La tipografia ha sede presso un elegante palazzo residenziale risalente
alla seconda metà del settecento, caratterizzato da una facciata
tripartita, un cornicione finemente lavorato con decorazioni floreali e
putti, e da una piccola edicola votiva sopra il portone principale.
L’ingresso alla tipografia, situato nel cortile oltre l’androne
caratterizzato da una bellissima scala di epoca barocca, dalle curve
sinuose, introduce in uno spazio dedicato all’esposizione di strumenti
utilizzati nelle tipografie dall’Ottocento a oggi: cliché, rulli
inchiostratori, la chiave per serraforma, il compositoio, la battitoia,
il mazzuolo, pinze, spago, il tipometro, piombi, e ancora arnesi come
cacciaviti e chiavi inglesi usati per la regolazione delle macchine da
stampa. Da qui si accede a uno scantinato in cui trova collocazione una
macchina da stampa offset-piana dotata di sbobinatore, calamaio, gruppo
di macinazione, rulli bagnatori, cilindro porta-caucciù, cilindro di
contropressione. La macchina, che può stampare a quattro colori, è nota
per avere l’esclusiva della stampa del “Libar dal Muron”, il celebre
testo che per i piacentini sta a indicare un tipo di formazione elargita
a studenti culturalmente poco dotati che invece si credono detentori di
un livello di istruzione elevato. Si tramanda il detto: “L’ha studiä al
libar dal Muron: pö la studiä, pö al dveinta cuiön”. In passato la
tipografia fu gestita da un unico tipografo di cui non è pervenuta
l’identità, così come del garzone che lo aiutava. I due si avvalevano di
un torchio in metallo, già evoluto rispetto agli esemplari di legno di
inizio Ottocento. Secondo la tradizione, lo scantinato era umido e pieno
di inchiostro, e questo creava una perenne coltre nera nel poco spazio a
disposizione. Il soffitto del locale era talmente basso che i due
uomini passavano tutto il giorno - e sovente anche la notte - chini sul
torchio. Questa tipografia si dedicava per lo più ad attività di
cancelleria e a pubblicazioni di documenti clericali. Fu all’incirca
intorno al 1890 che al tipografo in questione fu commissionata, da parte
di un facoltoso piacentino, la stampa di un libro che doveva costituire
la base per la formazione culturale del suo figliolo, futuro erede di
tutti i possedimenti. Il precettore del giovane era un tale Oliviero
Bosoni, maestro letterato e presunto scrittore, che aveva sentito
parlare dell’esistenza di un testo policulturale, una sorta di
enciclopedia, scritta da un certo Gaetano Moroni intorno alla metà del
1800, sulla scorta dell’esempio di Diderot oltralpe. Il Bosoni si affidò
alle dicerie dei colleghi insegnanti che decantavano le lodi di questo
testo, a parere loro completo di tutte le nozioni necessarie di
geografia, arte, bella scrittura, persino di cucina che nel nostro
territorio di certo non guastava. Alla tipografia furono ordinate dieci
copie che tramite il Bosoni finirono nelle biblioteche dei figli dei
signorotti locali, i quali non persero occasione di riconoscersi
titolari del massimo sapere nel piacentino. Dieci copie che costituivano
una rarità e suscitarono le invidie di chi ne venne a conoscenza troppo
tardi per poterne beneficiare. Luigi Illica, noto commediografo e
librettista, incuriosito dalla fama che il presunto testo enciclopedico
aveva sviluppato in città e persino in provincia, riuscì a procurarsene
una copia. Subito dalle prime pagine si rese conto che si trattava in
realtà di un “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica” con
qualche appendice su personaggi storici dell’epoca, ma lontano da quella
valenza culturale che il Bosoni gli voleva attribuire. Illica informò
gli intellettuali della sua cerchia del malinteso e ridimensionò dunque
la funzione pedagogico-intellettuale del testo, e descrivendone i reali
contenuti. In ogni caso la tipografia resta ancora oggi conosciuta come
la Tipografia dal Muron e i visitatori possono ammirare il funzionamento
della macchina da stampa offset, nonché commissionare una copia del
libro a soli 10 € se in bianco e nero, a 15 € se a colori.
Bibliografia: AA.VV. , “Libri celebri dell’Ottocento piacentino”, ed.
LiberoArbitrio, Milano Lambrate, 1998. G.Lolli: “Al Muron e i sò cuion,
storia e curiosità della cultura piacentina”, ed. FantasticiEditori,
Parma, 2002.
Manuela Merli nasce come assidua lettrice dai tempi delle medie, e
coltiva la passione della scrittura in gran segreto fino a quando
decide di iscriversi a un laboratorio di Gabriele Dadati. Nel 2011
partecipa alla Bottega di Narrazione, ideata dallo stesso Dadati e da
Giulio Mozzi. E’ laureata in Economia e commercio e lavora come
impiegata contabile presso la Groppalli srl. Ha vissuto a Sarmato, poi a
Piozzano e da qualche anno si è stabilita a Gragnano. Vive con Nicola
in un appartamento affacciato su una via percorsa da tutti gli amici a
quattro zampe del paese. Adora la provincia di Piacenza da cui non si
allontanerebbe mai per paura di perdere il profumo dei salumi, le balere
estive, le colline dolci e quella tipica chiusura dell’emiliano medio
che si sa far amare da tutti.
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