martedì 24 dicembre 2013

IL COMPLEANNO DI EVA



E’ in libreria da settembre la nuova prova letteraria di Francesco Rago, giovane scrittore piacentino, in passato autore dei romanzi “La porta del mare” (0111 edizioni, 2009) e “Dolce come il piombo” (Montag, 2011), oltre a numerosi racconti sparsi in varie antologie.
Si intitola “Il compleanno di Eva” ed è edito da Parallelo45.

La festa che da il titolo al romanzo è quella di una giovane rampolla della Piacenza bene, che si svolge in una grande villa sul Bagnolo: i suoi diciotto anni diventano lo scenario per un finale pirotecnico, durante il quale si risolvono le storie parallele su cui si basa l’intreccio narrativo. E’ qui che si ritrovano, dopo oltre venti anni, i vari personaggi del romanzo.
Ci sono Matteo e Giovanni, due ragazzi assai diversi (“pesci d’acqua dolce e pesci d’acqua salata”) che si incontrano a metà degli anni Novanta sui banchi di scuola. Il primo, genialoide e introverso, è il classico nerd che non ci sa fare con le ragazze; il secondo, più scafato e temerario, è attratto dal talento artistico del primo e lo prende sotto la sua ala protettrice, diventando in breve tempo una sorta di guida spirituale. La storia della loro tenera amicizia, che deflagra irrimediabilmente durante un interrail in Spagna, è per chi scrive la parte più bella del romanzo: il tema dell'iniziazione alla vita e' trattato con garbo e sensibilità, le situazioni sono credibili e rimandano al nostro vissuto di quella generazione.
Ma Rago se la cava egregiamente anche con un tema più vischioso come il riscatto di una prostituta ungherese dal passato torbido (Vera), poco più che adolescente, da parte di un viscido gestore di locali notturni, Paride, dedito ai vizi e agli eccessi. A differenza di “Un amore” di Dino Buzzati, qui di amore e  di redenzione non c’è nulla, solo la volontà di soddisfare i desideri più lascivi da parte di Paride. Vera è costretta a seguirlo perché non ha nulla da perdere (“Non ci sarebbero più state occhiate bovine da dietro il vetro di un finestrino, e nemmeno più il contatto con quei copri tozzi e indelicati che emanavano odori bruschi e sgradevoli. Nessun inverno cinico a irrigidire i vasi sanguigni e a mordere la gola”): il suo vivere è solo un galleggiare mesto nel corso degli eventi, segnata com’è per sempre dal suo gesto estremo, compiuto in patria prima di una precipitosa fuga verso l’Italia chiusa in un baule di legno, ovvero l’accoltellamento del padre incestuoso.
La scrittura è precisa e gradevole, e il contesto della nostra città è tratteggiato con crudezza e senza sconti:
“Giovanni alzò il bavero della giacca per riparasi dal vento gelido. Con un calcio fece rotolare un sampietrino contro lo spigolo del marciapiede. Una signora anziana gli gettò addosso uno sguardo di profonda disapprovazione.
Lui se ne accorse ed esclamò con sprezzo: Questa città mi ha proprio rotto i coglioni!
Matteo strinse leggermente le spalle (…)
E’ noiosa e grama come ‘sto tempo di merda, continuò Giovanni accompagnando la frase con un gesto delle mani, come se stesse sostenendo un oggetto invisibile.”

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