mercoledì 18 dicembre 2013

DECLINO

Non credo ci siano molti dubbi sul fatto che il mondo occidentale si affanni a rimodularsi, a tappare paurose falle sociali, a cercare modelli che non siano già stati usurati o abiurati. Alcuni scrittori, per vie dirette oppure per allegoriche scorciatoie, riescono a entrare nell’occhio dei vari tifoni internazionali, senza dimenticarsi che lo sbalordimento, o lo sbandamento, da tempesta riguarda l’intero pianeta. In fondo i grandi flussi migratori si basano quasi sempre sull’illusione che esistano da qualche parte le cosiddette isole felici. Un ancora giovane architetto-narratore di Piacenza, Giovanni Battista Menzani, ha scombussolato il vecchio, e un po’ ingessato, canone narrativo, e ha scritto per LiberAria (vivace e attenta casa editrice di Bari) una serie di racconti (L’odore della plastica bruciata, 164 pagine, 12 euro) che scandagliano, fino a giungere al surreale, la solitudine, la resa, il precoce invecchiamento dei singoli, oppure arene sulle quali danzano macabri spettri di un futuro immaginato e che a immaginarlo fa rabbrividire. Nel racconto intitolato A stomaco vuoto, Menzani, sempre modulando una scrittura che è molto vicina alla sceneggiatura, descrive una insegnante quarantenne, dai capelli ingrigiti, che dorme (male) solo dopo aver ingurgitato pastiglie. Vive in solitudine. Ricorda di aver stretto una tenera amicizia con un collega, il quale, dopo una sua esitazione, si alzò dalla panchina accampando una scusa lasciandola piangere, lì, per tutta la notte. L’insegnante è ancora precaria, e i precari per l’assegnazione di una cattedra devono entrare in uno stanzone a metà tra la bolgia e una sala-Bingo. Le emozioni, sue e di tutti gli altri, non sono indirizzate verso l’alto, semmai si attorcigliano attorno a un ennesimo rinvio senza che per questo ci siano movimenti di nuvole gioiose all’orizzonte. L’insegnante aspetta ore e ore, poi la chiamano e lei, inzuppata di sudore, ha finalmente il suo posticino in periferia, tra alunni che insultano e volgarizzano tutto, proprio tutto. Nel racconto Un brutto quarto d’ora un ragazzo, pur laureato e con specializzazione, tira a campare facendo l’intrattenitore alle feste organizzate per i bambini. Piccoli giochi, sorprese poco apprezzate, fiacchi sguardi del pubblico (giovanissimi e genitori: uniti da un malcelato disprezzo). Finché il protagonista, che ha sempre detestato i compleanni, a cominciare dal suo che fissò nella sua mente l’indifferenza del padre, si trova invischiato in una scena da rapina. Scombussolamento generale, paura. Paura anche sua. Nessuno l’aveva avvertito. È, ancora una volta, al margine di un mondo al margine.
Il racconto che chiude la racconta di Menzani, il cui titolo è lo stesso della collezione di queste prose brevi e oggettivamente nevrotiche, descrive una specie di stadio. Si vendono, all’entrata, cartoline che ritraggono uomini e donne «nell’atto del morire». Padre, madre e due figli entrano, e si dispongono su seggiole «su più file, ad assistere in religioso silenzio. Nessun cenno di compassione». Un dubbio: ci sarà il Ministro per la Vendetta del Popolo. Pare di no, si sussurra in giro. Uno dopo l’altro salgono sul palco i colpevoli di reati. Svariati reati. Alcuni efferati. «Mai visto un uomo morire» pensa uno dei figli, il cui padre, che a casa ha abbattuto l’esitazione della moglie, è eccitatissimo e convintissimo che quel circo della morte autorizzata sia educativo, fortificante. Peccato che i suoi ragazzi, dopo la prima morte in diretta, vadano nei bagni a vomitare. I sussulti finali dei predestinati sono più o meno lunghi, a seconda di come resistono alle scariche elettriche (anche 2000 volt). Il circo della giustizia sommaria che assomiglia a un centro commerciale si riempie di puzza di plastica bruciata. Un uomo dalla pelle scura si contorce, impiega tanto a tirare le cuoia. Eppoi la sorpresa: si fa vedere il Ministro per la Vendetta del Popolo, «accolto da un’ovazione». Ringrazia tutti, come si fa al Festival di Sanremo. Ultima frase del suo intervento: «Ringrazio Dio». Nessuno ha modo di contestare o riflettere sulle colpe. Si gridano vari “Amen”. E basta. E quel ragazzo appena diciottenne chiamato a morire bruciato che avrà mai fatto? L’organizzazione fornisce sempre una spiegazione: «Non è proprio uno stinco di santo… è reo confesso di un numero imprecisato di anziane signore benestanti». I bambini, uno dei quali orina in piedi per il ribrezzo e il terrore, di quella futuribile famiglia hanno dato segni di insofferenza. Così pensa il padre, che esce dallo stadio scuro in volto: «Non ne posso più di voi due», sbraita. «Siete proprio due bambini disobbedienti».
Pier Mario Fasanotti, da "Succede oggi", 17 dicembre 2013

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