La Caminata di San Sisto è un antico complesso rurale sito in
aperta campagna nel comune di Gragnano Trebbiense. Nel medioevo era una
fattoria fortificata; il centro aziendale, con caratteristiche castrensi
ancora visibilissime, era circondato da un fossato alimentato dalle
acque del Trebbia.
Nel 1433 fu portata dal suo proprietario in dote al Monastero di
San Sisto. Vi risiedeva tutto l’anno un frate incaricato dal monastero
di controllare la coltivazione del fondo e curare gli interessi della
proprietà. Fu per due giorni (18 e 19 giugno 1799) il quartier generale
austro-russo durante la battaglia del Trebbia; vi risiedette in quei
giorni il generale Suvorov. Confiscata da Napoleone nel 1805 insieme a
tutto il patrimonio di San Sisto, restò di proprietà del demanio dello
Stato fino al 1864, quando il Regno d’Italia la privatizzò.
Nel novembre del 2012 un geometra, che faceva i rilievi necessari a
trasferire alcuni edifici antichi, fino a quella data considerati
rustici, dal catasto terreni al catasto fabbricati, attraverso le sue
misurazioni scoprì in uno di quegli edifici l’esistenza, ignota a tutti,
di un piccolo locale privo di accessi. Un pertugio praticato in uno dei
muri mostrò che il locale conteneva solo uno scartafaccio ingiallito.
La storia che lo scartafaccio racconta, se fosse vera, sarebbe di un certo interesse.
È noto che, all’inizio del Cinquecento, il Papa Giulio II incaricò
Raffaello, che stava lavorando per lui nelle Stanze Vaticane, di
dipingere un quadro per l’altar maggiore della nuova chiesa del
monastero di San Sisto a Piacenza. Ne risultò un grandissimo capolavoro,
uno dei quadri più belli dipinti dalla mano dell’uomo: la Madonna
Sistina. Essa fu inaugurata con la chiesa nel 1514. I padri di San Sisto
fecero fare nel corso dei due secoli successivi alcune copie del
dipinto, una delle quali risultò di qualità miracolosamente vicina a
quella del quadro di Raffaello; per sicurezza e per pigrizia, questa
copia fu utilizzata per periodi sempre più lunghi al posto
dell’originale, che era invece spesso chiuso nel suo nascondiglio
segreto. Pochissimi anche tra i padri sapevano dell’esistenza della
copia, che divenne sostanzialmente un segreto che si trasmettevano gli
abati e i loro segretari. A chi si recava a Piacenza per vedere la
Madonna Sistina veniva mostrata con probabilità molto alta la copia, che
però era quasi bella quanto l’originale. Capitò così anche all’abate
Bianconi, che nel 1752-53 negoziò con il monastero l’acquisto del
dipinto per conto dell’Elettore di Sassonia, e al pittore-restauratore
Carlo Giovannini, che fu incaricato dall’Elettore di fare una perizia
sul quadro prima della partenza e lo accompagnò nel suo viaggio da
Piacenza a Dresda.
A quel tempo, uno dei segretari dell’abate e il frate comandato
alla Caminata erano fratelli di sangue. Nessuno dei frati era più
contrario alla cessione della Madonna Sistina dei due fratelli.
Consegnarono a Giovannini la copia anziché l’originale; quando la copia
fu imballata per la partenza, convinsero l’abate (che aveva altro per la
testa) a nascondere l’altro dipinto (che era in realtà l’originale)
alla Caminata per evitare la facile accusa di aver spedito la copia. Il
frate di stanza alla Caminata affidò la sua verità allo scartafaccio,
che murò col dipinto. Sull’altare fu messa un’altra copia, di qualità
enormemente inferiore, quella siglata G.M. che ancora vi si trova. I
fratelli pensavano di far riaffiorare l’originale quando la situazione
in Sassonia e in generale in Europa l’avesse permesso. Ma non avevano
previsto rivolgimenti così profondi come quelli di fine Settecento, che
travolsero anche il monastero.
In quale momento, tra il gennaio del 1754 e il novembre del 2012,
venne estratto dal suo rifugio segreto l’originale di Raffaello? A opera
di chi? Per portarlo dove? Nel 1892, lo storico svizzero Ludwig
Jelinek, non si sa sulla base di quali indizi, suggerì che, al momento
della spedizione del dipinto, fosse successo qualcosa di simile a quanto
raccontato nello scartafaccio. Fu sonoramente smentito con una batteria
di documenti autentici, che furono accettati da tutti anche se non
provavano niente.
Bibliografia: E. Gazzola, “La Madonna Sistina di Raffaello. Storia e destino di un quadro”, ed. Quodlibet, Macerata, 2013.
Domenico Ferrari Cesena è nato in un mondo governato da
Roosevelt, Stalin, Hitler e Churchill, quando l’Italia era un regno
retto da Pio XII e da Benito. Però, ha visto la luce in aperta campagna,
ma non proprio sotto un cavolo, anche se c’è mancato poco. Nella grande
casa che gli ha dato i natali è tornato ad abitare da 18 anni, dopo i
25 trascorsi in California a Berkeley nelle vesti di docente e
ricercatore di computer science. Oltre ad alcuni libri illeggibili ai
più, nel 2010 ha pubblicato “Terre piacentine” con Giovanni Zilioli.
Lotta da anni contro i deturpatori del paesaggio e dei nostri beni
culturali come Don Chisciotte contro i mulini a vento, con gli stessi
risultati.
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