia dovremmo essere a Grommet, così almeno dice la nostra carta. Non ci nascondiamo che ci sono discrete possibilità che Grommet possa essere come Rice, l'ennesimo villaggio fantasma in queste terre di frontiera. Avamposti dimenticati della mitica corsa all'oro che si scatenò nel secolo scorso.
Così è, infatti.
Anche a Grommet non c'è un cazzo di niente.
Adesso sì che siamo preoccupati. Qui in California chi rimane senza benzina si becca anche una pesante sanzione, oltre al fatto che su questa strada non passa un cazzo di nessuno e di telefoni neanche a parlarne...
Diciannove miglia più avanti la mappa segnala Vidal Junction, a poche miglia dal confine. Arriviamo lì con il motore che procede letteralmente a strappi, cercando di pescare le ultime gocce di nettare vitale dal serbatoio. Ancora tre o quattro miglia e non ce l'avremmo fatta. Facciamo il pieno in una stazione si servizio della Shell, e mentre ci godiamo lo scampato pericolo ci diciamo che non aspetteremo più di restare in riserva.

In Arizona il deserto è ancora più deserto.
Costeggiamo il Cactus Plain, una distesa infinita di saguari, il cactus più familiare nel paesaggio dell'Arizona meridionale. La strada statale n. 95 ci conduce a Quartzsite, dove imbocchiamo la Freeway n. 10 in direzione est verso Phoenix, la capitale.
Il sole è sempre alto all'orizzonte, e ci accompagna durante la nostra cavalcata attraverso il Ranegras Plain, le Big Horn Mountains, il Tonopah Desert. In realtà, il paesaggio è sempre uguale: rocce, sabbia rossa e cactus. E poi ancora rocce, sabbia rossa e cactus.
Qunado giungiamo a Phoenix, il sole sta tramontando e regala uno scenario assai spettacolare. La vista di questa magnifica cattedrale del deserto, questa selva di guglie e grattacieli illuminati dalla sua luce rossastra resterà indimenticabile. La freeway penetra nel superbo skyline metropolitano come nel ventre di un mostro, e offre una serie di vedute mozzafiato. Sostiamo all'Heritage Place per una rapida visita, ma il caldo è insopportabile.
Esausti, ci mettiamo in cerca di un posto decente dove passare la notte. Lo troviamo sulla strada in direzione est, verso Scottdale, un Motel pulito con una piccola piscina in cortile, dove ci immergiamo subito dopo esserci liberati dei bagagli. Il bagno notturno ci ritempra e offre un temporaneo sollievo alla terribile calura.
Usciamo per la cena a un orario assurdo. Verso le undici, prendiamo un tavolo al ristorante messicano lì a fianco. Il gestore, Tom, è un tipo robusto con due bei baffoni neri. Ci chiava più di cinquanta verdoni a cranio per dei tacos e delle tortillas col chili, ma rimane un tipo simpatico. Altri posti dove mangiare non ce ne sono. Cazzo doveva fare? Era chiaro che ci avrebbe chiavato.
La clientela del locale ci piace meno. Puttane attempate, facce rugose e vissute da giocatori d'azzardo e da magnaccia, bevitori di birra di mezza marca che alzano la voce, sempre in cerca di un pretesto per scatenare una rissa.
Non è il caso di restare a fare due chacchiere conviviali, pensiamo.
Sarà meglio se andiamo a controllare se c'è ancora tutto nella nostra stanza.

lunedì 4 agosto 2008


Viene spontaneo citare per l'ennesima volta un titolo di Cuore per commentare a dovere il risultato delle semifinali del mitico Grande Sondaggio dell'estate, che questa volta ha sfondato il muro dei 70 voti. Ancora una volta, infatti, alcuni sospetti movimenti di voti hanno rischiato di alterare il significato della consultazione.
Molto strani, a giudizio del Comitato dei Garanti, sono soprattutto i due ex aequo dei gironi 2 e 3...

Il sospetto è che qualcuno stia cercando di boicottare il blog di Country Joe.
Perchè inizia a dare fastidio.
E' come Poldo, cazzo.
Che fine ha fatto Poldo Sbaffini?
L'amico di Braccio di Ferro che non faceva altro che mangiarsi dei panini...

Ho fatto una ricerca su di lui sul web:
Incontriamo per la prima volta Poldo nel 1931 in occasione di un incontro di boxe tra Popeye ed il generale Bunzo. Poldo Sbaffini (o Sbafini) è lo sciatto e viscido arbitro del match. Viscidità che nel corso degli anni lo spinge a compiere i gesti più meschini pur di ottenere il suo scopo primario: un panino a sbafo.
Poldo fa della sua disoccupazione uno “status”. Il suo è uno stato di parassitismo che obbedisce all’innato istinto di sopravvivenza.
La catena di ristoro americana Wimpy, specializzata naturalmente in hamburger, prende appunto il “cognome” da questo goloso personaggio


Il Sistema lo disprezzava, non c'è alcun dubbio...

Qualcuno ha visto un cartoon di Popeye, ultimamente?
Io sì, diversi, con Agnese.
Ebbene, Poldo non c'è più.
L'hanno fatto fuori.
Evidentemente, era un personaggio scomodo...

Tant'è.

Ecco il verdetto:
Girone 1: WILLIE 52 (72%), Lupo de Lupis 15, Silvestro 3, Grisou 2;
Girone 2: LUPIN III e PELINE 31, Jeeg 6, Holly e Benij 3;
Girone 3: BARBAPAPA' e NICK CARTER 32, Flinstones 5, Winnie 1;
Girone 4: CAPITAN HARLOCK 36, Wackie Races 24, South Park, Futurama 2, Spot The Pingeon 1.

Pronti per la finalissima?

lunedì 28 luglio 2008

Uomini e topi

Siamo nel bel mezzo di un'invasione di topi. E non solo topi. Diciamo di roditori.

Sono apparsi prima da mia madre.
Di notte li sentiva zampettare su nel sottotetto e non riusciva a prendere sonno.
La cosa più giusta da fare era quella di dare una bella ripulita alla mansarda, dove per anni la vecchia ha accumulato una serie impressionante di oggetti inutili e spesso fatiscenti. Ha sempre avuto quel trip, la vecchia. Non si butta via niente, dice. Non si sa mai. Penso si tratti di un'antico retaggio che ha origine nei tempi grami di guerra, quando era stata sfollata con la sua famiglia dalla casa di via del Pavone: alla sera, ci racconta spesso, le davano da mangiare una fetta di pane dopo averla sfregata un pò su un pezzo di coppa (la coppa niente, però).
Lo sgombero si rivela un'operazione complicata. Prima di tutto, il sole di luglio picchia duro sulle tegole in cemento, e sotto il tetto fa un caldo insopportabile. E poi, ci sono escrementi di topo un pò dappertutto. a Paulette e al Sardo tocca persino spostare un vecchio materasso fatto a pezzi dalle fastidiose bestioline, che nella soffice bambagia umida di urina ancora calda hanno eletto il loro fottuto nido. Brutta storia davvero. A turni, siamo costretti a prendere fiato in prossimità dell'unica finestrella verso nord. L'odore acre della decomposizione ci prende alla gola. La saliva diventa dolciastra.

Succede in una miriade di racconti o di romanzi di bassa lega: a un certo punto c'è un tipo che trova un baule nella soffitta del padre, o del nonno, o di un familiare qualsiasi, lo apre e vi trova dentro tutta una serie di fotografie e di documenti che danno il via ai ricordi del bel tempo che fu.
E siccome non vogliamo farcio mancare niente, ci tocca curiosare un pò.
La prima cosa che trovo è una valigia di acciaio con i documenti del Totocalcio, tra i quali i vecchi espositori e i tabelloni con i risultati. Poi mi imbatto in una busta dell'Alphaville con tutti i vinili di Guccini, quelli della Sandra, che sono anni che mi accusa di averglieli persi durante i lavori di ristrutturazione.
Infine c'è un vecchio ingranditore di fotografie che mi aveva regalato lo zio di Roma. Era un aggeggio un pò rudimentale, di fabbricazione russa. Non funzionava male, anche se in mezzo alle stampe si depositava sempre uno strano alone opaco, che in realtà non mi dispiaceva perchè conferiva alle fotografie un'aria austera da inizio secolo. Per qualche tempo mi sono divertito. Mi stufai per via delle delicate e interminabili fasi preparatorie della camera oscura: ottenevo il buio assoluto solo dopo aver sigillato con il nastro adesivo marrone, quello da pacco, tutte le tapparelle della mia stanza su via Abbadia.
Nelle vaschette tutte rosicchiate dai topi, così come i contenitori degli acidi per lo sviluppo, trovo qualche vecchia fotografia. C'è anche questo scatto praghese:


Ci sono io, c'è Paulette, c'è il Reggio, e c'è il Bonello.
Doveva essere l'ultimo dell'anno del 1991, se non ricordo male, con le date faccio sempre casino. Mi ricordo bene quella vacanza con il vecchio camper Briscola di Achille. Mi vengono in mente alcuni flash: il cambio al mercato nero, dove Paulette e il Reggio si fecero inculare con delle banconote polacche fuori corso in cambio di 200 dollaroni made in Usa, e il successivo tentativo di spacciare il denaro falso con un cartello sul camper che diceva "We sell polski money". Ci avvicinò un gruppo dal Belgio, avevano preso la stessa chiavata, ridevano come pazzi. Contenti loro. E poi mi ritornano nella memoria i cocci di vetro sulle strade dopo la grande festa, e "Losing my Religion", lo suonavano dappertutto quel pezzo, per le strade, sul Ponte Carlo, nei locali.

Ma torniamo ai topi.
Il nostro piano prevede una serie di trappole mortali e di esche disposte in ogni angolo dei locali del sottotetto. Sembra un campo minato. D'altro canto, il Sardo è o non è un cazzo di artificiere...
Nei giorni scorsi, non sono mancati consigli e suggerimenti. Il più suggestivo da parte dell'ex-guardia comunale, che mi indica un fantomatico prodotto, all'aroma di cioccolato, semplicemente irresistibile. Tale veleno, mi dice, produce un agghiacciante effetto matrioska, ovvero il primo topo ingoia l'esca e muore, il secondo arriva e cosa fa? Ma si mangia il cadavere del primo topo, è ovvio, perchè ancora profuma di cioccolato, e così via finchè l'ultimo dei topi superstiti si ingolla un supertopo morto costituito dalla somma di tutti gli altri. Come si chiama quel prodotto?, gli faccio. Lui mi ripete il nome. E' il migliore, aggiunge. Io mi appunto il nome su un foglietto, lo saluto, stammi bene gli dico, e poi butto il foglietto nella spazzatura.
Si sprecano anche gli aneddoti.
C'è chi ha trovato in cantina delle pantegane di trenta-quaranta centimetri. Roba da far impallidire la lepre alta mezzo metro che vide la Werza sul Tomarlo. O il fuoco alto trecento metri che il Tasso accese nel cortile di San Savino...
Un cantoniere mi racconta che quando era piccolo viveva alla Pieve, e un anno la casa era stata invasa dai topi. Il nonno consigliò a lui di prendere un porcellino d'India: li terrà lontani, gli aveva detto. Detto fatto, lui se ne fece comprare uno e lo mise giù in cantina. Dopo qualche giornò ne ritrovò la carcassa sotto alcune casse di legno, quei bastardi se l'erano divorato.
Niente male anche la storia che ci propinano Achille e Cristina. In un convento di suore sparivano, tutte le notti, dei grossi panini dai tavoli del refettorio. Allora si appostarono per capire cosa accadeva e davanti ai loro occhi si materializzò la seguente scena: arrivarono due topi, uno abbracciò con tutto il corpo un panino, l'altro gli prese la coda in una zampa e trascinò il pesante fardello - il primo topo più il panino - fino alla tana.
Bisognerebbe dire alle pinguine di smetterla con la roba pesante...

La notte seguente, io e Sandra ci svegliamo di soprassalto. Proprio sopra i nostri nasi, qualcuno si muove sotto le tegole, emettendo suoni striduli. Nel silenzio della notte, il rumore si amplifica sino a diventare insopportabile. Sembra che stiano rosicchiando il legname del tetto, oppure le lastre di isolante in poliuretano espanso. Cazzo, devono avere molta fame, gli stronzi.
La Sandra scende al piano terra e si mette a dormire sul divano.
Il mattino seguente mi rivolgo a una ditta specializzata in disinfestazioni. Non hanno tempo, mi dicono, c'è l'emergenza zanzara-tigre. Sarà un ghiro, aggiungono. Strana coincidenza, penso.
Sono già stati rinvenuti tre cadaveri di topo!
In ogni caso, per non sapere nè leggere nè scrivere, da vero gradasso deposito trentacinque euro di topicidi sotto le tegole.
Un'inutile dimostrazione di potenza.
Mi aiutano Slavisa e due suoi colleghi serbi. Quella mattina sono molto abbacchiati perchè hanno arrestato Radovan Karadzic. Porca puttana, mi spiace, commento io. Un uomo tutto d'un pezzo.

Il giorno dopo, recupero il corpicino stecchito di un ghiro nella zona del barbecue.

giovedì 24 luglio 2008

QUASI COME KEROUAC, 03

(July 24th, 1994) - PRIMA PARTE

Il fuso orario non perdona.
Alle quattro e mezzo siamo già in piedi, dopo esserci più volte girati e rigirati tra le lenzuola.
Non abbiamo nemmeno fame.
Quello che è certo, è che quel pazzo furioso dell'indiano tifoso di Baggio a quest'ora del mattino dorme della grossa, e l'ultima cosa che ha in testa è quella di svegliarsi per preparare il breakfast a noi tre sfigati. Fortuna che abbiamo pagato in anticipo, per cui possiamo silenziosamente andarcene da quello squallido motel, senza rendere conto a nessuno.
Dopo il problema alla Hertz con il cambio di auto, ieri era sorto un nuovo intoppo. Verso sera, avevamo telefonato alla KLM per confermare il volo di ritorno, ma ci avevano risposto che non esistevano prenotazioni per il 15 agosto a nostro nome.
Cazzo, non ne va bene una.
Che paese di merda, l'America.
L'unica era andare a verificare di persona. Allo sportello della compagnia di bandiera olandese del L.A. International Airport ci accoglie con un sorriso a trentadue denti uno steward di colore. Cioè, di colore: è un negrone coi controcazzi, sarà alto quasi due metri, un fisico da paura. Si mette male, toccherà dargli ragione su tutta la linea. In pochi istanti, l'energumeno verifica i dati del terminale, digitando rapidamente sulla tastiera, e alla fine alza il pollice verso di noi a segno di conferma:
- Ok, it's all right!
Che grande paese, l'America.
Il negro continua a sorridere, neanche fosse in uno spot di un nuovo dentifricio miracoloso. In modo assai galante ci consiglia di chiamare la compagnia per un ulteriore conferma nelle 72 ore precedenti l'imbarco a Los Angeles, perchè non si sa mai.

Usciamo rincuorati dall'aeroporto. Adesso tutto è a posto, si può partire. L'America ci aspetta.
Ripercorriamo i nostri passi e imbocchiamo di nuovo la freeway verso nord, in direzione Malibù Beach. Proprio quì ha inizio il celebre Sunset Boulevard, ovvero il viale principale di Beverly Hills, che percorriamo a velocità ridotta. Siamo nel paradiso dorato dello star-system cinematografico. Abitano tutti quì, quei buffoni. Sulla collina, riusciamo a intravvedere la scritta:
H O L L Y W O O D.
Bella cagata.
Da quà sembra fatta con il cartone. Sembra uno di quei festoni che si attaccano alle pareti alle festicciole di compleanno dei bambini.
Il Sunset non è altro che una sfilata di ville favolose e di giardini lussureggianti, peraltro nascosti alla vista dei curiosi e dei passanti mediante cancellate e recinzioni altissime, alla cui sommità è stato posto del filo spinato. I controviali punteggiati da altissime palme sono deserti, c'è solo qualche fuoristrada assurdo parcheggiato sul marciapiede, dal momento che ancora non è ancora esplosa la mania dei SUV.
C'è un silenzio assordante. Gli unici rumori che riesci a percepire sono gli scatti a intermittenza degli impianti di irrigazione automatici. Anche i cani da guardia sono ancora nel dormiveglia, evidentemente.
In prossimità della Downtown, la classica selva di grattacieli in acciaio e vetri, accostiamo per fare finalmente colazione. Lo stomaco vuoto inizia a lamentarsi. In un locale triste, arredato come un brutto fast food di periferia, sorseggiamo un caffè in tazza grande, lungo come la fame, accompagnato da un donut fritto, ma fritto all'inverosimile. Sarà anche il cibo preferito da Homer Simpson, resta il fatto che il donut è merda aalo stato puro. Ancor più se ti tocca ingurgitarlo alle otto del mattino.

Ci muoviamo in direzione sud-ovest, sulla Harbour Freeway, poi sulla Artesia e infine sulla Riverside.
Quando, grazie a Dio o a chi ne fa le veci, abbandoniamo la sterminata regione urbana di Los Angeles, abbiamo già percorso quasi 140 miglia, ovvero 200 km e suffella.
La Statale n. 10 conduce a Palm Springs, noto luogo di villeggiatura mondano, e poi a Indian Wells, Indio Hills.
A un tiro di sputo dall'oceano, la terra è secca e arida.
La temperatura si alza improvvisamente.
La strada è deserta, l'unico pericolo è rappresentato dai brandelli di copertoni abbandonati quasi dappertutto.
Dall'asfalto si alza un calore vaporoso.
Il traffico è diretto verso sud, in direzione San Diego, Orange County e Messico, la mecca di orde di minorenni e non solo, che si dirigono là per abusare di alcol e trip vari.
Scolliniamo le Mecca Hills, punteggiate da centinaia di mulini a vento, e raggiungiamo il bivio per il Cottonwood Pass, che costituisce l'ingresso meridionale del Joshua Tree National Monument.
A mezzogiorno entriamo nel parco, reso celebre dal disco degli U2.
La Cholla Cactus Garden è una distesa sterminata di strani ciuffi pelosi, soprannonminati Teddy Bear Cholla.


Diventeremo degli esperti di cactus, nei prossimi giorni: sapremo distinguere il Cholla dall'Organ Pipe, un cespo basso e largo, oppure da un saguaro, sicuramente il nostro preferito, un bastone verticale con due o tre diramazioni laterali che si piegano verso l'alto con un angolo retto. Notiamo una curiosa somiglianza con i vecchi pali del telegrafo, che da queste parti si possono ancora trovare.


Il Mohaved Desert è uno scenario imponente e desolante.
La Hidden Valley è tuttavia il piatto forte: ammassi e cascate di rocce erose dal vento e dalla pioggia sino a donargli splendide forme arrotondate, quasi geometriche, disseminate su una landa desertica di sabbia giallo-brunastra. Tra le rocce, spuntano eleganti e fieri gli alberi di Joshua. Lo spettacolo è grandioso, da commuoversi. Scendo dalla Camry per scattare qualche fotografia - un tormentone che ci accompagnerà durante tutto il viaggio, n.d.r. - e appena appoggio i piedi sulla sabbia bollente mi ustiono a puntino.


Il villaggio di Joshua Tree è attraversato in tutta la sua lunghezza da un'assurda strada a sei corsie, costeggiata da due file di piccole casette in legno.
Il tutto è così sproporzionato da sembrare perfetto.
In una taverna tipo saloon, gestita da una simpatica famiglia di Japan, come li chiamano quì, sbraniamo letterlamente degli ottimi hamburger con brocche di te' freddo a volontà. Ci voleva proprio.
Sul soffitto, un enorme ventilatore ruota senza sosta, cigolando in modo sinistro.

(segue)

martedì 22 luglio 2008

QUASI COME KEROUAC, 02

Il parco dà ricetto a combinazioni davvero innovative di persone. Ancor più di Berkeley in generale, è una specie di laboratorio, e si ha l'impressione che questa area erbosa sia una specie di centro di tecniche sperimentali di creazione della gente, una sorta di capitale mondiale della coppia mista. Probabilmente metà delle coppie presenti è in qualche modo incrociata, perlopiù bianchi e neri ma anche asiatici e bianchi (nella versione meno comune di uomo asiatico-donna bianca), duetti bianco-latini, o asiatico-latini o nero-asiatici, con una spruzzata di lesbiche. Sembra di essere in un casting per la pubblicità di una banca - si prende uno di questo, due di quello, più una figura non tradizionale... "DAMMI GLI ANNI NOVANTA! DAMMI IL FUTURO!"
Incidentalmente, io e Toph, quanto a repertorio di battute, siamo nel bel mezzo di una fase sulla dubbia importanza delle razze. Non siamo sicuri di come sia cominciata, anche se di certo non a causa del maggiore e più responsabile di noi due, ma più o meno funziona così.
Io dico: Il tuo berretto puzza di piscia.
E lui: Dici così solo perchè sono negro.
Segue risata.
Questo schema funziona adattato a qualunque situazione, per esempio con la sessualità ("Mi stai dando noia solo perchè sono gay?") o con la religione ("E' perchè sono ebreo? E' per quello?"). Oh, ci divertiamo un mondo, o almeno io sì, anchè perchè lui sa a malapena quello che sta dicendo (NDR: Dave, ovvero l'io narrante, ha 22 anni, il fratellino Toph solo 8...). Ovviamente io sto bene attento che questi pezzi di bravura restino tra noi, e che ce li godiamo solo a casa, dato che tutta la vis comica andrebbe persa con i suoi compagni, i loro genitori, o ancora peggio, con la signora Richardson.
Dopo circa una mezz'ora di performance ad altissimo livello col frisbee, ci riposiamo nel bel mezzo della zona aquiloni, sull'erba, osservando le code che saltellano e si inarcano. Il Golden Gate è proprio davanti a noi, sembra minuscolo, leggero, fatto di plastica e di filo di ferro. La città, cioè la Città, cioè San Francisco, è ammassata e bianca e grigia a sinistra, la baia è piatta, blu, qua e là appena increspata, punteggiata da piume bianche di barche a vela e motoscafi con la loro striscia candida.
E all'improvviso mi viene un'idea: nuotare fino ad Alcatraz.

DAVE EGGERS, L'opera struggente di un formidabile genio, 2001

sabato 12 luglio 2008

QUASI COME KEROUAC, 01

(July 1994, 23rd)

All'ufficio della Hertz dell'aeroporto di Los Angeles sono mortificati. Hanno esaurito le auto "Midsize", poco più di una nostra utilitaria. Proprio la categoria che avevamo prenotato dall'Italia. Cazzo, pensiamo. Si parte bene. Adesso ci tocca scatenargli addosso i nostri avvocati... Ma poi tutto si risolve bene: allo stesso prezzo ci propongono una Toyota Camry, categoria superiore, una berlina dall'estetica francamente orribile ma con interni in pelle e radica, optional di lusso e ampio bagagliaio. E' un tremila di cilindrata, dovremo stare attenti a non schiacciare troppo l'acceleratore, anche se qui la benzina costa poco. Accettiamo, ci mancherebbe. Mentre mi avvicino al deposito delle auto, la osservo di nuovo. Dire che è orribile è davvero poco. In ogni caso meglio della Escort che ci aspettava.

Fatichiamo non poco per districarci nei labirinti del L.A. Airport International. Una volta fuori, imbocchiamo una freeway in direzione nord, verso le spiagge di Venice e Santa Monica.
Procediamo a velocità contenuta, anche per prendere confidenza con il cambio automatico.
Un intreccio inestricabile di strade sopraelevate a cinque o sei corsie che tengono unite una serie di sobborghi che si susseguono senza soluzione di continuità.
Più che una metropoli, Los Angeles è questo.
Attorno a noi è terra bruciata.
Oltre il guardrail, tra le sterpaglie spuntano baracche di lamiere ondulate, copertoni da camion, rottami vari.
Los Angeles è anche questo.
In poco meno di un'ora siamo a Venice. Sono le due del pomeriggio. Il sole picchia duro. In giro non c'è un'anima, ma purtroppo è sabato e quindi il lungomare è chiuso al traffico.
Ci dirigiamo dunque ancora più a nord, verso Santa Monica.
Ora il panorama è decisamente cambiato. Sfilano davanti a noi ville eleganti con i classici vialetti fioriti, palme lussureggianti, Harley Davidson e Cadillac lunghe oltre dieci metri, con i vetri scuri. Giubbotti di pelle nera e minigonne.

A Santa Monica ci mettiamo subito a cercare un posto dove passare la notte.
Il Best Western che ci ha suggerito l'impiegata dell'Ufficio Immigrazione - la tipa che si deve sorbire il famoso questionario con dichiarazioni come "Non ho mai violentato un bambino" oppure "Non sono un simpatizzante nazi" - ha tariffe piuttosto alte. Optiamo piuttosto per un motel in Lincoln Street, poco distante da lì. E' gestito da un tipo simpatico, probabilmente di origine indiana o pakistana, con un sorriso da spot pubblicitario. Ci racconta che ha tifato Italia nella recente Coppa del Mondo, giocata proprio qui negli States.
- Basio, Basio! Wonderful!
- Basio?
- Yes, Basio! Good player...
Ci vuole un pò di tempo per capire che sta parlando di Roberto Baggio, in fin dei conti siamo reduci da un volo transoceanico.
L'indiano è andato a vedere la finalissima al Rose Bowl di Pasadena, a poche miglia a nord di Los Angeles.
- Bad luck! - commenta così la sconfitta ai rigori degli azzurri.
- Yes, bad luck. - confermiamo noi. Anche se a dire il vero quell'Italia passerà alla storia solo per il culo di Sacchi...
La stanza è squallida. Gli unici arredi disposti sulla consueta moquette marrone scuro sono due reti a una piazza e mezzo, una tv a colori anni Settanta, una delle prime uscite sul mercato forse, un tavolino e due sedie. Che triste.
Con il passare dei giorni, però, ci dovremo abituare a questa povertà di standard.
I canali a disposizione trasmettono un poliziesco, il baseball e arti marziali. Spegniamo la tv e scendiamo in spiaggia.

Attraversiamo un quartiere di piccole case in legno, con piccoli patii esterni decorati con cactus e rampicanti colorati, tettoie in cannette di bambu' per tenere al riparo gigantesche auto dalla carrozzeria tirata a lucido. Se verso l'interno le architetture sono assai semplici, avvicinandoci all'oceano prende il sopravvento il postmodern: sul litorale costeggiato da due filari di palme da cocco è un trionfo di barocco italiano e di pagode cinesi, frontoni neoclassici e colonne scanalate.
La spiaggia è senza fine.
Per raggiungere la riva ci vuole un'infinità.
Il baywatch, la consueta torre di osservazione per il salvataggio, ostenta con orgoglio la bandiera a stelle e strisce. Da lì è possibile avere una bellissima veduta di insieme sull'Oceano Pacifico. Nessuno di noi l'aveva mai visto, sino ad allora.
Qui c'è spazio per tutti.
C'è chi fa footing con tute e top aderenti. Chi porta a passeggio il cane. Ci sono ragazzini neri e ispanici che compiono incredibili evoluzioni sui loro skate. Bambini con aquiloni coloratissimi. Qualcuno gioca col frisbee. Ragazze bellissime che sollevano pesi in palestre improvvisate sulla sabbia. Non mancano nemmeno i surfisti, muscolosi e statuari, con l'immancabile bandana e i lunghi capelli biondi sulle spalle: sono loro il vero simbolo della California.
Raggiungiamo un enorme molo di legno, popolato da una frotta di pescatori in paziente attesa. Ci avviciniamo per dare un'occhiata alle reticelle. Il loro bottino è assai magro. Eravamo curiosi di vedere quanto erano grandi persino i pesci. Tutto è più grande, qui. Ti sembra di essere in un plastico in scala 2:1. Ci si poteva aspettare tonni di tre-quattro metri.
Camminiamo sul bagnasciuga, accompagnati dal rumore della risacca delle onde. Immergiamo i piedi nell'oceano ma l'acqua è gelata. Di fare il bagno non se ne parla nemmeno. Mica abbiamo ammazzato qualcuno. Molto meglio sederci sotto un ombrellone di paglia e ordinare delle limonate ghiacciate con nachos messicani e salsa al chili piccante.
Stanchi ma felici, ci incamminiamo verso il motel: il jetlag comincia a farsi sentire.
Sono solo le nove della sera, ma già dormiamo tutti e tre.

venerdì 11 luglio 2008

Il lodo Al Bano


Mentre gli Italiani hanno già la testa alle vacanze, il nostro Governo continua a lavorare instancabilmente.
Queste le principali novità licenziate dal Consiglio dei ministri:

LODO AL BANO - Dopo il famigerato Lodo Alfano, ecco anche il Lodo Al Bano, che di fatto depenalizza l'ascolto e il download dei più grandi successi dell'artista di Cellino San Marco, da "La zappa picca pane pappa" a "Lu pulice", da "Un dì all'azzurro spazio" a "Nostalgia canaglia". Secondo gli osservatori stranieri, tale norma avrà un impatto devastante sulla psiche del già tormentato popolo italico.

LEGGE CARFAGNA - Basta con l'improvvisazione e l'iniquità nelle raccomandazioni alla Rai e sua galassia. Con le nuove norme vengono finalmente fissati dei paletti uguali per tutti. Rapporto orale: valletta. Rapporto completo: fiction in prima serata. Predisposizione al lavoro di gruppo: sottosegretario.

DECRETO SICUREZZA - Malgrado la nettà contrarietà di quei comunisti della Comunità Europea alla proposta di rilevare le impronte digitali ai piccoli Rom, il Ministro Maroni alza la posta. Allo scopo di limitare le scorribande furtive degli zingarelli nelle case degli Italiani, farà amputare a tutti loro il piede destro. Dura e sdegnata la replica dell'opposizione. Il sindaco di Firenze denuncia: così facendo riempirà di storpi le vie delle nostre bellissime città d'arte.

GRANDI OPERE - L'ormai mitico ponte sullo Stretto si farà, e l'appalto verrà gestito da una task-force di uomini sopra ogni sospetto: Dell'Utri, Cuffaro e Calogero Mannino. Presto cantierabile anche il viadotto che unirà Olbia al Porto di Piombino, ma la vera novità è il tunnel sotterraneo che dal cuore della Brianza porterà direttamente ai caveau delle banche svizzere e del Lichtestein. Un'opera indispensabile a detta di Tremonti, un esperto del settore.

SCUOLA - Il ministro Gelmini, dopo il successo del ritorno al grembiule in classe, ottiene anche la reintroduzione delle pene corporali. Inoltre, l'ora di educazione fisica verrà presto sostituita dalle tradizionali parate in divisa nei cortili delle scuole superiori.

ENERGIA - In Europa si punta sulle fonti rinnovabili, ma il Governo crede fortemente nel recupero del nucleare. Dopo alcuni mesi di prova nelle campagne del Molise e della Basilicata, dove non si sono registrati effetti collaterali degni di nota (con la sola eccezione di un paio di esemplari di angurie con orecchie, naso e organi genitali ritrovate in un campo presso Isernia), si procederà entro i prossimi cinque anni alla costruzione di dieci nuove centrali.

LEGGE SULL'ARCHITETTURA - Al bando i palazzoni freddi e privi d'anima progettati da architetti assassini nel secondo dopoguerra, d'ora in poi - proclama Bondi - sarà possibile edificare solo e unicamente case in stile neopalladiano con almeno dodici camere da letto e servizi quadrupli. Resta da definire se sarà anche obbligatorio far erigere al centro del giardino il mausoleo di famiglia. Il pittore Cascella è in fibrillazione.

giovedì 10 luglio 2008

EXPO 2008 DA' I NUMERI


3.600 milioni di ettari di terra prossimi alla desertificazione, ovvero il
29% del territorio dei paesi del Mediterraneo,
118 paesi interessati.

26.000 kmq è la dimensione del Lago Ciad nel 1960,
900 kmq è la sua dimensione nel 2006.

6.000 tonnellate di pesce pescate nell'anno 1980 a Sinù, Colombia,
1.700 tonnellate di pesce pescate nel 2006, ovvero
60.000 persone praticamente senza cibo.

5 litri di acqua è il consumo giornaliero pro-capite in Etiopia,
150 litri in Spagna,
600 litri in California.

25% della popolazione dell'Etiopia ha accesso ad acqua sana e pulita,
28% in Nicaragua,
46% ad Haiti.

71% indice di mortalità infantile ad Haiti.

33% della popolazione mondiale non dispone di acqua sufficiente.

1.100.000 persone dispongono solo di acqua inquinata.

500 tonnellate di oro estratte dalle miniere in Perù ogni giorno inquinano l'acqua per milioni di persone.

10 litri consumo giornaliero per pulizia casa nel mondo occidentale,
45 litri per la toilette,
60 litri per la doccia,
33 litri per il bagno,
18 litri per la cucina.

2.700 litri di acqua per produrre una Tshirt,
8.000 litri per un paio di scarpe di tela.

430 litri per produrre 1 kg di kiwi,
859 litri per le banane,
40 litri per una fetta di pane,
120 litri per un bicchiere di vino,
40 litri per 1 kg di acciaio,
5.906 litri per 1 kg di carne di maiale.

14% di risparmio di acqua mettendo in opera metodi di agricoltura alternativi.

60% della popolazione mondiale vive in Asia, e dispone del
36% delle riserve idriche totali;
8% in Europa, e dispone del
13%;
8% in America settentrionale, e dispone del
15%.
4.000 bambini sotto i cinque anni muoiono ogni giorno a causa di malattie (diarrea) provocate da acqua inquinata, ovvero uno ogni
3 secondi

1,2,3
1,2,3
1,2,3
.....

martedì 8 luglio 2008

ZARAGOZA EXPO 2008


Prima tappa dello splendido viaggio di aggiornamento organizzato da Piacenza 74 e da Viaggi di Architettura è stata Saragozza.
"Acqua e sviluppo sostenibile" è il tema che ha permesso alla città spagnola di aggiudicarsi la gara per ospitare l'EXPO 2008, l'esposizione internazionale che richiamerà più di 7 milioni di visitatori nella capitale d'Aragona.
L’area espositiva dell’Expo copre un territorio di 25 ettari, una vera propria "cittadella” immersa nel verde del Parque del Agua, a circa due chilometri dal centro cittadino e solo 700 metri dalla nuova stazione ferroviaria dell'alta velocità, alla quale è collegata da una cabinovia sopraelevata.
Servizi all'avanguardia, uno skyline futuribile e i nuovi collegamenti ferroviari super veloci l'hanno trasformata in un simbolo della nuova Spagna.
Le opere realizzate sono state ispirate al tema centrale dell'acqua e della sua importanza nell'ecosistema della città del futuro, con particolare attenzione alla lotta agli sprechi e al risparmio energetico. Gli architetti hanno cercato di indagare le sue molteplici sfaccettature presentando progetti di grande impatto.


La Torre dell'Acqua

Simbolo e cuore dell'evento è la "Torre dell'Acqua", edificio di cristallo alto 76metri e progettato da Enrique de Tersa, dal quale si può ammirare l'intero parco dell'Expo e le opere (ancora incomplete) di riqualificazione delle rive del fiume Ebro, caratterizzate da cascate per rafting, giardini botanici, canali di acque mosse e parchi sensoriali.


Il Ponte Padiglione di Zaha Hadid

Altro elemento fortemente caratterizzante è il Ponte Padiglione, che collega la stazione all'entrata principale della fiera, opera un pò di maniera di Zaha Hadid. Il ponte coperto, oltre a unire le due sponde dell'Ebro, funge da spazio espositivo (oltre 7000 mq) che si avviluppa lungo il consueto andamento a zig-zag (260 mt).


Il Centro Congressi

Sulla grande piazza di ingresso si affaccia il Centro Congressi, opera dei bravi architetti madrileni Nieto&Sobejano, e si apre la promenade principale, coperta da una tensostruttura e attraversata da una sequenza interminabile di passerelle sospese, che distribuisce la maggior parte degli spazi espositivi.



Due vedute del padiglione spagnolo

Dal punto di vista architettonico, il padiglione più interessante è certamente quello spagnolo, opera di Mangado. Una grande piastra trapezoidale è sorretta da un'autentica selva di colonne scanalate in laterizio, disposte a più file a interasse variabile. Esse raccolgono e conservano l’acqua a temperatura costante per poi nebulizzarla verso la zona bassa del portico, rinfrescando gli spazi. Lo specchio d'acqua solcato da alcune passerelle in tavole di legno enfatizza il rimando a un canneto di bambù.
Meno convincente è sembrato il padiglione della regione aragonese, ispirato alla tradizione artigiana locale dell'intreccio dei cesti; in questo caso il richiamo al tema dell'acqua appare peraltro del tutto inesistente.
Il primo in futuro ospiterà un'Università, il secondo la sede degli Uffici comunali.


Il padiglione dell'Aragona

Tre le firme italiane protagoniste: aMDL di Michele De Lucchi con la progettazione del padiglione italiano (assai deludente, per la verità), Italo Rota & Partners per la piazza tematica “Città d’acqua”, e lo studio carlorattiassociati con il Digital Water Pavilion.




Le luci e i colori di Zaragoza EXPO 2008

In attesa di Shanghai 2010, dove in un momento di euforia il mitico "Presidente" ha promesso di portarci, non rimane che ringraziare lui e il gruppo dirigente di Piacenza 74 per questa bella esperienza, oltre che ovviamente la simpatica Mikaela e i suoi Viaggi di Architettura.

NB: trovate questo post anche su immaginidiarchitettura.blogspot

lunedì 7 luglio 2008


Leggo i giornali dopo qualche giorno di assenza, ma il dibattito politico langue. Troppo forte è l'attesa di sapere se la ministra-velina si è fatta scopare o no dallo psiconano.
Surfando un pò, mi imbatto in questo divertente articolo di Franco Ricciardiello su Carmillaonline.com, intitolato "L'estetica di Superciuk".

Lo riporto qui sotto parzialmente , anche in onore del fumetto che più ho amato.

Ma prima una curiosità.
Se, presi dalla nostalgia per questo favoloso personaggio nato dalla fantasia del grande Max Bunker, andate su Google e digitate semplicemente la parola "Superciuk", usciranno per primi due links a Wikipedia: il primo è (correttamente) la voce riferita ad "Alan Ford", ma il secondo è la voce relativa al nostro amatissimo Sandrone Bondi (vedi post più sotto), dal quale potrete ricavare la seguente affermazione di Sgarbi: « Sandro Bondi? La prima volta che l'ho sentito parlare ho avuto uno shock. C'era una riunione di Forza Italia, e non era previsto l'arrivo di Berlusconi. E invece arriva Berlusconi, proprio mentre lui sta parlando. Bondi si ferma, lo guarda e gli dice: "Mi scusi, Presidente, se parlo in sua presenza..."[1] »

Il motivo di questo abbinamento si spiega con il quarto link, che è il blog di Beppe Grillo.

Ecco l'articolodi Carmilla:

(...) se dovessi scegliere un modello per rappresentare l’italiano di oggi — con la debita prevenzione intellettuale per la semplificazione — la prima figura che mi verrebbe in mente è Superciuk, l’antipatico anti-eroe del fumetto di Max Bunker, Alan Ford/Gruppo TNT, il Robin Hood alla rovescia che ruba ai poveri per donare ai ricchi. Anzi, persino questa è una semplificazione: Superciuk trafuga, per esempio, elettrodomestici acquistati a rate pluriennali da famiglie proletarie per regalarli a capitani d’industria che li sistemeranno nella villa al mare, dove magari soggiornano una volta all’anno per pochi giorni.
Nella migliore tradizione del fumetto d’avventure, Superciuk è un eroe mascherato: il suo vero nome pare sia Ezechiele Bluff, di mestiere operatore ecologico, un povero alcolizzato talmente indispettito dalla mancanza di civiltà degli abitanti delle degradate periferie, che insudiciano le strade procurandogli continuamente lavoro, da consacrare la propria vita a una rivincita indiscriminata contro i poveri. Compie le proprie imprese (o malefatte) con un travestimento straccione, coperto da un mantello scalcagnato e armato solo di un fiasco di vino ignobile. Come ogni supereroe che si rispetti, infatti, Superciuk ha un’arma segreta: la sua stomachevole superfiatata alcolica.
Dunque, nessuna scelta di campo dettata dalla coscienza di classe: anzi Superciuk è straccione tra gli straccioni. La sua rivolta ha un senso estetico: i poveri sono brutti, mentre quello dei ricchi è un mondo elegante, piacevole, il luogo del bello. Vi ricorda qualcosa?
Uno dei più lucidi osservatori della coscienza del nostro paese, lo scrittore e sceneggiatore cinematografico Ennio Flaiano (1910-1972), sintetizzò in un aforisma cinico e bellissimo un’amara verità morale: “Gli italiani corrono sempre in aiuto al vincitore.” Ecco la vera essenza di Superciuk: una rivolta contro il brutto, la povertà e il fallimento, a favore dell’eleganza, della ricchezza e del successo.
Sempre Flaiano scrisse che “Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la TV.” Eccoci qui finalmente nella nostra meravigliosa Terra dei Cachi, a vivere non solo al di sopra delle nostre possibilità, ma anche sopra le possibilità dei nostri vicini e dei nostri figli.
Eccoci finalmente nell’era di Superciuk.
Le sue velleità sovversive non sono politiche, ma estetiche: Superciuk si è lasciato alle spalle gli anni Settanta, l’odore sudato della classe operaia in catena di montaggio, l’immagine cafona dell’emigrazione interna, l’atmosfera triste degli anni di piombo.
Non vorrei che queste considerazioni sembrassero ispirate dall’amarezza per un panorama politico sempre più deprimente. In fondo, ci troviamo soltanto a uno stadio di un lungo percorso di trasformazione, che in Italia ha avuto inizio con il boom economico degli anni Cinquanta. Siamo uno dei pochi paesi al mondo in cui l’unità nazionale, politica e culturale, non è stata raggiunta al termine di un processo di rivoluzione sociale, ma grazie a una lingua comune semplificata per trasmettere sentimenti e concetti estremamente facili. Il paradiso ideale del Grande Fratello (quello di Orwell, non quello dei tangheri di Mediaset).
L’unità culturale in Italia è il frutto illusorio del livellamento linguistico ottenuto dalla televisione nazionale dagli esordi e fino agli anni Settanta, e dall’omologazione a modelli culturali americani dagli anni Ottanta in poi. L’inconscio di Superciuk è violentemente colonizzato dal piccolo schermo.
E adesso un fantasma si aggira per l’Italia; non è facile catturarne un fotogramma, però si può riconoscere perché ha il profilo sfumato dalla super fiatata alcolica.
Servile con i potenti e tracotante con i deboli, Superciuk è sempre pronto a baciare le mani ai boss. Già da piccolo, quando va ancora a scuola, Superciuk è rapido a schierarsi con i bulletti e a prendersela con i compagni meno “corazzati”: i timidi, i portatori di handicap, quelli che dimostrano una sensibilità particolare.
Mentre cresce, Superciuk impara a discriminare chi è diverso, specialmente se in condizioni di inferiorità: gli immigrati stranieri, i tossicomani, chiunque non dimostri un comportamento sessuale ortodosso. Al contrario, è un fervente ammiratore dei “furbi”: evasori fiscali, imboscati, mafiosi.
Superciuk accoglie con favore l’abolizione della tassa di successione, anche se quelli come lui non l’hanno mai pagata, mentre chi ha votato in Parlamento risparmia parecchie migliaia di euro. Festeggia l’abolizione dell’ICI, un notevole spostamento di risorse dai poveri ai ricchi dato che attualmente è pagata solo da 6 italiani su 10, i più abbienti. Va in visibilio per l’abolizione della tassa di circolazione sulle automobili, così risparmierà il bollo della sua scalcagnata utilitaria, mentre i suoi idoli ne risparmiano migliaia sulle numerose autovetture di famiglia.
Per reagire alle minacce contro la propria identità, causate dal crescente divario di reddito tra la minoranza privilegiata e la maggioranza in fase di impoverimento, Superciuk partecipa o applaude al terrore contro le fasce meno tutelate della nostra società, il sottoproletariato extracomunitario e i nomadi: in questo modo gli ultimi arrivati saranno sempre più sfruttati e meno garantiti, e continueranno a comprimere gli spazi dei diritti per la totalità dei lavoratori.
Povero Superciuk, questo è un mondo di complessità incomprensibile per lui. Ogni sua azione si ritorce contro i suoi interessi, e nemmeno se ne accorge. Grazie al boom degli anni Cinquanta e Sessanta finalmente poteva mettere da parte le preoccupazioni economiche fondamentali, e invece ecco che gli si prospettano sempre nuove necessità: la seconda automobile, il televisore al plasma, il cellulare di nuova generazione, le ferie nei santuari del turismo di consumo. Stretto tra il martello — una classe agiata di buona cultura, enormemente favorita da un’elusione e un’evasione fiscale record, — e l’incudine — una minoranza svantaggiata di disoccupati, immigrati clandestini e regolari, Superciuk è senza via d’uscita; il suo immaginario è colonizzato da Hollywood e da Mediaset, il suo status sociale definito dal livello dei suoi consumi. Non legge altro che giornali sportivi, non apre un libro in vita sua, spesso nemmeno durante gli anni di scuola. Vive nel culto di un mondo inesistente che i mezzi di comunicazione di massa hanno creato per lui: il calciatore strapagato & la velina, le trasmissioni televisive autoreferenziali che invece di occuparsi della società non parlano che di televisione, i giornalisti servili con i potenti, una fetta del mondo dello spettacolo trapiantata in Palamento, i reality televisivi che trasformano la mediocrità in standard di comportamento. Il qualunquismo, eterna trappola della democrazia, diventato programma di governo.
Povero Superciuk, Robin-Hood-alla-rovescia, credendo di interpretare un super-eroe individualista è diventato la massa di manovra dei poteri extranazionali nella rete del mercato globale.

sabato 5 luglio 2008

Diario de Espana

A Saragozza ho avuto un pò di problemi con la connessione wireless dell'albergo. Qui a Madrid, al celebre Silken Hotel di Puerta America, alla modica cifra di 9,00 euro/dia - che c.j., essendo gentile ospite di Pc74, ha opportunamente fatto mettere sul conto... - finalmente ho la possibilità di inviare a tutti gli amici un saluto.
Per inciso, quest'albergo è una figata pazzesca, un cinque stelle da quasi cinquecento euro a notte. Da fuori sembra un colorificio, con tutti quei teloni gialli, rossi e viola. L'impianto architettonico è opera di Jean Nouvel, ma lo stesso si può dire che è assai deludente, per di più proprio a fianco delle Torres Blancas, uno dei simboli dell'architettura moderna madrilena. Quello che fa impazzire è che ognuno dei 13 piani - oltre alla hall di ingresso al piano terra, di Pawson - è stato progettato da un architetto diverso, ovvero dai più grandi designer del mondo, dalle star del firmamento internazionale. Una fiera delle vanità. Un coacervo di stili diversi, dal minimal al decostruttivismo, dal postmodern all'high-tech. Io abito al secondo piano, opera del maestro inglese Norman Foster. Si sta bene, direi. Listoni di rovere, armadi scorrevoli in pelle bianca, testata del letto in cuoio color cioccolato. Le pareti divisorie del bagno sono curvilinee e intermanete realzizate con lastre di cristallo acidato. La doccia, in realtà, non si può chiudere ed è collocata a fianco dell'immenso letto, dove perlatro si potrebbe dormire in quattro. Io sto scrivendo appoggiato a una lastra di onice che funge anche da top per i due lavatoi ovali, anch'essi in camera. Solo il water è separato dalla stanza. Il bidet non c'è, si sa, gli inglesi...
Lorenzo è al decimo piano, da Arata Isozaki. Lui definisce la sua camera un catafalco. E' tutta nera, sembra un loculo mortuario. Gli ho proposto di mettere fuori sulla porta una fotografia e un qualche gambo di crisantemi. Il lenzuolo è nero. Le tende sono nere. La carta igienica è nera...
Il presidente è sul piano di Zaha Hadid. Le camere sono come cellule spaziali, tutte bianche, con pareti e soffitti curvilinei di plastica verniciata. Tutto puzza ancora un pò di nuovo. Anche gli arredi sono bianchi. Ti sembra di essere nel pub di Arancia Meccanica. Nel disimpegno del corridoio, dove chiunque può transitare, un enorme plasma proietta un film porno con scene assolutamente esplicite. Lo accusiamo di avere l'accesso alla scelta dei canali.
Poi ci sono Ron Arad, Chipperfield, Newson...

Caldo c'è caldo.
Trentacinque-trentasei gradi, più o meno.
Mentre a Saragozza, per via dell'escursione termica tipica delle zone desertiche, alla sera si alzava una piacevolissima brezza, qui non tira un filo di vento. Per dirla con le parole di Bergamin, "a Madrid non si sposta nemmeno un rapanello".
Con questo gruppo ci si diverte.
Sarà anche come ha detto Sandrone Bondi al Congresso di Torino della settimana scorsa, che gli architetti hanno rovinato l'Italia con le loro opere brutte, malate e senza spirito, ma almeno sono (mediamente) simpatici. Un pò pazzi, forse, ma qui c'è un sacco di tipi in gamba.
La prima sera a Madrid è filata via liscia.
Il bus ci ha mollato a Puerta del Sol, e dopo una visita alla sempre affascinante Plaza Mayor, dove Marcello ha tenuto banco con la sua sapienza urbanistica, ci siamo diretti verso Plaza de Santa Ana per tapear. Il locale prescelto, un pò fighetto per la verità, ha un'intera parete di lavagna. La cameriera è piuttosto malmostosa, e la cosa indispone i più, poi scopriamo che è italiana. Optiamo per un misto di tapas per tutti. Arrivano tortillas, chorizo, jamon serrano, queso mancheso, patatas bravas, ali di pollo fritte, sanguinacci vari, bruschette, salami e peperoni piccanti. Tutta roba che fa bene. Peccato per la sangria, sembra succo d'arancia. Ha persino uno strano retrogusto da medicinale.
Dopo cena ci dirigiamo verso Chueca e Malasana, i quartieri dove si svolge quello che è rimasto della movida degli anni '80. Io faccio da guida, questo ruolo mi toccherà fino a domenica, per cui spero che l'itinerario proposto non deluda nessuno.
Il presidente mi dice: - Giovanni, devi stupirci!
E direi che tutto va oltre ogni previsione.
E' in atto la prova generale del Gay Pride di domenica prossima, le strade di Chueca sono letteralmente prese d'assalto da una fiumana impressionante di persone. Fuori dai locali, dai mille locali, ci sono banchi che distribuiscono da bere. A spillare la birra, strani personaggi a torso nudo che danzano su palchetti improvvisati. C'è n'è uno con il pizzetto rosso e un percing che gli trapassa il naso. Da Calle de la Hortaleza sbuchiamo in una piazza dove, davanti a migliaia di ragazzi che ballano un'orrida discomusic anni '70, sul palco si agitano due gay pazzeschi. Uno è pelato, con una barba fluente e una pancia da far schifo, che enfatizza grazie a una strana cintura che gli stringe i capezzoli. Mentre balla, si tira dei pugni violentissimi sulla pancia. Strepitoso. Roba da Village People. Ma sul serio.
Se cercavate la follia di Madrid, eccola qua.
Accomodatevi.
Ci facciamo largo nella folla, tra cartacce e lattine di cerveza vuote.
C'è un rumore assordante.
Procediamo verso la Plaza del Due di Maggio, data importante per la sollevazione contro i francesi immmortalata da Goya. Non la raggiungeremo mai. Difficile farsi largo in questo muro di gente. In Calle del Pelayo ci sono dei travestiti alti quasi due metri che danzano e strillano sul cassone di un camion. Per fendere la folla, siamo costretti a spingere. Non si respira, c'è caldo e una terribile puzza di sudore.
Possiamo solo scappare e cercare un Taxi per il rientro. Lo troviamo sulla Gran Via.