Non credo ci siano molti dubbi sul fatto che il mondo occidentale si
affanni a rimodularsi, a tappare paurose falle sociali, a cercare
modelli che non siano già stati usurati o abiurati. Alcuni scrittori,
per vie dirette oppure per allegoriche scorciatoie, riescono a entrare
nell’occhio dei vari tifoni internazionali, senza dimenticarsi che lo
sbalordimento, o lo sbandamento, da tempesta riguarda l’intero pianeta.
In fondo i grandi flussi migratori si basano quasi sempre sull’illusione
che esistano da qualche parte le cosiddette isole felici. Un ancora
giovane architetto-narratore di Piacenza, Giovanni Battista Menzani, ha scombussolato il vecchio, e un po’ ingessato, canone narrativo, e ha scritto per LiberAria (vivace e attenta casa editrice di Bari) una serie di racconti (L’odore della plastica bruciata,
164 pagine, 12 euro) che scandagliano, fino a giungere al surreale, la
solitudine, la resa, il precoce invecchiamento dei singoli, oppure arene
sulle quali danzano macabri spettri di un futuro immaginato e che a
immaginarlo fa rabbrividire. Nel racconto intitolato A stomaco vuoto,
Menzani, sempre modulando una scrittura che è molto vicina alla
sceneggiatura, descrive una insegnante quarantenne, dai capelli
ingrigiti, che dorme (male) solo dopo aver ingurgitato pastiglie. Vive
in solitudine. Ricorda di aver stretto una tenera amicizia con un
collega, il quale, dopo una sua esitazione, si alzò dalla panchina
accampando una scusa lasciandola piangere, lì, per tutta la notte.
L’insegnante è ancora precaria, e i precari per l’assegnazione di una
cattedra devono entrare in uno stanzone a metà tra la bolgia e una
sala-Bingo. Le emozioni, sue e di tutti gli altri, non sono indirizzate
verso l’alto, semmai si attorcigliano attorno a un ennesimo rinvio senza
che per questo ci siano movimenti di nuvole gioiose all’orizzonte.
L’insegnante aspetta ore e ore, poi la chiamano e lei, inzuppata di
sudore, ha finalmente il suo posticino in periferia, tra alunni che
insultano e volgarizzano tutto, proprio tutto. Nel racconto Un brutto quarto d’ora
un ragazzo, pur laureato e con specializzazione, tira a campare facendo
l’intrattenitore alle feste organizzate per i bambini. Piccoli giochi,
sorprese poco apprezzate, fiacchi sguardi del pubblico (giovanissimi e
genitori: uniti da un malcelato disprezzo). Finché il protagonista, che
ha sempre detestato i compleanni, a cominciare dal suo che fissò nella
sua mente l’indifferenza del padre, si trova invischiato in una scena da
rapina. Scombussolamento generale, paura. Paura anche sua. Nessuno
l’aveva avvertito. È, ancora una volta, al margine di un mondo al
margine.
Il
racconto che chiude la racconta di Menzani, il cui titolo è lo stesso
della collezione di queste prose brevi e oggettivamente nevrotiche,
descrive una specie di stadio. Si vendono, all’entrata, cartoline che
ritraggono uomini e donne «nell’atto del morire». Padre, madre e due
figli entrano, e si dispongono su seggiole «su più file, ad assistere in
religioso silenzio. Nessun cenno di compassione». Un dubbio: ci sarà il
Ministro per la Vendetta del Popolo. Pare di no, si sussurra in giro.
Uno dopo l’altro salgono sul palco i colpevoli di reati. Svariati reati.
Alcuni efferati. «Mai visto un uomo morire» pensa uno dei figli, il cui
padre, che a casa ha abbattuto l’esitazione della moglie, è
eccitatissimo e convintissimo che quel circo della morte autorizzata sia
educativo, fortificante. Peccato che i suoi ragazzi, dopo la prima
morte in diretta, vadano nei bagni a vomitare. I sussulti finali dei
predestinati sono più o meno lunghi, a seconda di come resistono alle
scariche elettriche (anche 2000 volt). Il circo della giustizia sommaria
che assomiglia a un centro commerciale si riempie di puzza di plastica
bruciata. Un uomo dalla pelle scura si contorce, impiega tanto a tirare
le cuoia. Eppoi la sorpresa: si fa vedere il Ministro per la Vendetta
del Popolo, «accolto da un’ovazione». Ringrazia tutti, come si fa al
Festival di Sanremo. Ultima frase del suo intervento: «Ringrazio Dio».
Nessuno ha modo di contestare o riflettere sulle colpe. Si gridano vari
“Amen”. E basta. E quel ragazzo appena diciottenne chiamato a morire
bruciato che avrà mai fatto? L’organizzazione fornisce sempre una
spiegazione: «Non è proprio uno stinco di santo… è reo confesso di un
numero imprecisato di anziane signore benestanti». I bambini, uno dei
quali orina in piedi per il ribrezzo e il terrore, di quella futuribile
famiglia hanno dato segni di insofferenza. Così pensa il padre, che esce
dallo stadio scuro in volto: «Non ne posso più di voi due», sbraita.
«Siete proprio due bambini disobbedienti».
Pier Mario Fasanotti, da "Succede oggi", 17 dicembre 2013
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