Il Monte Aserei, mt 1432 slm, sorge tra val Trebbia, val Nure e val
Perino. Nel Medioevo qui passava un tratto della via Francigena di
montagna, detta oggi Via degli Abati. Questo antico percorso univa
Bobbio a Pontremoli e alla via di Monte Bardone (oggi ricalcata dalla
strada della Cisa), ed era uno dei cammini utilizzati dai pellegrini che
dal nord si recavano verso Roma o la Terra Santa.
Scavi archeologici nei pressi della vetta del monte, lungo il
tratto che collega Mareto a Coli, hanno riportato alla luce un campo di
allenamento per pellegrini francigeni. Si tratta di una sorta di
palestra primitiva, suddivisa in varie aree nelle quali gli aspiranti
pellegrini potevano allenarsi in più discipline fisiche così da avviarsi
meglio preparati al faticoso viaggio.
Tra le strutture rintracciate vi sono:
1) una pista ellittica di circa 400 metri: si ritiene servisse per
la preparazione alla corsa giubilante in prossimità della meta, oppure
per le accelerazioni necessarie a sfuggire a briganti e malviventi
dislocati lungo il percorso;
2) una vasca, larga cinque metri e profonda tre, probabilmente utilizzata per l’allenamento al guado di fiumi a nuoto;
3) una vasca, larga due metri e profonda uno, con fondo melmoso e
scivoloso, utilizzata verosimilmente per l’allenamento al passaggio di
torrenti e canali;
4) un salone con grossi macigni. In origine si pensava che i massi,
del peso di alcune decine di chilogrammi, venissero sollevati dagli
aspiranti pellegrini per allenarsi al trasporto dei loro bagagli per le
migliaia di chilometri di cammino. Studi più recenti hanno dimostrato
che i pellegrini avevano ben misere masserizie, per cui si ritiene che
il sollevamento dei massi servisse invece come allenamento muscolare per
meglio reagire agli attacchi fisici (qualora non fosse stata
sufficiente l’accelerazione di cui al punto 1);
5) una pista di circa 10 km che si snoda intorno alla vetta
dell’Aserei. La forte compressione del terreno lungo questo tracciato
dimostra che il percorso veniva ripetuto decine di volte dall’aspirante
pellegrino, si ritiene quindi che fosse una sorta di tracciato da
maratona per preparare al lungo percorso quotidiano;
6) una parete lunga circa 50 metri, con 15 porte costruite in
diversi tipi di legno. La forte consunzione dei batacchi, ovvero (nelle
porte più semplici) del legno a circa 1,5 metri di altezza, ha fatto
ritenere che esse servissero per allenarsi a chiedere ospitalità. Le
diverse tipologie di usci fanno anzi pensare che il pellegrino dovesse
saper bussare a qualunque porta, vista l’alta probabilità di rifiuto
all’accoglienza.
Altre strutture non sono purtroppo più leggibili, essendo state
distrutte dal passaggio di moto e auto fuoristrada che hanno scavato
profondi solchi nel terreno fino a intaccare gli strati archeologici.
Pietro Chiappelloni, piacentino, ama la sua città sin da
quando, transitando in volo sulla Pianura Padana, dirottò la cicogna
proprio qui. Alcuni anni dopo, mise nero su bianco il suo interesse per
il turismo conseguendo il titolo di “Manager per lo sviluppo turistico
territoriale e per la valorizzazione dei Beni Culturali”. Grazie
all’ammirazione suscitata dalla lunghezza di questa e di altre
qualifiche, come quella di “Tecnico per il censimento e il recupero del
patrimonio architettonico rurale e montano”, può permettersi di scrivere
sia cose serie sia stupidaggini senza che i lettori capiscano se ciò
che stanno leggendo siano cose serie o stupidaggini. Se necessario può
comunque esibire anche altri titoli, che vanno dalla laurea in Economia e
Commercio alla qualifica di Ispettore del Club di Topolino.
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