Terra di cerniera tra Emilia e Lombardia, tra le valli del
Piacentino l’alta val Tidone può vantare i pendii più dolci e riccamente
punteggiati di vigneti, boschi, antichi borghi, rocche, castelli e
casali ristrutturati. Si snoda attorno al fiume Tidone che dalle pendici
del Monte Penice (mt 1.460 slm) scende al Po tra i comuni di Pianello,
Nibbiano, Caminata e Pecorara. Quest’ultimo è il borgo più alto e qui
svettano i monti Pietra Corva (mt 1.078 slm) e Mosso (mt 1.008 slm).
Un tempo terra di mulini (tradizione recuperata grazie alla Strada dei Mulini), oggi la valle è nota per i suoi prelibati tartufi (celebrati da una rassegna che si tiene in ottobre a Pecorara), la sua tradizione enogastronomica e la sua tranquillità.
È in questi luoghi, tra le località Salenzo e Ca’ del Diavolo, in un’area fra Pecorara e Pianello, che nel 2001 un assessore regionale - poi processato per aggiotaggio, abigeato e concubinato - si incaponì a creare un progetto presentato come “la risposta concreta a un annoso problema”: un impianto di smaltimento dei fondi di prosciutto, salame, coppa e affettati vari che intasano gli scaffali dei supermercati emiliani. “Tranci di lardo, avanzi di mortadelle e bresaola, rimasugli di cotto e culatello parcheggiati per mesi sugli scaffali”, sottolineò in conferenza stampa l’assessore, “intasano il ciclo produttivo, rallentano l’economia territoriale, frenano il rilancio della filiera enogastronomica del Sistema paese. Toglieremo questo granello di sabbia dagli ingranaggi”.
Per indorare la pillola, l’impianto fu chiamato Centro Unico Lavorazione. Gli uffici stampa snocciolarono studi di geologi e di università che ne certificavano l’impatto zero. Nei rendering distribuiti ai media l’impianto era appena visibile, circondato da alberi e siepi, con uno stabilimento per il recupero delle confezioni costruito secondo i dettami della bioedilizia e una vasca di raccolta degli insaccati, il tutto su un’area di 28mila metri quadrati.
La risposta della società civile piacentina contro il maxi impianto fu immediata. La mobilitazione abbracciò un fronte che andava dai centri sociali ai Digiunatori per la Pace, dalla Confraternita dei Grass all’Associazione Amici del Vombato. Ben presto però il fronte “No CUL” si frantumò fra le istanze anarchico-global-insurrezionaliste dell’ala dei movimenti (“Uscire dalla gabbia del conformismo, generare percorsi di lotta e riproporre le istanze del territorio tramutandole in mobilitazione globale contro il profitto dei Poteri Forti. Con lo Stato borghese non si discute, lo si abbatte. NO al cimitero dei prosciutti”) e le rivendicazioni pragmatico-localiste dell’associazionismo di base (“I culi delle coppe dateli a noi”, scrissero i Grass al Prefetto). Fu incendiato qualche escavatore, lanciata qualche molotov ma poi calò il silenzio.
Un tempo terra di mulini (tradizione recuperata grazie alla Strada dei Mulini), oggi la valle è nota per i suoi prelibati tartufi (celebrati da una rassegna che si tiene in ottobre a Pecorara), la sua tradizione enogastronomica e la sua tranquillità.
È in questi luoghi, tra le località Salenzo e Ca’ del Diavolo, in un’area fra Pecorara e Pianello, che nel 2001 un assessore regionale - poi processato per aggiotaggio, abigeato e concubinato - si incaponì a creare un progetto presentato come “la risposta concreta a un annoso problema”: un impianto di smaltimento dei fondi di prosciutto, salame, coppa e affettati vari che intasano gli scaffali dei supermercati emiliani. “Tranci di lardo, avanzi di mortadelle e bresaola, rimasugli di cotto e culatello parcheggiati per mesi sugli scaffali”, sottolineò in conferenza stampa l’assessore, “intasano il ciclo produttivo, rallentano l’economia territoriale, frenano il rilancio della filiera enogastronomica del Sistema paese. Toglieremo questo granello di sabbia dagli ingranaggi”.
Per indorare la pillola, l’impianto fu chiamato Centro Unico Lavorazione. Gli uffici stampa snocciolarono studi di geologi e di università che ne certificavano l’impatto zero. Nei rendering distribuiti ai media l’impianto era appena visibile, circondato da alberi e siepi, con uno stabilimento per il recupero delle confezioni costruito secondo i dettami della bioedilizia e una vasca di raccolta degli insaccati, il tutto su un’area di 28mila metri quadrati.
La risposta della società civile piacentina contro il maxi impianto fu immediata. La mobilitazione abbracciò un fronte che andava dai centri sociali ai Digiunatori per la Pace, dalla Confraternita dei Grass all’Associazione Amici del Vombato. Ben presto però il fronte “No CUL” si frantumò fra le istanze anarchico-global-insurrezionaliste dell’ala dei movimenti (“Uscire dalla gabbia del conformismo, generare percorsi di lotta e riproporre le istanze del territorio tramutandole in mobilitazione globale contro il profitto dei Poteri Forti. Con lo Stato borghese non si discute, lo si abbatte. NO al cimitero dei prosciutti”) e le rivendicazioni pragmatico-localiste dell’associazionismo di base (“I culi delle coppe dateli a noi”, scrissero i Grass al Prefetto). Fu incendiato qualche escavatore, lanciata qualche molotov ma poi calò il silenzio.
Tre mesi dopo l’inaugurazione mezza giunta regionale fu arrestata e
il CUL messo sotto sequestro. Il tempo, i vandali e il sale degli
insaccati fecero il resto: i macchinari si arrugginirono, una frana
spaccò il vascone in due come una noce e nel capannone presero a farci
le gare di softair.
Fabrizio Tummolillo è nato a Milano e vive a Pecorara, sulle
amate colline piacentine della val Tidone, con la moglie e il gatto
Fennec*. Laureato in Scienze dell'Educazione all'Università di Bologna, è
giornalista professionista dal 2004 e redattore del quotidiano Il
Cittadino. Con l'attore e regista teatrale Giulio Cavali ha scritto
"Linate 8 ottobre 2001 - La strage", spettacolo-inchiesta sulla strage
di Linate, la cui prima si è tenuta nel 2006 nel Piccolo Teatro di
Milano, con repliche in numerose città d'Italia. Dallo spettacolo è
stato tratto un libro pubblicato da Edizioni XII. Con il cantautore
Riccardo Maffoni ha scritto la canzone “A saperlo prima”, dedicata alla
strage. Ha anche pubblicato una raccolta di racconti brevi intitolata
"Un'altra sera" (ed. Il Papiro/Altrastoria). Probiviro della
Confraternita dei Grass, convive con un’inestinguibile tendenza
all’obesità.
* Nessun collegamento con l’attrice, che peraltro di cognome fa
“Fenech”. Il fennec (vulpes zerda) è una piccola volpe che abita il
deserto del Nordafrica (coste escluse).
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